Di Matteo ascoltato all'Ars. Ha parlato di mafia, politica, beni confiscati

Il sostituto procuratore della Repubblica, Nino Di Matteo, pm nel processo sulla trattativa Stato-mafia  è stato ascoltato dalla commissione regionale Antimafia, presieduta da Nello Musumeci.  Tra i temi affrontati, i rapporti tra mafia e politica, la normativa del 416 ter, l’urgenza di approvare il codice etico per gli amministratori e i parlamentari, l’inefficacia dell’attuale normativa nazionale sullo scioglimento dei Comuni per infiltrazioni mafiose, le norme anticorruzione e sul voto di scambio.
Nel corso dell’audizione, Di Matteo ha auspicato che «la politica non stia più nelle retrovie nel contrasto alla criminalità organizzata e non deleghi questo compito solo alla magistratura. Voi politici siete in prima linea come noi magistrati. E forse più di noi. Sogno però che la politica si riappropri della capacità di contrastare la criminalità. Accanto alla responsabilità penale, c’è per i politici una particolare responsabilità: compete loro, senza aspettare l’intervento della magistratura, escludere dalla vita politica chi ha rapporti con i mafiosi. La politica dovrebbe recuperare una capacità di denuncia e di etica delle responsabilità che a mio avviso ha perso».
«La politica non può delegare tutto alla magistratura – ha affermato il presidente della commissione Antimafia, Nello Musumeci -, anzi deve essere capace di arrivare prima delle Procure. Questo è stato un momento di confronto importante e un’occasione per dimostrare a Nino Di Matteo la solidarietà delle istituzioni nel difficile e coraggioso percorso che si trova ad affrontare e che lo espone a costanti pericoli». Musumeci ha annunciato la presentazione di un disegno di legge sulle «elezioni pulite» che prevede una serie di norme per selezionare, sul piano morale, presidenti di seggio, scrutatori e rappresentanti di lista e l’introduzione delle incompatibilità della normativa anticorruzione e approvazione dei protocolli sulle candidature.
Iniziative legislative che Di Matteo ha apprezzato: «Nella repressione sono stati fatti passi avanti, ma ora è necessario un salto di qualità: bisogna recidere i legami della criminalità con l’imprenditoria, la politica e col mondo delle professioni. Lotta alla mafia e lotta alla corruzione non sono due mondi separati. Oggi abbiamo un sistema ancora inefficace e non duro e rigoroso nei confronti dei fenomeni corruttivi».
Sulla sua sicurezza personale, Di Matteo, ha detto: «Ringrazio i carabinieri della mia scorta che si prodigano al massimo per la mia sicurezza. Per il resto non voglio entrare nello specifico. Io mi devo preoccupare di fare il magistrato. Io non ho subìto intimidazioni, nel senso del reale significato di questo termine. Nei miei confronti sono accadute altre cose, ci sono intercettazioni ambientali del capo di Cosa nostra e dichiarazioni di un collaboratore di giustizia su un progetto avanzato di attentato». E sui magistrati che si mettono in aspettativa per ricoprire incarichi politici, Di Matteo, rivelando di avere rifiutato diverse candidature, ha osservato: «Non sono contrario che un magistrato dismessa la toga possa assumere un ruolo politico. Sono convinto, però, che questo passaggio debba essere regolamentato da paletti più alti. Credo infatti che disorienti i cittadini il passaggio da un ruolo di magistrato inquirente ad un ruolo politico nel medesimo territorio. Su questo punto ho chiesto più volte un intervento legislativo».

L’On. Girolamo Fazio, componente della Commissione, ha sottolineato, durante il dibattito a porte chiuse, come sia «importante l’azione di sequestro dei beni ai mafiosi, in prima battuta, e di confisca successivamente, ma di ancora maggior rilievo deve essere posta in evidenza all’opinione pubblica l’azione positiva dello Stato nella gestione dei beni». Il procuratore Di Matteo ha convenuto con l’intervento di Fazio che ha aggiunto che «le aziende sequestrate e confiscate devono essere restituite all’economia legale, non bisogna farle chiudere ma, al contrario, far si che diventino un bene “onesto” per la comunità e per la produttività. Questo è il salto di qualità; quando lo Stato dimostrerà alla collettività che confisca non è uguale a chiusura ma anzi al potenziamento della produttività avremo centrato l’obiettivo».

GRATTERI. «La riforma antimafia è pronta, sono 130 articoli, l’80% dei quali può essere subito approvato con un decreto». Lo afferma il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, a capo della commissione nazionale per la revisione della normativa antimafia, a Radio Capital. «Un progetto di riforma a tutto campo per combattere le organizzazioni criminali. Un esempio? C’è la proposta di alzare le pene per il 416bis (associazione mafiosa, ndr) dai 5 anni di carcere attuali a una pena tra i 20 e i 30 anni».