Credito, la ricetta di Mazzeo: «In Sicilia serve una riforma per dare alle Pmi soldi in 15 giorni»

Palermo – Un sistema consolidato, che può contare su professionalità di alto livello ma che non può reggersi più sul mercato della garanzie e deve puntare sulle aggregazioni e sui nuovi mercati che si stanno creando. E’ il quadro del sistema dei Consorzi fidi siciliano che viene fuori dalle parole di Raffaele Mazzeo, consulente, esperto di credito, organizzatore del ConfiDay che nel 2015 arriva alla sua terza edizione e che sul tema ha avviato una riflessione organica coinvolgendo proprio i Confidi.

Partiamo dall’ultimo dato: il progetto di fusione tra Fideo e Confeserfidi. Due grossi Confidi che si mettono insieme. Questo perché, qual è la logica?

Raffaele Mazzeo
Consulente. Raffaele Mazzeo

Uno dei rimedi alla situazione critica del mercato dei Confidi che bisogna mettere in piedi è quello di aumentare la dimensione. I costi dei Confidi sono diventati molto alti, tanto che nel 2013 le commissioni attive che sono la principale fonte di entrata non riuscivano a coprire le spese amministrative a livello di sistema. Quindi è chiaro che un modo per ridurre e fare economia di scala è importante. Ma queste fusioni nascono anche dal fatto che a breve verrà introdotta la nuova disciplina della Banca d’Italia che aumenta la soglia minima per operare come Confidi: ci sarà una stretta sulla vigilanza sia sugli ex 106 sia un requisito dimensionale maggiore sugli ex 107, dico ex perché la riforma gli cambia pure il nome. Non è casuale che quelli che stanno cercando di aggregarsi sono quelli già ispezionati dalla Banca d’Italia che nei loro rapporti gli dice: fondetevi. Questa è una attività che sta portando avanti Banca d’Italia propedeutica al cambiamento dimensionale dei nostri Confidi: sono troppo piccoli, troppo frazionati nel territorio, alcuni (soprattutto i 106) sono fatti da una stanza con un armadio. Parliamo di botteghe microscopiche e questo è un sistema che non può funzionare. Ma c’è una cosa importante.

Prego.

Non è che con la fusione e l’aggregazione si risolvono i problemi. I problemi sono diversi. Intanto la garanzia è percepita dalle imprese come un asset, un servizio costoso e i motivi sono molto chiari. Sono stato a Firenze qualche settimana fa, a seguire il convegno annuale dei Confidi che è l’appuntamento più importante del settore, ed è emerso che a livello nazionale la garanzia da sola non sostiene più il business perché da due anni il Fondo di garanzia di Mcc-Banca del Mezzogiorno consente di garantire direttamente alle banche gratuitamente i crediti per cui i Confidi vendono con un certo prezzo un servizio che altri danno gratis. Un altro elemento che emerge da una mia analisi personale è che i confidi hanno una natura pubblica motivo per cui non funzionano bene.

Che vuol dire hanno una natura pubblica?

Nel senso che nel momento in cui hanno il capitale o il Fondi rischi che vengono finanziati dalle Regioni, dalle Camere di commercio, hanno dei vincoli che devono rispettare perché altrimenti l’ente pubblico non gli darebbe le risorse. Il meccanismo che si è creato è questo: mentre le banche hanno un andamento del tasso di interesse correlato strettamente alla rischiosità del mercato e al costo del denaro, i Confidi hanno una commissione per il servizio che ormai si è capito è slegata dal rischio e dal mercato. E’ quella, è fissa sulla base delle tabelle predefinite al punto che uno dei motivi del fallimento della riforma della Banca d’Italia quando ha previsto la trasformazione in 107 è che le aspettative erano che questo mercato doveva aumentare i prezzi perché la garanzia di un intermediario vigilato come il 107 era migliore di un’altra. Invece dopo la trasformazione il prezzo dei Confidi 107 e 106 è rimasto immutato: non c’è stato un miglioramento dei prezzi. Quando i tassi sono alti la commissione del 2-3% di un Confidi risulta bassa, ma quanto i tassi sono all’uno o due per cento la commissione del 2% e sembra carissima. Quindi oggi i Confidi sono percepiti carissimi nonostante la commissione dei Confidi sia sempre quella e non più alta. In più i Confidi hanno avuto dalle banche le richieste di escussione perché le aziende sono fallite: il sistema bancario ha il 30% delle posizioni deteriorate e i Confidi sono stati la prima valvola di sfogo delle banche.

