Quattro anni fa la protesta che avrebbe potuto cambiare la storia, oggi i Forconi tornano a farsi sentire

Quattro anni fa esatti la Sicilia era al centro dell’attenzione mediatica di tutto il Paese. Una mobilitazione straordinaria aveva preso piede e riacceso la speranza di tantissimi lavoratori dell’Isola e non solo. Quella speranza prendeva il nome di Forconi e il leader indiscusso di quella campagna che attaccava a muso duro lo Stato era Mariano Ferro. In poco tempo Ferro divenne l’idolo di milioni di Italiani, il simbolo del forcone rappresentava la voglia di riprendersi in mano quella dignità che le imposizioni del Governo e della Comunità Europea avevano tolto ormai da anni. Quelli furono giorni di grandissima tensione sociale, di scioperi in grado i coinvolgere, giorno dopo giorno, sempre più persone, lavoratori e piccoli imprenditori sbranati da una crisi sempre più accentuata. Dall’altra parte della barricata vi erano i grossi imprenditori e le multinazionali, pronti a raggiungere i centri della grande distribuzione ad ogni costo. Punti di accessi alla Sicilia bloccati, mercati ortofrutticoli inaccessibili,  “da oggi – si diceva – la Sicilia non sarà più la stessa”. In ballo c’era, come detto, la dignità di un popolo ormai stanco di sopportare le condizioni dettate dalla Grande Distribuzione Organizzata, prodotti sottopagati agli agricoltori e rivenduti a cifre spropositate. Erano giorni in cui si chiedeva a gran voce il controllo delle frontiere per quei prodotti provenienti dall’estero e rivenduti con il marchio made in italy. Quella protesta era diversa da tutte le altre, non aveva colori politici ed era riuscita ad accendere la luce negli occhi di chi avrebbe voluto una Sicilia diversa. Per la prima volta qualcuno riusciva a creare una mobilitazione forte contro la politica, contro lo Stato, senza che tutto passasse da una sigla di partito o sindacato. È la rivoluzione del popolo – si urlava – e quella frase veniva gridata ad ogni presidio, ad ogni blocco. La gente lasciò le campagne per protestare nelle strade, una forma di protesta considerata da molti eccessiva e dannosa per l’economia del paese. Come accade sempre quando un movimento cresce in maniera sproporzionata, all’interno può entrare di tutto, diventa difficile controllare, allora ecco che qualcuno esagera con la violenza e con le forme di protesta dando, in un certo senso, ragione a chi non aveva visto mai di buon occhio l’ascesa dei Forconi. Le voci su presunti collegamenti tra i Forconi e personalità vicine ad ambienti mafiosi e a realtà politiche neofasciste, la pesantezza di una protesta che si era ormai prolungata troppo nel tempo con un continuo braccio di ferro tra i manifestanti ed il Governo, scontro che non portava a nulla di concreto, fecero a man mano ridurre la forza dei Forconi fino ad affievolirsi. Per molti fu una delusione, “ormai che siamo arrivati a questo punto – si diceva- non possiamo più tornare indietro”. Invece indietro si tornò e il passo successivo studiato da Mariano Ferro, quello cioè di farsi sentire in maniera democratica entrando nelle istituzioni attraverso le elezioni politiche, fu un vero flop. Quella però, al di là di chi è stato contro o a favore, rimane una pagina importante della storia siciliana, una fase in cui qualcosa poteva cambiare davvero, un momento di riscatto per i contadini siciliani così come, forse, era accaduto solo ai tempi di Salvatore Giuliano. Quei giorni possono essere rappresentati in parte dal video che segue, una testimonianza di quella protesta organizzata per bloccare, nel caso specifico, uno dei mercati ortofrutticoli più importanti della Sicilia, quello di Donnalucata. In questo video si vedono studenti, imprenditori e operai uniti insieme per rivendicare quell’orgoglio siciliano ormai perso da troppo tempo.

Oggi, però, non è cambiato più nulla e, stando alle ultime notizie, sembra proprio che l’agricoltura siciliana si appresta a rivivere un periodo nerissimo. I Forconi nel frattempo ci sono sempre, non godono più la ribalta mediatica di un tempo, ma il suo leader riesce ancora a coinvolgere migliaia di persone sostenendo battaglie in favore di persone oppresse dalla Stato (come ad esempio per le aste giudiziarie). Proprio eri Mariano Ferro è tornato a parlare e lo ha fatto per attirare l’attenzione sui temi riguardanti l’accesso incontrollato dei prodotti agricoli in Italia e la concorrenza sleale. Stavolta Ferro ha deciso di non rivolgersi ai politici, “tanto non ha senso”, ma il suo appello è rivolto alla Chiesa. Di seguito il comunicato di Mariano Ferro:

«I Vescovi ci diano una mano, non possiamo non fermare alle frontiere o ai porti,  tutti quei prodotti dell’agroalimentare che ormai le grandi aziende e non solo le multinazionali, comprano all’estero e portano in Italia trasformandoli ovviamente in Made in Italy. Sui mercati non contiamo più nulla. Questa volta è codice rosso come non mai per i prezzi alla produzione agricola per l’ennesima volta grazie ad una CONCORRENZA SLEALE LEGITTIMATA DA NORME ASSURDE. Le conseguenze drammatiche le conosciamo già: contenziosi con le banche, pignoramenti, povertà di interi territori.

Ci arricchiremo solo di tanti altri nuovi poveri. Non è più il caso di interpellare la politica,non serve, ormai è palese che non ha nessun interesse ad alzare polveroni, anzi l’esatto contrario, i sindacati e le associazioni di categoria hanno da tempo ormai solo un ruolo di facciata, l’Europa, dopo aver deciso che noi dobbiamo smettere di produrre e diventare consumatori, non indica una strada alternativa alle centinaia di migliaia di piccole imprese, noi non sappiamo più a chi rivolgere i nostri appelli all’applicazione del buon senso. Oggi è il sedici Gennaio ed è l’anniversario delle manifestazioni che bloccarono la Sicilia quattro anni fa, sono passati quattro anni e la politica non intende attuare nemmeno le norme di salvaguardia che essa stessa ha sottoscritto nell’accordo euro-mediterraneo, nei porti, visti gli enormi quantitativi,  non si possono più fare controlli seri a tutela della salute degli italiani,  i sindacati giocano con la nostra pelle, a noi non rimane che ricominciare a muoverci per tutelare le nostre famiglie. Se i Vescovi ci daranno una mano nella denuncia di tale sfacelo, noi siamo pronti a sostituirci allo Stato per applicare le sue stesse leggi, non abbiamo voglia di affollare le Caritas, non vorremmo ritornare ai fatti di quattro anni fa, vorremmo solo prevenire il rischio povertà per decine di migliaia di famiglie. Chiediamo troppo ?

Con grande rispetto»