Mafia e cemento, gli arresti di Castellammare e le "infiltrazioni" nell'antimafia

Sono tante le reazioni all’operazione antimafia “Cemento del Golfo” che ha portato all’arresto di alcuni esponenti di Cosa Nostra a Castellammare del Golfo, che imponevano i fornitori di calcestruzzo alle aziende. E tra loro è stato arrestato anche un imprenditore che faceva parte dell’associazione antiracket di Alcamo. Sulla vicenda interviene il presidio locale di Libera:

Le notizie apprese dalle varie testate giornalistiche riportanti le informazioni emerse dall’attività d’indagine a carico di Mariano Saracino e dei suoi sodali, ci restituiscono un quadro quanto mai preoccupante benché non sorprendente della situazione che ogni giorno viviamo.

Non siamo sorpresi dei reiterati tentativi di cosa nostra di imporre con le minacce e la violenza la propria presenza dominante su tutto il tessuto economico e imprenditoriale locale; non ci sorprende che don Mariano, una volta uscito dal carcere, abbia ripreso a fare con gli stessi metodi le stesse cose che faceva prima di scontare la condanna per associazione mafiosa; non ci stupisce il coinvolgimento in attività dalle sembianze tipicamente mafiose di taluni personaggi vicini a Saracino.

Non siamo sorpresi perché chi vive la propria comunità senza voltarsi dall’altra parte conosce i personaggi, vede i loro movimenti, coglie i loro messaggi più o meno latenti, sente i mormorii sommessi di chi tra i denti accenna al ritorno “in grande stile” di don Mariano. Non siamo sorpresi dai fatti di ieri perché già sentivamo il puzzo sempre più intenso della mafia locale.

In pratica, dalle parti di Libera dicono che la notizia dell’arresto del boss Saracino non li sorprende più di tanto, perché la gente parlava, a Castellammare del Golfo, del ritorno in grande stile del boss.  Sorpresi sono invece, quelli di Libera, per l’arresto dell’imprenditore Vincenzo Artale, che in passato aveva denunciato i suoi estorsori e faceva parte dell’associazione antiracket di Alcamo:

Questa notizia ci stupisce e ci preoccupa, poiché ci impone degli interrogativi. In che modo il movimento antimafia, nelle sue varie espressioni, deve difendersi da chi tenta di infiltrarsi per darsi un’immagine di pulizia e continuare indisturbato a fare affari con quella mafia che dice di contrastare? Di quali strumenti di controllo interno dotarsi? Sono dubbi che ci coinvolgono direttamente e che ci impongono ancora maggiore attenzione alla comunità e al nostro interno, poiché vi è il fondato sospetto che l’infiltrazione di personaggi vicini alle cosche nel movimento antimafia per allontanare i sospetti da sé, non sia semplicemente un episodio sporadico e isolato di cui è stata vittima l’Associazione Antiracket di Alcamo, ma sia invece una precisa strategia di cosa nostra per camuffarsi e nascondere così la propria attività illecita. Strategia che avrebbe un duplice effetto: da un lato agevolerebbe l’inabissamento di cosa nostra sotto una maschera di pulizia del tutto fasulla, dall’altro delegittimerebbe tutto il movimento antimafia poiché presterebbe il fianco alle accuse di affarismo antimafioso che negli ultimi tempi vanno tanto di moda e che mettono tutti nello stesso calderone. Noi continueremo a distinguere per non confondere, ad evitare le semplificazioni in negativo spesso offerte da certo giornalismo più interessato a sollecitare le reazioni viscerali dei lettori – e quindi le vendite di copie o le visualizzazioni online che poi fruttano proventi in pubblicità – perché crediamo che le semplificazioni distorcano pesantemente la reale complessità delle vicende sociali, non permettendo una reale conoscenza.

Libera poi va all’attacco del Sindaco di Castellammare del Golfo, tirato in ballo in alcune intercettazioni:

Ci stupiscono altresì talune dichiarazioni pubbliche apparse ieri sui giornali, in particolare da parte del sindaco, il quale afferma di non essere a conoscenza di alcunché riguardante la vicenda del distributore di carburanti riconducibile al Saracino, neppure la sua ubicazione. Davvero ci risulta strano, poiché tale distributore non si trova certo in una zona scarsamente frequentata della città, anzi; sarebbe davvero incredibile se veramente il sindaco fosse all’oscuro di tutto! Forse il sindaco, nella foga di smentire di essersi messo a disposizione per agevolare l’iter amministrativo per la realizzazione del distributore, secondo quanto emerso dalle intercettazioni, ha esagerato un po’. Sarebbe più utile fare chiarezza sulla vicenda e spiegare pubblicamente se il sindaco e i funzionari comunali abbiano realmente subìto pressioni dai personaggi arrestati ieri, se siano stati da questi minacciati e come abbiano reagito alle pressioni; siamo fiduciosi che i chiarimenti arriveranno nelle prossime ore.