Questo a livello nazionale. E a livello locale?

I nostri Confidi, quelli siciliani, si fanno valere: la Sicilia ha un’industria dei Confidi molto sviluppata. Noi abbiamo avuto la fortuna di avere avuto questi sette (che ora sono diventati sei perché uno è stato retrocesso) Confidi vigilati che hanno fatto sì che scattasse una domanda di garanzie superiore a tutto il Centro-Sud. La Sicilia ha quasi più Confidi di tutto il Centro-Sud del Paese. Noi abbiamo oggi un portafoglio di garanzie che a fine 2013 era sugli 800 milioni per i soli 107 e quindi oltre un miliardo se ci mettiamo tutti gli altri mentre nelle altre regioni il dato è molto più basso: ciò vuol dire che dove c’è una buona offerta si genera anche nuova domanda. In numeri significa che noi abbiamo in Sicilia almeno 200 persone super specializzate in materia finanziaria, in materia di Basilea 2 ma che sono a differenza delle banche vicine al territorio, conoscono le imprese e secondo me questo è un asset molto importante. Se noi andiamo a vedere il meccanismo dei Confidi misurandoli sotto il profilo reddituale probabilmente avremo un quadro in modo sconfortante ma se noi andiamo a vedere il valore aggiunto che queste realtà sono in grado di generare i Confidi sono una risorsa per la Sicilia.

In che senso?

Intanto un errore che noi facciamo è quello di parlare dei Confidi da soli e ciò è assolutamente limitato perché noi dobbiamo parlare di una riforma del sistema finanziario pubblico regionale. Quando dico riforma non faccio il politico. Riforma significa questo: dobbiamo trovare dei meccanismi per dare credito alle imprese in 15 giorni e parlo del credito di 20-30 mila euro che deve essere erogato senza complicazioni. I soggetti beneficiari della riforma sono le imprese che non riescono ad avere l’accesso al credito in maniera normale. Bisogna considerare che il 90% delle imprese siciliane ha meno di dieci dipendenti e allora oggi noi abbiamo bisogno di un sistema finanziario che guardi alle esigenze del piccolo artigiano, della piccola impresa e della ditta individuale. Queste piccole realtà deboli hanno bisogno di un sostegno reale e l’unico modo per dare sostegno a queste realtà sono le politiche del credito su base regionale che è consentito. Noi abbiamo delle macchine da guerra formidabili che sono Irfis, Crias e Ircac che sono dei gioielli che possono stare tranquillamente separate: il problema non si risolve mettendoli insieme. Il punto è: noi oggi abbiamo per esempio i prestiti partecipativi dell’Irfis che sono strumenti eccezionali ma l’Irfis non la conosce nessuno. Abbiamo delle Ferrari che stanno in garage, ferme lì in attesa che i clienti vadano nelle filiali di Palermo e Catania mentre abbiamo invece i Confidi che sono dappertutto. Allora mettiamo insieme, in sinergia questi soggetti e poi il beneficiario finale sarà l’impresa. Serve una sinergia tra queste Ferrari e i Confidi.

Ferrari e Confidi insieme in un mercato finanziario che sta cambiando. Quindi si pone il problema della direzione: dove andare? Da che parte?

Esistono soggetti come il Fei che prende gli incarichi dalle autorità di gestione e ha come clienti non le imprese ma gli intermediari e in pratica sviluppa sofisticatissimi strumenti di ingegneria finanziaria cofinanziati da fondi comunitari e danno garanzie gratuite, cofinanziamenti a tasso agevolato. Chi sono i clienti del Fei? Gli intermediari e quindi questi dovrebbero entrare un po’ di più in questi mercati e capire come possono attingere ai servizi del Fei per far beneficiare le imprese.

Questi meccanismi in Sicilia sono poco conosciuti, poco praticati?

Zero, sono sconosciuti. I nostri fanno prodotti fatti in casa anche di grande valore ma se andiamo a vedere i fondi regionali quelli gestiti dall’Irfis rimaniamo sul tradizionale. E invece esistono già dei prodotti preconfezionati che sono delle opportunità. Ma c’è un altro aspetto su cui una riforma regionale potrebbe essere utile.

Parliamone.

