La Fiera “Fa la cosa giusta”, anche in Sicilia la sfida dell’innovazione per un’economia alternativa

Nei prossimi giorni 8 – 9 e 10 novembre, ai Cantieri Culturali della Zisa di Palermo – pregevolissimo esempio di archeologia industriale con un’ormai affermata vocazione culturale – si terrà la seconda edizione della mostra-mercato dell’economia solidale “Fa la cosa giusta Sicilia”, una Fiera del consumo critico e degli stili di vita sostenibili e responsabili sul piano sociale, etico ed ambientale.

Fa la cosa giusta Sicilia “ è una manifestazione – la prima in tutto il Meridione e oltre – che, pur dentro l’ispirazione di un marchio ideato dalla nota casa editrice “Terre di mezzo”, ormai sviluppatosi anche in ambito europeo, riguarda essenzialmente la Sicilia e le tante sue realtà socio-economiche virtuose e innovative, distanti dagli stereotipi generalizzanti una realtà negativa dell’Isola. Si tratta di una manifestazione costruita da siciliani – associazioni, cooperative e vari soggetti – che hanno realizzato “la cosa giusta” con un metodo partecipativo innovativo, anche rispetto all’ambito del marchio nazionale, con le sue altre esperienze nel Nord, costituendosi in un Comitato che ha elaborato e condiviso dei documenti fondativi e si è data un codice etico rigoroso per vigilare sulla responsabilità socio-etica e ambientale in tutti gli atti e le relazioni del Comitato. Una particolare attenzione è stata posta al contrasto socio-culturale della mafia e di tutte le forme di prevaricazione e corruzione proprie del sistema politico-affaristico e mafioso, purtroppo, ancora radicato nell’Isola, come in larghe aree nel resto del Paese.

La manifestazione punta a favorire lo sviluppo di una consapevolezza diffusa sui contenuti sociali, etici ed ambientali, facendosi vetrina di attività produttive, sociali e solidaristiche, ma anche offrendo un nutritissimo programma culturale che prevede convegni, workshop, laboratori, attività in collaborazione con Scuole ed Università, confronti con le Istituzioni, ecc. che toccheranno tutti i temi della Fiera. Giusto per citarne solo alcuni, dall’economia, alla finanza, all’ecologia, alle produzioni biologiche e di energie alternative, alla gestione dell’acqua e dei rifiuti, alla mobilità, alla solidarietà, ecc..

Fa la cosa giusta” siciliana vuole affrontare i drammatici vincoli allo sviluppo socio-economico dell’Isola, ma con la consapevolezza, ormai sempre più diffusa, di una crisi strutturale e globale dell’economia, oltre ogni congiuntura, che impone scelte drastiche sul piano della compatibilità e della sostenibilità delle politiche economiche e territoriali.