L’inchiesta, condotta dai Carabinieri del Comando provinciale di Trapani diretto dal colonnello Stefano Russo, ha evidenziato che il clan capeggiato da Mariano Saracino, il nuovo capo della famiglia mafiosa di Castellammare del Golfo, “favoriva l’imprenditore antiracket”. L’indagine, coordinata dalla Dda di Palermo ha anche svelato come alcuni imprenditori, con pressioni ed intimidazioni, venivano costretti a rifornirsi di cemento dall’imprenditore, che poi si è aggiudicato le forniture più importanti.  “E’ molto importante il contributo che abbiamo avuto in questa indagine dagli imprenditori vittime del racket del pizzo, che hanno denunciato le estorsioni. L’ultima denuncia è proprio di pochi giorni fa” ha detto  il colonnello Stefano Russo, Comandante provinciale dei Carabinieri di Trapani, che ha condotto l’operazione antimafia. “Si tratta di imprenditori che lavoravano nel pubblico ma anche nel privato che, vessati da Cosa nostra, hanno deciso di rivolgersi all’autorità giudiziaria – spiega ancora il colonnello Russo – Sono stati contributi rilevanti ai fini dell’inchiesta”. Sono diversi i casi di estorsioni scoperti dagli investigatori nel trapanese. “Abbiamo rilevato la classica messa a posto – dice il Comandante Russo – e oltre all’imposizione del pizzo anche l’imposizione delle ditte per la fornitura di calcestruzzo”.  L’inchiesta, coordinata dalla Dda di Palermo, dal Procuratore aggiunto Maria Teresa Principato e dai pm Carlo Marzella e Francesco Grassi, è partita dopo una serie di attentati in cantieri edili che si sono registrati nel trapanese. “E’ stato colpito il capofamiglia del mandamento di Castellammare del Golfo – dice il colonnello Russo – Ma è stata colpita tutta la Cosa nostra trapanese, in una delle sue articolazioni storiche più importanti della Sicilia. Ricordiamo che Cosa nostra trapanese è saldamente nelle mani del boss latitante Matteo Messina Denaro. Ogni operazione come quella di oggi indebolisce la figura del boss latitante”.

In carcere sono finiti, oltre all’imprenditore Vincenzo Artale, anche il presunto capofamiglia di Castellammare Mariano Saracino, arrestato nel 2000 perché ritenuto vicino a Cosa nostra, ma anche Vito Turriciano, Vito Badalucco e Martino Badalucco, questi ultimi padre e figlio.

Su La Repubblica Enrico Bellavia ricostruisce lo stretto rapporto che lega mafia e cemento:

IL cemento è cosa loro. All’incrocio tra un appalto e l’opera si piazzano quasi sempre i bravi ragazzi. Quando non pilotano la gara, quando anche i subappalti — dal movimento terra al noleggio delle attrezzature — non sono proprio sotto controllo, e lo sono spesso, quasi sempre lo è la materia prima per costruire. È la maledizione del cemento. Non c’è impresa che sia sfuggita. Non c’è grande cantiere che si sia sottratto, in uno scambio d’affari – un miliardo di euro l’anno la stima complessiva di Legambiente – con la minaccia che resta sullo sfondo e la protezione un sovrapprezzo impalpabile.

Attilio Bolzoni, invece, fa il punto sulle infiltrazioni della mafia nel mondo dell’antimafia:

Questo Vincenzo Artale arrestato ieri dai carabinieri vale come una conferma, è un’altra prova di quella che è l'”evoluzione” della specie mafiosa. La mafia che si traveste. Un po’ strategia per infiltrarsi nelle fila avversarie e un po’ necessità di adattarsi ai tempi, la mafia che si impossessa delle parole d’ordine dei propri rivali, la mafia che ha cercato e trovato il suo luogo più sicuro: l’Antimafia.
Lo storico Rocco Sciarrone nel suo ultimo libro, Alleanze nell’ombra, ha scoperto che le imprese top della connection mafiosa nella provincia di Palermo sono tutte iscritte ad associazioni antiracket. Solo chi si gira dall’altra parte, può ancora credere che in Sicilia ci sia stata una “rivoluzione ” imprenditoriale. Hanno solo cambiato vestito. In tivù danno lezioni di antimafia, in segreto con la mafia si arricchiscono.
Intanto  si è riunito in seduta straodianaria e urgente il Consiglio Direttivo dell’Associazione Antiracket ed Antiusura Alcamese a seguito dell’imprenditore Vincenzo Artale, socio dell’Associazione antiracket.  Il Consiglio Direttivo ha deliberato all’unanimità l’espulsione formale del Vincenzo Artale “che ha violato e tradito le finalità dell’Associazione e la costituzione parte civile nel procedimento penale contro lo stesso.Quanto accaduto ha scosso tutti i componenti del Direttivo  che hanno manifestato la volontà di rilanciare l’associazione cercando di coinvolgere maggiormente gli imprenditori e, sopratutto, i giovani in un territorio difficile come il nostro”. Certo, è singolare che l’associazione antiracket di Alcamo (tra l’altro, diretta da un poliziotto….) annuncia già la costituzione di parte civile quando ancora si aspetta la convalida dell’ arresto….