In Sicilia una classe politica che coltiva "le catene del demerito"

Lo hanno già detto altri e dunque non è il caso di ripeterlo. Ma questa saga del rimpasto di governo ricorda molto i riti ammuffiti della Prima Repubblica: vertici, assemblee, direzioni di partito, chiacchiere su chiacchiere in nome del potere e della conservazione dei privilegi. Ora, è vero che il presidente Rosario Crocetta non può fare a meno dei partiti e che non ha una vera e propria maggioranza in Parlamento, ma è pur vero che i governi si costruiscono sulla base di progetti e non di indicazioni correntizie. Quale idea hanno Crocetta e i suoi alleati della Sicilia? Quale la prospettiva? Continuare a mantenere in vita una regione elefantiaca, lenta, ingombrante che frena qualsiasi iniziativa oppure liberare energie, pensare a un piano che svecchi un sistema imbalsamato? Dai territori arrivano segnali allarmanti: spesso gli uffici regionali si ergono a gendarmi, minacciano denunce mentre gli imprenditori chiedono aiuto, consigli, indicazioni, velocità. Il potere della burocrazia, che alza l’arma dei codici per impedire di fare e non per aiutare a fare, è uno degli elementi più pericolosi di questo stato di incertezza. Spesso i funzionari sono più impegnati a tutelare i propri privilegi mentre il sistema economico e sociale muore per soffocamento. Non è raro che imprenditori di buona volontà, cittadini operosi rinuncino a percorrere la strada della legalità per costruire, all’ombra, piccole attività: in nero, ovviamente. E’ il limite di questa terra: quell’economia che non emerge è destinata a rimanere di sussistenza, fuori mercato. Anche se produce beni che un mercato lo avrebbero. Sarebbe interessante misurare quanto vale questo sommerso, quanto valore aggiunto hanno creato coloro che pur di fronte alla faccia più dura e oscura dell’apparato burocratico non hanno rinunciato a fare quello che pensavano fosse giusto fare puntando su scambi interpersonali, non partecipando alla costruzione della filiera ma provando ad assicurarsi un reddito. Non è vero che in Sicilia non ci sono uomini di buona volontà. E’ piuttosto vero che continuano a vincere in questa dannata terra coloro che costruiscono “catene del demerito”, per citare un interessante concetto della professoressa Elita Schillaci.

Discutiamo di posti e di poltrone mentre l’asfissia è arrivata al massimo e i coltivatori di catene del demerito si trovano nelle stanze dei bottoni e lavorano alacremente affinché nulla si faccia, nulla cambi, nulla si muova. I giovani politici hanno mutuato gli antichi strumenti e invece di bonificare costruiscono nuove paludi: è l’occupazione del potere fine a se stessa. I siciliani chiedono atti concreti, sanno che ci sono i soldi dell’Unione europea da utilizzare, sanno che la prossima programmazione europea può essere decisiva, vogliono poter cogliere le opportunità e in molti casi hanno bisogno di sostegno, di organizzazione, di infrastrutture. C’è un vasto movimento che guarda alle start up, all’innovazione sociale. E sappiamo tutti che le crisi aprono spazi di ricostruzione e di rilancio su un nuovo livello, con nuove forme: pensare a come “passare a nuttata” in attesa che tutto torni come prima è da miopi, pensare di occupare il potere è il tradimento della politica.