Acqua pubblica in Sicilia. La legge è a rischio , il governo vuole impugnarla

Acqua pubblica in Sicilia. La legge è a rischio, il governo vuole impugnarla.  Il governo nazionale è pronto a impugnare la riforma approvata dall’Ars prima della pausa estiva. Un’impugnativa quasi decisa, di cui ancora a Palermo non si ha notizia formale, e che è anticipata dal Giornale di Sicilia oggi in edicola:

Dovrebbe essere ufficializzata dal Consiglio dei ministri dopo l’11 ottobre: data in cui scadono i termini. Per evitare tutto cio, è in corso una mediazione tra Roma e l’assessore all’Energia, Vania Contrafatto (ala renziana del Pd)che apertamente, fin dal primo momento, aveva contestato la legge. Un testo scritto da un asse che andava dai grillini all’ala del Partito democratico guidata da Giovanni Panepinto, passando per pezzi di Ncd.

Nel mirino c’è il nodo fondamentale della riforma: la Sicilia privilegia in modo evidente le società pubbliche e i Comuni. I privati, a detta di Roma, verrebbero scoraggiati a investire. Perchè? Il motivo è tutto contenuto nell’aggettivo «prevalente» dell’articolo 4 della legge: «La disciplina dell’affidamento della gestione del servizio idrico è di prevalente interesse pubblico e non riveste carattere lucrativo»Inoltre, se da un lato la legge, in linea con quanto prescrive la normativa nazionale, prevede che a decidere a chi affidare il servizio siano le società pubbliche (come voleva il presidente Crocetta), le Aziende consortili, i consorzi tra Comuni o le società a totale partecipazione pubblica, nei commi successivi, secondo i rilievi che Roma è pronta a sollevare, i privati subiscono tutta una serie di penalizzazioni. Viene previsto che i privati possano gestire il servizio per massimo 9 anni (oggi Girgenti Acque ha una convenzione pluridecennale) e che se le condizioni offerte sono meno vantaggiose di quelle delle società pubbliche, si devono preferire queste ultime.

Continua così l’odissea della gestione dell’acqua in Sicilia. In  principio fu l’ex governatore Salvatore Cuffaro (oggi detenuto dopo una condanna defintiva per favoreggiamento a Cosa nostra), che nel 2004 liquidò Eas (ente acquedotti siciliani) creando Sici­liac­que, poi finita a maggioranza privata con l’entrata della mul­ti­na­zio­nale fran­cese Veo­lia nel pacchetto azionario. Il decennio successivo è stato caratterizzato dal fallimento di alcune società che gestivano le reti idriche (con relativo passaggio al pubblico di centinaia di dipendenti con stipendi arretrati e debiti milionari), e dagli ultimatum della Regione ai sindaci che si rifiutavano di consegnare le reti idriche ai privati. Il caso limite è forse rappresentato da Girgenti Acque, attiva in provincia di Agrigento, senza certificazione antimafia e con un amministratore delegato condannato in via definitiva a dieci mesi di reclusione per truffa aggravata: la società pratica tariffe molto più elevate rispetto ai comuni che si sono rifiutati di cedere le reti. La provincia di Agrigento, infatti è divisa in due: nei comuni che gestiscono da soli le reti idriche i cittadini pagano la media 300 euro all’anno, meno della metà rispetto alle città gestite da Girgenti Acque.