Enoturismo, perchè in Sicilia ancora non decolla

Gli americani, gli australiani, gli argentini, i neozelandesi e persino i cileni, l’hanno capito che l’enoturismo frutta. In Italia invece il turismo arranca e soprattutto quello enologico. La fotografia al turismo legato al vino in Italia, e in Sicilia, è nel XII Rapporto sul Turismo del Vino in Italia, a cura delle Città del Vino e dell’Università di Salerno, presentato alla Borsa Internazionale del Turismo.
Il dossier ricorda che l’Italia è il paese con il maggior numero di siti Unesco al mondo. Ne abbiamo 50 in tutto il Belpaese e in Sicilia ce ne sono 8. L’Italia è il Paese con il più alto numero di vitigni utilizzati (200), seguiti dalla Francia (87). Quello con il più alto numero di Dop e Igp (270) davanti a Francia (217) e Spagna (179), ma anche il maggiore produttore di vino (con 44,4 milioni di ettolitri nel 2014) di misura dietro ai francesi (46,2 milioni). C’è il Barolo, il Chianti, e poi i siciliani Marsala, Passito di Pantelleria e il Nero d’Avola. La Sicilia ha 98 vitigni autoctoni, di questi 7 a diffusione regionale, 12 a diffusione locale e 71 vitigni indicati come reliquia o “antichi”. I dati parlano di una produzione di vino, quella siciliana, che da sola con 6 milioni di ettolitri nel 2013 supera quella di tutta l’Australia. Eppure, qui, dove si dovrebbe andare avanti a vino e turismo, l’enoturismo è una parola quasi sconosciuta. Non solo la Sicilia ma l’Italia intera è indietro rispetto ad altri paesi, come la Nuova Zelanda, che vanno ai primi posti mondiali dell’enoturismo. “Soffriamo di alcune debolezze croniche dovute principalmente al pesante scarto tra attrattività e competitività, alla mancanza di un’intesa strategica tra istituzioni e operatori, alla scarsità di azioni sistemiche in linea con le vocazioni territoriali e alla mancanza di un approccio di marketing per target e segmentazioni di mercato”, osserva il Rapporto. Quello legato al vino è un turismo in forte espansione in tutto il mondo, che attrae un bacino qualificato di turisti. Se poi la produzione del vino è arricchita, nei territori, dalla presenza di bellezze paesaggistiche e artistiche, come in Sicilia, allora il punto di forza in più c’è. Ma non lo si sfrutta. E si lascia l’iniziativa alle cantine, le poche cantine, che cercano di fare sistema con strutture ricettive, con centri di cultura in uno sforzo di comunicazione che spesso per l’assenza di un aiuto dalle istituzioni viene reso vano.
I punti di forza ci sono, dicevamo, in Italia e in Sicilia. Si potrebbe essere tra i primi paesi al mondo nell’enoturismo. Invece no. Primi tra tutti ci sono Usa, Australia, Nuova Zelanda, ma anche Cile, Argentina. Qui hanno saputo fare sistema, a differenza dell’Italia. Ecco, è questo quello che manca secondo il dossier: “uno spirito di collaborazione “sistemico” tra i produttori; il dialogo tra operatori turistici dei diversi settori; l’ utilizzo delle tecnologie e del web”.
Secondo i dati della Wine Tourism Conference gli arrivi turistici mondiali nel comparto enoturistico ammontano a circa 20 milioni, di cui solo 3 milioni sono gli arrivi italiani. Il brutto momento che sta passando il turismo nazionale non aiuta di certo l’enoturismo. L’Italia sta perdendo fette di mercato rispetto ad altri Paesi.
Da una recentissima ricerca condotta dalla società di consulenza turistica Jfc (pubblicata nel febbraio 2015) sulla base di dati ufficiali Istat ed Eurostat emerge, in maniera abbastanza drammatica, la debole crescita del settore turistico italiano in generale. Lo studio, analizzando i dati relativi ai tassi di crescita turistici regionali nel periodo 2003-2013, ha parlato di un’Italia turistica “ferma al palo” e incapace di reggere il passo dei concorrenti: nell’ultimo decennio, l’Italia ha visto incrementare i propri flussi turistici dell’8,6%, a fronte del +52,4% della Francia; +45,3% della Croazia; +40,7% della Grecia; +17,5% della Germania; +16,2% della Gran Bretagna; +11,8% della Spagna; +14% dell’Austria.
In tale contesto assume però importanza la crescita costante dell’enoturismo, fenomeno che negli anni ha registrato un continuo sviluppo, generando nel 2013 un giro d’affari di 4-5 miliardi di euro. Siamo ben al di sotto del potenziale, in gran parte da mettere ancora a frutto. Ci sono però delle mosche bianche. Danno esempio di buone pratiche le città del Vino, oltre ai casi della Franciacorta, delle Langhe, del Barolo, di Barbaresco, del Salento, di Montefalco e di altri territori c’è anche Marsala. Eppur si muove, sembra emergere dal rapporto. Ma in Sicilia si è ancora al medioevo sull’enoturismo.