Catania, come funzionava la truffa all’Inps, tra mafia e corruzione

Guardia di finanza
500  persone che prendevano indebitamente l’indennità di disoccupazione agricola. Un meccanismo messo su da alcuni professionisti compiacenti, con l’ok della mafia. E’ quanto scoperto ieri dalla Guardia di Finanza a Catania.
Un ragioniere, un dipendente dell’Inps e tre presunti appartenenti a un clan mafioso sono tra i destinatari dell’ordinanza cautelare emessa nell’inchiesta denominata “Podere mafioso”,. Nel mirino ci sono anche una decina di aziende “fantasma”, create, secondo l’accusa, unicamente per appropriarsi illecitamente di contributi pubblici per quasi un milione e mezzo di euro.
Per la Procura di Catania, diretta da Carmelo Zuccaro, i promotori della presunta truffa sarebbero Leonardo Patanè, noto come “Nardo Caramma”,  arrestato, nel febbraio 2016, per la sua partecipazione al clan Laudani; Giovanni Muscolino e Antonio Magro, indicati come a capo dei gruppi di Giarre e Paternò della stessa cosca.
Un contributo determinante, secondo la ricostruzione dell’accusa, sarebbe arrivato anche da ragionieri, periti commerciali e da un dipendente Inps dell’agenzia di Giarre, Filippo Bucolo, che è stato posto agli arresti domiciliari. Secondo la Procura, in cambio di soldi che avrebbe chiesto a Patanè, lo avrebbe informato sull’esatto ammontare delle liquidazioni e seguiva da vicino ogni pratica amministrativa che lo interessava. Un ruolo importante sarebbe stato anche ricoperto da alcuni familiari di Patanè: la moglie Daniela Wissel e i figli Orazio e Ramona, posti ai domiciliari. Come un ragioniere, Alfio Lisi, incaricato di formalizzare la costituzione delle aziende agricole, iscrivere i falsi lavoratori e predisporre le buste paga.
Indagati anche i cosiddetti “reclutatori” di braccianti agricoli (Michele “Franco” Cirami, Vincenzo Cucchiara, Agatino Guarrera, Francesco Gallipoli, Fabrizio Giallongo, Ettore Riccobono, Claudio Speranza, Vincenzo Vinciullo) e il loro “coordinatore” (Carmelo Tancredi), tutti posti agli arresti domiciliari. Si occupavano di ingaggiare i falsi braccianti agricoli e di recuperare, anche con violenza, la parte dell’indennità che spettava all’organizzazione e che ammontava almeno alla metà della somma riscossa che, vincolata da una pluralità di parametri, oscillava da un minimo di 3.000 euro a un massimo di 7.000 euro l’anno.

Un esercito di falsi braccianti, una decina di società-spettro. Così il clan dei Laudani, i «Muss’i ficurinia», gestiva il «Grande Affare» delle disoccupazioni agricole in terra d’Etna. In appena tre anni, dal 2014 al 2016, l’organizzazione avrebbe «spillato» all’Inps un milione e mezzo di euro. «Una parte andava a cinquecento finti lavoratori, almeno la metà alla cosca», hanno spiegato ieri a Catania i vertici di Procura distrettuale e Guardia di Finanza.

Il dipendente dell’Inps in servizio negli uffici di Giarre, il sessantaseienne Filippo Bucolo, almeno stando alla ricostruzione degli inquirenti, sarebbe stato pagato per informare i «compari» che i sussidi stavano per essere pagati. In questo modo, la banda poteva disporre «l’accompagnamento coatto» del falso bracciante allo sportello di riscossione e intascare subito una quota della cifra percepita, che oscilla complessivamente fra 3 mila e 7 mila euro l’anno. «In un caso – hanno affermato ieri il procuratore Carmelo Zuccaro e il sostituto Tiziana Laudani – un uomo venne picchiato perché sosteneva, senza essere creduto, di non avere ancora incassato nulla. In effetti, era stato Bucolo a fornire una data sbagliata ai complici!».

Alfio Lisi, 49 anni, ragioniere e perito commerciale giarrese è  ritenuto uno specialista nelle… creazioni e rapide sparizioni di imprese di comodo, sarebbe stato un elemento-chiave della stangata. Ben pagato, certamente. «Vedi che ti ho dato 800 euro nel giro di una settimana», è la frase urlata da Patanè al ragionier Lisi nel corso di una telefonata intercettata dalla Guardia di Finanza. Il quarantanovenne avrebbe ricevuto pure un’auto come premio per i suoi «servigi».