Ingroia: “Io come Falcone alla ricerca di una strategia contro le mafie globali”

Dottor Ingroia, qualcuno dice che lei va via da Palermo e scappa in Guatemala: è una battuta ovviamente. Invece che va a fare? Quale sarà il suo ruolo?

Nessuna fuga e nemmeno una ritirata, anzi la considero un’avanzata. Andrò a fare il capo di questo organismo all’interno dell’Onu che si occupa di investigazioni e di analisi criminale in Guatemala. Non c’entra niente, come ha scritto qualche giornale, con la guerra civile.

Si è sentito isolato, in quest’ultimo periodo, per le polemiche sulla trattativa Stato-mafia e sulle intercettazioni indirette del Capo dello Stato: questo ha influito sulla sua scelta?
No, non è questa la motivazione decisiva, però non posso nascondere una certa amarezza per essere bersaglio da anni. Fa venire voglia di andare lì dove magari si è apprezzati pienamente.


Lei avrà un ruolo in un organismo che si occupa di reti criminali. Lei del resto in questi anni si è fatto una discreta cultura…
Si tratta di un organismo che ha la prevalente funzione di supportare le autorità nella lotta contro la criminalità organizzata. L’organismo si chiama Commissione contro l’impunità in Guatemala e ha diverse funzioni: la prima è legislativa, con supporto di conoscenza per nuove leggi, l’altra è giudiziaria poiché a causa della grande corruzione in quel paese vi sono poche condanne e molte assoluzioni. In questo quadro avendo io partecipato (per attività di investigazione e convegnistica) a numerosi incontri in Guatemala mi è stato offerto, dal capo di questo organismo che poi è l’ex governatore generale del Costa Rica, l’incarico di guidare l’unità di investigazione. con me collaborano una quarantina tra magistrati e poliziotti provenienti da tutto il mondo.
Se ne va sul più bello: mentre le indagini palermitane vanno avanti. Mi riferisco a quelle sulla trattativa Stato-mafia.
In realtà abbiamo chiuso. E poi se non ora quando?
Ma c’è lo stralcio dell’indagine…
Di questo non parlo. Dico che l’aspetto più importante è il dibattimento e il processo e ci sono colleghi capaci che sapranno ben fare.
Ha un peso sull’indagine il conflitto di attribuzione sollevato dal Quirinale per le intercettazioni indirette del presidente Napolitano con l’ex ministro Nicola Mancino, indagato nell'inchiesta palermitana sulla trattativa Stato-mafia?
No, non pesa sul lavoro. Ma devo dire con estrema sincerità che però c’è un clima, un'atmosfera in Italia che non giova alle istituzioni e all'autorevolezza di tutte le istituzioni. Sono il primo a fare autocritica io credo che in questo clima ci sia un inasprimento del riconoscimento delle prerogative di ciascun potere, di ciascuna funzione che va a volte a discapito della coesione. Dobbiamo ricostruire un tessuto di dialogo e anche di rispetto e di confidenza reciproca, nel senso del contrario della diffidenza.
Il nuovo incarico mi sembra interessante
Ritengo sia una sfida affascinante. Vent’anni fa Giovanni Falcone per primo capì che bisognava rilanciare la sfida sul piano nazionale. Io credo che sia arrivato il momento di puntare al livello internazionale.
Lei recentemente ha chiesto di riformare la legge sui pentiti. Cosa chiede in particolare?
Secondo me va tolto il limite dei sei mesi di tempo che i pentiti hanno per parlare. Credo che si tratti di un bavaglio imposto dalle norme dio sbarramento dei sei mesi. Va tolto questo sbarramento consentendo a chi vuole collaborare ma anche a chi è già collaboratore ma ha ovviamente superato i sei mesi di parlare e raccontare. Sarebbe un bel segnale che si vuole la verità a tutti i costi.