Gli ex amici, i pentiti, la stanza segreta: i retroscena dell'indagine su Montante

Da una parte gli ex amici, dall’altro i pentiti. E’ in mezzo a due fuochi, Antonello Montante, indagato dalla Procura di Caltanissetta per concorso esterno in associazione mafiosa. Gli interrogatori fatti dalla Procura sono moltissimi. Le accuse si basano da un lato sulle dichiarazioni di Marco Venturi e Massimo Romano, un tempo alfieri della scalata in Confindustria di Antonello Montante. Marco Venturi è quello più duro: l’ex presidente della Camera di Commercio di Caltanissetta è stato anche espulso da Confindustria dopo le sue dichiarazioni di fuoco contro Montante: “E’ il regista del doppio gioco”.  Massimo Romano invece ha una posizione diversa. Sarebbe anche indagato in un procedimento connesso per false dichiarazioni. Romano, big della grande distribuzione in Sicilia, tra molte reticenze, come sottolineato dalla Procura, ha detto che Montante avrebbe creato una specie di “scorta” di denaro. Montante avrebbe chiesto di cambiare in banconote di piccolo taglio una grossa somma di denaro: “Tra i 100 mila e i 300 mila euro”. Per fare cosa? E’ questa la domanda a cui si cerca di dare risposta valutando il materiale sequestrato nelle decine di abitazioni e società di Montante (per un fatturato totale di oltre 70 milioni di euro). Ma anche altri imprenditori hanno parlato, i loro nomi sono al momento top secret. Ma in un anno e mezzo di indagini la Procura sostiene di avere accumulato molti elementi. 

L’indagine assume un connotato particolare perchè Montante è stato il “paladino della legalità” di Confindustria e ha accumulato un grande potere politico tra i governi Lombardo e Crocetta. E quindi potremmo essere alla vigilia di un terremoto giudiziario che potrebbe riscrivere la storia della Sicilia degli ultimi venti anni, e pregiudicare alla base le sorti del già malmesso movimento antimafia.

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Altro elemento è l’amicizia di lunga data tra Montante e Vincenzo Arnone, figlio del presunto boss Paolino, morto suicida in carcere nel 1992. Arnone, anche lui ritenuto membro della famiglia mafiosa nissena, è amico di infanzia ed è  stato testimone di nozze di Montante, nel 1980 (aveva 17 anni). E sono quattro i collaboratori di giustizia che accusano Montante di contiguità: i rapporti con Arnone non si sono mai interrotti, nonostante le “carriere” opposte. A Montante non si potevano fare estorsioni, dice un collaboratore di giustizia. E un altro aggiunge: “La mafia si attivò per fargli avere i voti necessari per la sua elezione al vertice di Confindustria”.  Nello specifico, a parlare delle “relazioni pericolose” del presidente di Confindustria è stato il pentito Salvatore Di Francesco, mafioso di Serradifalco, paese d’origine di Montante. Di Francesco, ex dipendente dell’Asi, l’area di sviluppo industriale, si sarebbe occupato della gestione degli appalti per conto di Cosa Nostra. Nell’atto d’accusa della procura contro Montante ci sono le dichiarazioni di altri tre collaboratori di giustizia: Pietro Riggio, Aldo Riggi e Carmelo Barbieri.

Il presidente di Confindustria Sicilia, dal canto, sta preparando la sua difesa: “Un dossier con l’elenco di tutte le iniziative contro i boss in questi venti anni” dicono i suoi legali. E, in attesa del memoriale, incassa la nota con la “difesa” e la “vicinanza” di Confindustria. “Dimostreremo che le accuse a montante sono infondate“, dicono i legali.  Va detto però che gli amici “politici” di Montante, su tutti Crocetta e Lumia, sono stati sulla vicenda in silenzio.

Curiosità: è stata trovata, come nel più classico dei polizieschi, anche una stanza “segreta”, durante le perquisizioni. Dietro una libreria, nella villa del presidente di Confindustria, a Serradifalco. I poliziotti sono rimasti esterrefatti, dentro la stanza c’erano un sacco di faldoni che sono stati sequestrati. Sul punto i legali spiegano: si tratta, dicono, “Normale archivio sui patti per la legalità degli ultimi venti anni”.