Ddl città metropolitane: scompariranno 52 comuni

palermoBenvenute città metropolitane, addio a 52 comuni siciliani. Si può sintetizzare così il ddl che è stato approvato ieri dalla giunta regionale siciliana che prevede la nascita di tre aree metropolitane (Palermo, Messina e Catania) e il contemporaneo accorpamento dei comuni limitrofi (52 in tutto) che diventeranno una sorta di municipalità, senza sindaco, ma con un presidente del Consiglio. A Palermo sarebbero accorpati 20 Comuni, 19 a Catania e 13 a Messina.Nascerà la figura di una sorta di super-sindaco della metropoli. Ovviamente il ddl dovrà prima passare al vaglio dell’Ars che potrebbe portare sostanziali aggiustamenti alla riforma.

Secondo la bozza di ddl, che verrà presentato domani all’Ars, le aree metropolitane si occuperanno di settori oggi di competenza della Regione, come gestione dei rifiuti, beni culturali, fondi europei ed edilizia popolare oltre alla gestione di quanto già competeva prima.

Il ddl si inserisce nell’ambito del riordino dell’assetto istituzionale in seguito all’abolizione delle Province. Infatti, parallelamente al ddl sulle città metropolitane camminerà all’Ars anche quello per l’istituzione dei Liberi consorzi di comuni, strutture sovracomunali che consentiranno ai paesi di gestire insieme alcuni servizi per creare risparmi.

“Tramite consultazione referendaria chiederemo ai cittadini appartenenti alle tre aree metropolitane di Catania, Messina e Palermo, di esprimersi su quale sia la città metropolitana a cui vogliono appartenere”, ha detto l’assessore regionale alle Autonomie locali Patrizia Valenti.

Critiche a questo provvedimento arrivano dalla Cgil Sicilia: “Si è usato il modello di Roma capitale – dice il segretario generale Michele Pagliaro – cancellando 52 comuni senza avere sentito le amministrazioni e senza avere attivato alcuna forma di democrazia partecipativa. Andando, inoltre, al di fuori di un’impostazione nazionale, più condivisibile e in linea col dettato costituzionale”. Pagliaro rileva che “in assenza di un confronto con le parti sociali che sarebbe obbligatorio su un tema così rilevante sta prendendo corpo un’impostazione che non convince né sotto il profilo istituzionale che sotto quello finanziario, economico e gestionale. Le tre città metropolitane assorbirebbero infatti il 50% circa della popolazione siciliana e il resto sarebbe distribuito nei liberi consorzi che stando alle indicazioni della legge regionale approvata a marzo sarebbero non meno di 16, con una frammentazione eccessiva che penalizzerebbe questi ultimi sia in termini di organizzazione dei servizi, che di risorse e di economie di scala”. L’idea della Cgil è invece “fare coesistere con le tre città metropolitane altri liberi consorzi di area vasta, in numero non superiore a quello delle attuali province, il cui compito sarà quello di organizzare lo sviluppo socio-economico del territorio (economia di prossimità) e soprattutto di gestire a livello territoriale le risorse comunitarie”. Al governo la Cgil contesta di non “stare affrontando per niente il problema del personale di Province e partecipate, si veda ad esempio il caso delle scuole provinciali, e soprattutto quello della situazione debitoria delle nove Province che hanno debiti che ammontano a circa 2 miliardi, tra residui passivi, mutui e debiti fuori bilancio”. Pagliaro chiede “come pensa la Regione di affrontare la questione della suddivisione di questi oneri?”.

Salvo Butera