In Sicilia le province sono soppresse, anzi no, sono potenziate…

Dopo una lunga maratona di commissariamenti degli organi di governo delle soppresse province regionali il disegno di legge governativo attuativo la riforma dell’ente intermedio siciliano è stato finalmente trasmesso all’Assemblea Regionale Siciliana. I 90 inquilini di Palazzo dei Normanni avranno ancora tempo per presentare eventuali emendamenti. Una prima e breve lettura del testo ci consente di individuare almeno dieci criticità alcune delle quali a serio e concreto rischio d’incostituzionalità. Preliminarmente va dato atto dell’avvenuto miglioramento della tecnica legislativa, certamente da accreditare al nuovo Assessore alla Autonomie Locali Leotta, già giudice di TAR. Queste le criticità evidenziate.

1)      Il legislatore insiste nel confermare l’istituzione delle tre città metropolitane in assenza di una preventiva modifica dello Statuto siciliano che all’art. 15 non contempla questa tipologia di ente  intermedio.

2)      I territori delle città metropolitane vengono, ope legis, fatti coincidere con quelli delle ex province regionali, così snaturando il significato di area metropolitana. Nessun appiglio di carattere scientifico può infatti supportare una scelta siffatta.

3)      I liberi consorzi comunali vengono riempiti, all’inverosimile, di competenze e funzioni, tanto da creare veri e propri enti territoriali di governo dell’area vasta, dimenticando  che i consorzi di comuni, quali enti associativi dei comuni concepiti dall’art. 15 dello Statuto siciliano, risultano dotati di autonomia amministrativa e finanziaria ma sprovvisti di quella politica. Tutto il contrario dello “svuotamento di funzioni” operato dal legislatore statale con la legge Delrio. Addirittura, vengono pure attribuite funzioni “proprie” in violazione alle più elementari nozioni di diritto pubblico. Le funzioni proprie sono tali perchè già possedute dall’ente locale e non per concessione ovvero attribuzione dello Stato o della Regione. Come tali vanno solamente riconosciute e non attribuite ex novo. E’ impensabile riconoscere funzioni proprie ad un ente consortile di nuovo conio.

4)      Ai liberi consorzi di comuni ed alle città metropolitane vengono quindi affidate anche le funzioni tributarie prima di competenza delle province regionali, avvalorando quindi la tesi dell’ente territoriale di governo e non dell’ente consortile. Infatti solo un ente territoriale di governo può esercitare la funzione amministrativa di tipo impositivo. Manca comunque una norma statale di coordinamento che trasferisca in capo ai nuovi enti la legittimazione alla ricezione e/o riscossione di tributi istituiti con legge statale.

5)      I liberi consorzi di comuni e le città metropolitane vengono assoggettate alle norme connesse alla finanza pubblica in assenza, anche in questo caso, di una norma statale di coordinamento essendo questa una materia i cui principi di coordinamento sono di esclusiva competenza statale.

6)      Gli organi di governo dei liberi consorzi di comuni e delle città metropolitane vengono nominati attraverso elezione di 2° grado, cioè da Sindaci e Consigli dei comuni consorziati. Un indebolimento del rapporto democratico tra rappresentante e rappresentato si giustifica in presenza di un ente, come quello concepito dalla legge Delrio, che esercita solo funzioni di indirizzo e coordinamento, cioè funzioni amministrative “leggere” e non per governare un ente che si prospetta molto più complesso della precedente provincia regionale. Al contrario, un ente intermedio che si potenzia ricevendo, ancorchè come eventualità, la gestione dei servizi idrici, dei rifiuti e della motorizzazione civile, richiede un impegno supportato da una elezione diretta dei rappresentanti, chiamati all’esercizio di fondamentali funzioni d’indirizzo e programmazione politica.

7)      Per l’adesione ex novo ad un libero consorzio di comuni viene previsto un referendum confermativo con quorum (la metà più uno degli aventi diritto). L’inserimento del quorum è poco conciliabile con la funzione confermativa del referendum quale segmento integrativo dell’efficacia delle decisione assunta dal consiglio comunale. Il quorum è infatti richiesto per i referendum consultivi in cui le scelte incidono su elementi fondamentali e costitutivi dell’ente locale: territorio e popolazione. L’adesione ad un consorzio di comuni, o il distacco dal consorzio originario, non incide in nessuno dei citati elementi, limitandosi solo a discriminare una scelta per la gestione e/o per l’esercizio associato di funzioni amministrative di area vasta. Né più, né meno, di quanto prevede l’art. 31 del TUEL che disciplina le modalità di gestione consortile dei servizi pubblici locali.

8)      Viene confermato ope legis la volontà di alcuni comuni, tra i quali Piazza Armerina, di distaccarsi dal consorzio di comuni originario in presenza di un referendum confermativo sprovvisto del medesimo quorum adesso previsto per legge.

9)      Vengono invece private di efficacia le delibere di distacco dai consorzi di comuni originari per quei comuni che alla luce della nuova estensione territoriale risultano inserite all’interno delle città metropolitane.

10)   Vengono confermati limiti stringenti (territoriali, demografici e amministrativi) per la costituzione di un nuovo consorzio di comuni in palese violazione del principio di autodeterminazione sotteso all’art. 15 dello Statuto siciliano.

In sostanza non solo non si sono sopprimono gli enti intermedi, ma con questa contro-riforma vengono potenziati in palese violazione dello Statuto siciliano. Anzichè consumare fiumi d’inchiostro legislativo, bastava molto più semplicemente modificare le leggi d’impianto delle ex province regionali (n. 9/86 ecc..) introducendo l’elezione degli organi di secondo livello.