C’eravamo tanto amati. Ecco perché il Pd vuole cacciare Crocetta

PALERMO – La foto è ancora lì, nel mare magnum della rete: si vedono il presidente della Regione siciliana Rosario Crocetta e il segretario regionale del Pd Giuseppe Lupo. Sorridono. Altri tempi. È difficile che una foto del genere, scattata il giorno della vittoria elettorale del centrosinistra alla regione il 29 ottobre dell’anno scorso, possa essere scattata oggi. Circa 330 giorni dopo la direzione regionale del Partito democratico, lunedì pomeriggio, ha sancito il definitivo allontanamento di Lupo da Crocetta.

Semmai dovesse ritornare il sereno nei rapporti tra il presidente della Regione siciliana e il suo partito, è difficile che i rapporti tra i due possano tornare sereni. E non solo tra i due, considerato che Lupo rappresenta la punta dell’iceberg di una vasta area di esponenti del Pd siciliano che non tollera Crocetta fino a considerarlo un vero e proprio pericolo per il partito. Per una lunga serie di motivi.

Il primo. Crocetta è il leader del Megafono, movimento espressione della società civile, da lui fondato a sostegno della sua candidatura per la presidenza della regione, che non solo può contare su sei deputati all’Assemblea regionale siciliana (compreso Crocetta ovviamente) ma è cresciuto sempre di più negli ultimi mesi conquistando seggi e rappresentanti in parecchi comuni dell’isola. Non solo. Il Megafono è stato utile anche al Pd nella campagna elettorale per le politiche e, in particolare, per il Senato: la lista di Crocetta si è presentata apparentata con il Pd e ha fatto eleggere Giuseppe Lumia, l’ex presidente della commissione Antimafia ritenuto un esponente importante del Pd siciliano.

La lista del Megafono è stata dunque utile al Pd. La sua presentazione era stata salutata con entusiasmo da Lupo: «Una Lista Crocetta può dare un contributo aggiuntivo alla nostra coalizione raccogliendo aree di consenso diverse dal Pd, è sicuramente un’opportunità per rafforzare la lista al Senato. Probabilmente anche molti degli elettori che in assenza di una Lista Crocetta avrebbero votato Grillo o Ingroia possono guardare con molta attenzione alla lista Crocetta che sarà rappresentativa della parte della società civile organizzata».

Che cosa è successo nel frattempo, perché a meno di sei mesi dalle elezioni politiche i dirigenti del Pd hanno cominciato a considerare il Megafono come un corpo estraneo fino al punto di chiederne lo scioglimento? Hanno pesato di sicuro le scelte autonome degli esponenti del Megafono nella campagna elettorale per le amministrative. In tanti hanno cominciato a temere che il movimento di Crocetta potesse erodere il patrimonio elettorale del Pd. O addirittura che potesse conquistare il partito in Sicilia grazie alla presenza sul territorio e al fascino che indubbiamente Crocetta esercita sul popolo della sinistra. Tanto che a luglio in un documento del partito è stato messo nero su bianco: «Sono escluse dalla registrazione nell’anagrafe degli iscritti e nell’Albo degli elettori del Pd le persone appartenenti ad altri movimenti politici o iscritte ad altri partiti politici o aderenti a gruppi consiliari diversi da quello del Partito democratico». Insomma, già da qualche mese, la questione congressuale ha mandato in fibrillazione il Pd siciliano (e non solo). Lo ha ripetuto ieri lo stesso Crocetta: alla base della decisione di lunedì vi sarebbe una cruciale questione di tessere.

La questione morale
Già a luglio Crocetta ha introdotto un nuovo tema nel dibattito acceso con gli esponenti del suo partito: quello della questione morale. Il processo nei miei confronti, ha spiegato, arriva «in un momento preciso: il lancio di una questione morale in Sicilia, dove abbiamo scoperto ammanchi e furti alla Regione di centinaia di milioni di euro che coinvolgono una parte del gruppo dirigente regionale del partito». Niente nomi, ovviamente, da parte del governatore. Ma negli ultimi mesi sono successi fatti gravi come l’arresto della moglie del deputato messinese Francantonio Genovese, coinvolta in un’inchiesta sulla formazione professionale. Ed è recente, invece, la sospensione dell’accreditamento allo Ial, ente di area Cisl, per un piccolo problema da venti milioni di euro che non sarebbero stati rendiconti: la Cisl è il sindacato da cui proviene il segretario regionale Giuseppe Lupo. Atti e dichiarazioni del governatore avrebbero colpito pesantemente l’area cattolica del Pd che nella formazione professionale ha sempre avuto un eccellente serbatoio di voti.

