“Auto-fallimenti”. Le piccole Detroit italiane e le mille soluzioni mai trovate per Termini Imerese

di Carlo Rallo

Detroit ha chiuso i battenti. Il più grande fallimento pubblico negli Stati Uniti è ormai una certezza visto il debito di 18 miliardi di dollari. La situazione economica della città che ha dato i natali alle Big Three dell’automobile (Ford, General Motors e Chrysler), nonostante la ripresa abbia fatto registrare nuove assunzioni, ha costretto il commissario straordinario Kevyn Orr a chiedere al giudice federale la bancarotta, e accedere al fondo riservato alle municipalità che devono ristrutturare i propri debiti. Negli Stati Uniti non è certo il primo crac pubblico, ma di sicuro è il più grande. Il fallimento non dipende solo dal’auto, ma gran parte della vita economica e sociale di questa città ha vissuto nel bene e nel male con e per l’automobile. In Italia la nostra Detroit è Torino, che nel Novecento è cresciuta intorno alle quattroruote e ha vissuto sia i momenti esaltanti e di ricchezza sia quelli bui della crisi che sta vivendo il comparto automotive. I dissesti degli altri Comuni italiani dipendono da altro e vivono di vizi storici e corruzione stratificata nel tempo che lentamente ha portato alle precarie condizioni finanziarie di questi anni. Esempio su tutti è quello di Napoli, che dichiarò fallimento il 24 aprile del 1993, ma ancora oggi la città partenopea vive una difficilissima situazione che è comune a città come Reggio Calabria, Catania, Messina, Cosenza, Foggia e la stessa Palermo.

Legate all’economia dell’auto, in Italia nel corso degli ultimi vent’anni si sono vissute tante piccole Detroit. Alcune, come Pomigliano e Melfi, dove si trovano due fra i più importanti stabilimenti della Fiat, sono riuscite a sopravvivere. Tutt’altro risultato per Arese, storica sede dell’Alfa Romeo e per lo stabilimento siciliano di Termini Imerese che hanno terminato le loro attività. Qui non c’è stato scampo per i lavoratori e per l’intera comunità del luogo. Di proposte alternative alla Fiat a Termini Imerese se ne sono viste di tutti i colori. Lo scorso anno l’incubo per gli operai dello stabilimento sembrava ormai finito. Il progetto della Dr Motors, dell’imprenditore Massimo di Risio era stato accolto favorevolmente dal Ministero dello Sviluppo Economico, allora diretto da Corrado Passera. La DR Motors che ha sede a Macchia d’Isernia, per prima nel 2006 aveva lanciato sul mercato un Suv italiano assemblando componenti da tutto il mondo, soprattutto cinesi. Nel 2010 ha venduto circa 10 mila auto e altrettante nel 2011, con un giro d’affari per il gruppo intorno ai 150 milioni di euro. Il piano industriale presentato al ministero di Via Veneto prevedeva 60 mila vetture annue a regime nel 2017, con il primo lancio sul mercato nel 2013; investimenti per 110 milioni di euro; assunzioni a iniziare dal 2012, con un pacchetto iniziale di 241 nuovi posti (561 nel 2013, 909 nel 2014, 1.272 nel 2015 e 1.312 nel 2016). Di Risio a Termini avrebbe prodotto una city car, una vettura del segmento B, una media del segmento C e una nuovo Suv. Ma quando si doveva rendere esecutivo il progetto, DR Motor ha chiesto tempo per trovare un investitore che poteva mettere sul tavolo i 15 milioni di euro necessari, per risanare le casse della casa molisana, e poi a poter accedere al finanziamento per lo stabilimento siciliano. A Macchia D’Isernia, inoltre, molti dipendenti aspettavano lo stipendio anche da oltre sei mesi, e 80 di essi erano stati messi in cassa integrazione. Vista la precaria situazione economica svanì tutto.

Ma a Termini oltra a DR dovevano sbarcare altre aziende: Lima Group e Biogen dovevano investire 341 milioni di euro, ottenendo agevolazioni pubbliche pari a 67 milioni per impiegare a regime 1.500 addetti. Altre due aziende Newcoop e Medstudios dovevano mettere sul tavolo 20 milioni di euro per un’occupazione complessiva di 150 dipendenti’. Biogen è una joint venture attiva nel campo delle energie da biomasse che doveva dare opportunità a circa 70 persone. Lima Group è un’azienda del settore elettromedicale, produce protesi sanitarie, che doveva investire nell’area circa 60 milioni di euro e creare occupazione per 120 persone. Mentre Medstudios (studi cinetelevisivi) e Newcoop, piattaforma logistica per la grande distribuzione.

Di tutto questo e delle altre case automobilistiche interessate, come Toyota, Volkswagen e Hyundai, non c’è mai stato nulla di reale. Altre iniziative, come quella di Gian Mario Rossignolo con la De Tomaso, il progetto di auto elettrica del finanziere Cimino, o della multinazionale dei fiori sono finite con un nulla di fatto e con l’intervento della magistratura che ha addirittura eseguito degli arresti per i reati posti in essere dai manager di queste aziende. Da qualche mese il Presidente della Regione Rosario Crocetta sta provando a rilanciare un progetto che vuole coinvolgere nuovamente la Fiat. Il governo pensa a un fondo di investimento della Regione alimentato anche con capitali stranieri e in un rapporto di partenariato con la Fiat, ha spiegato il Governatore della Sicilia. Tra i partner finanziari coinvolti nel progetto di rilancio potrebbero esserci il Qatar e la Repubblica dell’Azerbaigian. Di questa ultima proposta risolutiva per Termini non c’è ancora nulla di definitivo. L’unica cosa certa è che il 31 dicembre scadrà la cassa integrazione e a quel punto per le oltre 1500 famiglie che aspettano risposte da tempo, sarà dramma vero, identico a quello vissuto a Detroit.