Caso Saguto, le carte dell'accusa: "Uso distorto del suo ruolo di giudice, interessi privati…"

“Vulnus all’immagine della giurisdizione”, “condotte gravemente scorrette”, “commercializzazione della qualità di magistrato”: sono durissimi i giudizi che il procuratore generale della Cassazione Pasquale Ciccolo ha formulato sulle condotte dell’ex presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo Silvana Saguto, indagata a Caltanissetta per corruzione e abuso d’ufficio. Il pg e il ministro hanno chiesto al Csm di sospendere in via cautelare il magistrato.

«Uso distorto» del suo ruolo di giudice per le misure di prevenzione, piegato a «interessi privati», con il risultato di minare «la credibilità della risposta delle istituzioni al fenomeno mafioso». Per questi motivi Silvana Saguto fa sospesa dalle funzioni e dallo stipendio. Secondo i titolari dell’azione disciplinare è necessario intervenire subito, «indipendentemente» dall’esito dell’inchiesta penale, poiché «le verifiche fin qui condotte riscontrano l’esistenza di gravi irregolarità nelle gestione delle procedure di conferimento degli incarichi e di liquidazione dei compensi degli amministratori giudiziari».
All’Ispettorato del ministero e al Csm — che riunirà venerdì la sezione disciplinare per decidere sulla richiesta di sospensione — sono giunti da
qualche giorno gli atti raccolti dalla Procura di Caltanissetta.
L’indagine coinvolge, oltre alla Saguto e altri quattro magistrati, alcuni amministratori di beni sequestrati e confiscati, tra i quali l’avvocati Gaetano Cappellano Seminara e il professor Carmelo Provenzano. Il primo viene indicato come «verosimile fonte di approvvigionamento di denaro tratto dal patrimonio di società in amministrazione giudiziaria, per far fronte alla crescente situazione di indebitamento della famiglia della dottoressa Saguto».
Ma insieme a lui anche Provenzano avrebbe provveduto a «corrispondere somme di denaro » e altre utilità alla giudice, in un «rapporto di scambio » per aver ricevuto incarichi nella gestione di patrimoni tolti alla mafia.
Proprio Provenzano, che nella sua qualità di docente avrebbe pure scritto la tesi di laurea al figlio della Saguto («l’ha fatta lui, praticamente», confessa la giudice in un’intercettazione) è protagonista di molti dialoghi registrati che sostengono le accuse. Come quella del 12 giugno scorso, quando il professore chiama la giudice «ringraziandola per la segnalazione del suo nome al prefetto quale potenziale commissario del Centro accoglienza per i rifugiati a Mineo». L’uomo aggiunge che «se va bene… non ci ferma più nessuno e siamo inamovibili ovunque, non solo qua». L’indomani la Saguto lo richiama per dirgli che un ulteriore passo avanti è stato fatto per la nomina, e Provenzano le risponde: «Io ringrazio tutti e tutto, pero so benissimo il fast mover di tutto quello che è nato perché è nato, va bene, tu sei una potenza! Ma non potenza di potere, proprio
di energia e di coinvolgimento a 360 gradi».
Nelle manovre in favore di Cappellano Seminara, gli investigatori palermitani del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza inseriscono
anche i contatti e le mosse con un collega romano della Saguto, Guglielmo Muntoni, responsabile delle misure di prevenzione nella capitale. L’11 giugno l’avvocato siciliano chiama Muntoni che gli chiede: «Vuole cominciare allora la nostra collaborazione? C’avrei una cosa grossina in cui gli immobili sono tutti nel messinese per cui gli viene più comodo… ». La segnalazione di Cappellano Seminara a Muntoni era arrivata dalla Saguto, che
— secondo gli inquirenti — voleva in primo luogo favorire il marito, l’ingegnere Lorenzo Caramma, il quale a sua volta doveva ricevere un incarico dall’avvocato- amministratore. Lo dice lei stessa l’8 luglio, parlando con il collega Fabio Licata (ora indagato): «Muntoni gli ha dato un incarico a Cappellano apposta per far lavorare Lorenzo; quello si spaventa a dargli l’incarico a Lorenzo… e perciò dico, ma Muntoni l’aveva nominato per dargli l’incarico».
Il 4 agosto la microspia della Finanza piazzata dentro l’ufficio della Saguto registra un dialogo tra lei e Cappellano. L’avvocato ha presentato
un’istanza di liquidazione e propone: «La vogliamo fare così ci leviamo il problema? Con questa pennuzza?». La giudice acconsente e, annotano gli investigatori, «su dettatura del Cappellano inizia a scrivere… In pratica, così come già rilevato in altre occasioni, il Cappellano ha dettato alla Saguto il testo di un provvedimento la cui emissione è demandata alla valutazione del giudice».
Gli stessi colleghi della Saguto parevano consapevoli della situazione, Licata ne parla con Chiaramonte (anche lui indagato) e dice: «Se ci fanno un’ispezione, ci fa un culo così… È screditata (riferito alla Saguto, ndr)…». Chiaramonte risponde: «Lei non lo capisce… pensa alle sue cose personali… non gliene fotte niente, però relativamente… è convinta di sfangarsela… lei non ha saputo che è cambiato il clima complessivo».

Dopo la diffusa elencazione delle incolpazioni, il pg di Cassazione, a proposito di Silvana Saguto,  rileva lapidariamente: “Da queste gravi condotte è derivata una lesione non solo dellacredibilità personale del magistrato ma un danno alla credibilità della giurisdizione che non può sopportare episodi di tale degrado. Si tratta infatti di condotte che, già riprovevoli per ogni magistrato, è arduo perfino concepireche possano avere così a  lungo allignato all’interno di un ufficiole cui centralità e delicatezza nel contrasto alla criminalità mafiosa sono state ingiuriate, specie dalla sua Presidente”.