I nemici del governatore
Tra gli avversari di Crocetta c’è anche l’ex senatore di Enna, Mirello Crisafulli. Lo stesso che aveva fatto il viaggio in Africa con l’ex governatore Totò Cuffaro, oggi in carcere dopo una condanna per favoreggiamento alla mafia e, ancora, lo stesso esponente che il Pd non ha potuto candidare alle elezioni politiche a causa di un rinvio a giudizio per abuso d’ufficio. Così come non è stato candidato Antonio Papania (di Alcamo in provincia di Trapani), che ha patteggiato davanti al gip di Palermo una pena di 2 mesi e 20 giorni di reclusione per abuso d’ufficio, quando ricopriva l’incarico di assessore al lavoro presso la Regione Siciliana. Cosucce si dirà. Anche se su Crisafulli pesa l’ombra di certi suoi contatti con esponenti della mafia ennese che gli vengono continuamente ricordati. Il deputato Mario Alloro, ex direttore generale del consorzio Asi di Enna, esponente di spicco della corrente di Crisafulli, è stato tra i più acerrimi nemici di Alfonso Cicero, commissario dell’Irsap che nelle scorse settimane ha ricevuto anche intimidazioni pesanti. Per giusta misura l’altroieri il Pd ha votato una proposta di legge presentata dai grillini che cambia i vertici dell’Irsap, l’istituto che gestisce tutte le aree industriali della Sicilia e ha in programma gare per circa 200 milioni di euro: Cicero dovrà lasciare.

Ma al di là di tutto ciò c’è un dato politico che non può essere accantonato di cui si è fatto portavoce nella direzione di lunedì il deputato regionale Antonello Cracolici, cui tutto può essere rimproverato ma certamente non di avere mai avuto comportamenti equivoci o poco trasparenti e men che meno contatti con la zona grigia né con la criminalità. Crocetta ha avuto il grande merito di avviare una rimoralizzazione della politica, ma occorre rappresentare un governo forte che affronti anche gli altri problemi. «All’interno del Pd – aveva detto a luglio nel corso di un’altra e non meno infuocata direzione del Pd – ci si deve interrogare sull’abbassamento delle regole, che ha consentito nel Pd il sorgere di tante vicende che riempiono le pagine dei giornali. Dobbiamo darci regole più ferree».

Sempre in quella direzione Lupo aveva detto: «Per il Pd questa è un’occasione straordinaria. Siamo unica speranza per la Sicilia. Adesso governiamo quasi ovunque. Dato elettorale importante per rilanciare il Pd e per rafforzare il nostro progetto. Il nostro sostegno a Crocetta è convinto. Il Pd ha sostenuto con forza il governo soprattutto quando abbiamo lavorato insieme per l’approvazione della finanziaria. Stiamo lavorando sulle incompatibilità. Occorrono norme di partito e norme di legge per rafforzare la buona politica. Vogliamo essere più crocettiani di crocetta sui temi dell’antimafia sulla trasparenza sulla moralità. Sono i nostri valori e sono fondativi del nostro partito. Per questo siamo al fianco di Crocetta e a sostegno del governatore. Non c’è bisogno di sottolineare sempre se siamo concordi con lui».

Era il 20 luglio. Dopo due mesi le cose sono cambiate. In mezzo, un duro scontro sulla richiesta di rimpasto del governo regionale fatta dal Pd (i nomi in corsa di cui si è parlato: Antonello Cracolici e Giuseppe Lupo), il niet di Crocetta, lo scontro e le polemiche. Infine la direzione che ha sancito la rottura definitiva. E le parole, dure, di Antonello Cracolici: «Di fronte alla necessità di un rafforzamento politico – ha detto – è piovuta sul Pd una valanga di insulti. Facendo credere che Cracolici e Lupo smaniassero di giocare al giochino degli assessori. In questo ha offeso il partito. Il cambiamento, in questa terra, rischia di diventare solo una bella predica. Considero sgradevole che in nome di valutazioni politiche, ognuno di noi debba essere giudicato da un punto di vista morale. Qui nessuno ha patenti per dare patenti a nessuno. E ci tocca vedere – ha aggiunto il deputato – che i veri appartenenti al passato tanto criticato, adesso che hanno cambiato partito, vengono indicati come modelli di comportamento. È inaccettabile. Pretendo rispetto».

Il guaio, forse, è stato quello di aver contribuito ad alimentare una crisi che si può definire extraparlamentare e così i problemi politici veri sono rimasti nell’ombra. I deputati del Pd, a un certo punto, hanno anche fatto un documento pieno zeppo di punti programmatici per rispondere a Crocetta cui non difetta certo la comunicazione da molti ritenuta l’unico atto concreto che sia stato capace di fare oltre a quello di «nominare in tutti i posti possibili i suoi amici del Megafono». Intanto, mentre lo scontro non sembra placarsi il governatore, ex sindaco di Gela, continua a ripetere con l’eccesso verbale che lo caratterizza: «Me ne andrò solo quando avrò sconfitto la mafia». La quale, come da buona abitudine, sa aspettare e godere dei vantaggi che possono derivare dal suicidio della politica.

dal Sole 24Ore.com