Banca d’Italia sta spingendo con la riforma del Titolo V del testo unico bancario per sviluppare il cosiddetta direct landing, ovvero non più andare in banca a chiedere i soldi ma fare in modo che attraverso nuovi meccanismi di finanziamento si creino circuiti alternativi alle banche come avviene nei paesi anglosassoni. Questa dovrebbe essere la volta buona. Due anni fa sono usciti i mini bond e le cambiali finanziarie e quest’anno cominceremo a vedere gli effetti di questo meccanismo: io per esempio sto seguendo alcune emissioni. Più che i mini bond in Sicilia attecchiscono le cambiali finanziarie.

Come funziona la cambiale finanziaria?

La cambiale finanziaria è una emissione low cost che finanzia il circolante e va a sostituire l’anticipo fatture e quindi il credito a breve e non richiede tagli grossi, dura un anno e l’emissione ha un costo limitato. Bisogna avere il bilancio certificato e non è necessaria la grande società di revisione, i mercati su cui va a quotarsi hanno costi limitati, l’arrangement per esempio costa 6.500 euro. Ma la cambiale finanziaria dà la possibilità all’imprenditore che fattura 6-7 milioni o 10 milioni che quando scade dopo un anno può chiamare tutti gli investitori e chiedere: volete che vi rimborso la cambiale o me la rifinanziate? Ma deve far vedere i bilanci e altro. Quindi la cambiale ha anche una capacità educativa e può far innalzare il livello dell’imprenditoria. Io penso che queste cambiali finanziarie siano uno strumento adatto a questo territorio. Quando troviamo l’imprenditore di terza generazione, un quarantenne, lui recepisce. Capisce anche i meccanismi di crescita che questo sistema garantisce. Non c’è più bisogno delle banche si basa su investi rischio-rendimento, sono pubbliche, tutti vedono il rating, l’andamento e l’azienda diventa un po’ più pubblica. Mentre il mini bond era troppo sofisticato la cambiale può attecchire: il 2015 è l’anno della verità perché adesso ne stiamo emettendo tre e ovviamente sono prototipi. Si tratta di un mercato nuovo che comincia a essere aggredito anche dalle banche e che rischia di essere soffocato: i soldi sono quelli della banca e i titoli che vanno sul mercato sono quelli della banca. Noi stiamo dicendo: tu non devi farti confezionare la cambiale o il mini bond dal sistema bancario o altro perché così non hai fatto altro che chiedere i soldi alla banca, è cambiato solo il vestito. In realtà devi rischiare di emettere e ti devi andare a cercare lo sponsor: se sei credibile il pubblico ti finanzierà se non sei credibile non ti finanzierà.

E in questo mercato possono avere un ruolo anche i Confidi?

Confidi e finanziarie regionali possono avere un ruolo nell’ambito delle nuove forme di direct landing perché ci sono spazi per nuove forme evolute di finanza pubblica regionale: si possono assistere con nuove garabnzie pubbliche, ci sono i soldi perché c’è un’azione della programmazione 2014-2020 che aveva previsto (nella versione di luglio 2014) 102 milioni. Ora se non sono 100 saranno 75 milioni ma comunque sono parecchi soldi.

 

I Confidi per poter partecipare a queste nuove formule cosa devono fare?

Intanto quello che stanno già pensando è di avere un ruolo attivo nel tavolo del partenariato per proporre iniziative come le cosiddette cartolarizzazioni sintetiche, le tranched cover, e nel momento in cui la Regione ha già stanziato un congruo importo per i prossimi sette anni a questo punto spetta ai Confidi fare le proposte. Intanto la prima cosa di Assoconfidi è diventare più uno strumento tecnico che sindacale. La Regione Lombardia ha fatto nei mesi scorsi una due diligence dei Confidi per farli aggregare e ha aggiudicato il bando alla cordata di Confidi che era la più forte: ha aggiudicato 32 milioni. Stiamo parlando di soldi veri che servono per aggregare. La Regione può avere questo ruolo. Secondo me: ci sono i soldi, ci sono le competenze, ci sono i Confidi, a questo punto bisogna mettere insieme le forze. Bisogna rimboccarsi le maniche, fare un progetto. Bisogna mettere insieme tutti gli attori e indicare la direzione. Se non ci fossero le risorse sarebbe diverso. la fusione è un elemento di rafforzamento ma è solo il primo passo.