Più in generale, questa manifestazione di Palermo s’inserisce con tanti argomenti, come si diceva una volta, dal locale al globale, in un ripensamento dell’economia che ha ormai accumulato una sensibile diffidenza da parte di tanti rispetto alla presunzione di una scienza esatta, almeno da alcuni così spacciata, riassunta in affermazioni della serie: “l’economia è una cosa troppo seria per lasciare che se ne occupino gli economisti”. Si, gli economisti, una stirpe accademica di norma dedita – oltre, come dice i popolo, a legare l’asino dove vuole il padrone, impersonato dalle potenti lobbies politico-economiche dominanti – a diffondere un’idea fideistica dell’economia, da considerare una sorta di meteorite che qualche volta ci si rivolge contro, senza alcun avviso e come se nessuno lo avesse voluto o, addirittura, determinato. Si, l’economista tipo che non sa mai come tutto questo possa essere capitato e si preoccupa solo di suggerire, a danno fatto, come si può provare a schivare o ridurre gli effetti del meteorite, ineluttabilmente devastanti per i soliti noti, casualmente sistemati nei gradini più bassi dei redditi acquisiti. Vengono presentate ricette di macro e microeconomia che avendo una natura fideistica, possono anche non preoccuparsi di mostrare evidenti incoerenze e di segnare devastanti fallimenti, naturalmente riguardanti gli altri, sempre i soliti lamentoni che non arrivano a fine mese, che risiedono in città invivibili e in case orrende che, dopo averne pagato buona parte, per fortuna, le banche gli tolgono per via delle rate del mutuo che non riescono più a sostenere. Con questa missione riconosciuta agli economisti, insieme a lauti compensi calcolati extra-crisi, può succedere di decantare in certe fasi le virtù taumaturgiche del mercato, sempre in grado di autoregolarsi senza alcun deleterio intervento pubblico, mentre in altre fasi s’invocano misure d’intervento statale, per esempio per salvare qualche banca, definibili da socialismo reale applicato dopo la sua caduta rovinosa. Salvo poi, ovviamente, richiedere il ritiro del regolatore pubblico per garantire un’economia di mercato che, se si va a fondo con l’analisi, si scopre che non è esattamente in linea con quanto teorizzato da Stuart Mill e compagni – pardon…e colleghi – mostra un’interpretazione molto creativa del principio della libera concorrenza, del controllo sui conflitti d’interesse e di altri sacri principi del liberalismo che, però, valgono per i sempre più derelitti signor nessuno e non certo per le oligarchie economiche – finanziarie, padrone di tutto, perfino di quel debito sovrano che tanto li indigna mentre incassano le sempre più redditizie polizze. Insomma, un’economia di mercato “de noiartri”. Intanto, si sentono questi sacerdoti dello sviluppo parlare di ripresine che porteranno un aumento dello 0 virgola qualcosa del Pil che può aumentare se continuiamo a produrre sempre più automobili e apparecchi vari, costi quel che costi in termini sociali e ambientali, che non sappiamo più a chi vendere – considerata la devastazione consumistica nel tempo dei valori degli individui e delle famiglie e il loro essere economicamente stremati – e, soprattutto, dove metterli. Poi c’è il rigore nella spesa pubblica, normalmente appioppato ai più deboli che devono attendere che i ricchi riprendano a fare soldi a palate, magari sfruttando il loro lavoro e deprivandolo dei loro diritti, per sperare di potere mangiare, curarsi, istruirsi e altre amenità del genere. D’altra parte, in fondo si tratta di esigenze e diritti che vanno riconsiderati e calmierati perché non è possibile darli a tutti dato che, grazie a Dio economia, c’è qualcuno che li può avere e ne fa buon uso con una sanità saggiamente privata e diversificata, un’istruzione opportunamente selezionata per censo. Insomma un’avanzata verso mirabili orizzonti di pochi, ma buoni.

Qualcuno potrebbe considerare queste note come un malriuscito tentativo di riesumare un manifesto ideologico di opposizione politica. Forse, una volta potevano essere intese così, ma oggi mettere in discussione un gigante dai piedi di argilla come l’economia, che viene imposta nonostante gli evidenti disastri procurati, si presenta come una necessità dato che non serve più a nessuno che non voglia rimanere abbarbicato ad una ricchezza effimera perché basata sulla sostanziale devstazione. Questo stato non lo possono più sopportare le sempre più ampie fasce di deboli e indigenti e non lo può più sopportare il Pianeta. Quindi, non ha senso e prospettiva continuare a perpetuare teorie e misure economiche che non prendano atto di un capolinea che, probabilmente, manda nella soffitta della storia circa duecento anni di vicissitudini socio-economiche che hanno immaginato lo sviluppo esclusivamente come aumento indefinito delle merci prodotte, senza tenere conto delle compatibilità socio-ambientali e del fatto che le risorse del nostro Pianeta sono tutt’altro che infinite. Ma si fa strada una nuova consapevolezza che chiede di rivedere tutti i paradigmi dello sviluppo socio-economico, come finora è stato inteso, e tende a imporsi, nonostante l’irresponsabile supponenza di chi crede, certo non disinteressatamente, di potere perpetuare vecchie ricette compatibili con vecchi assetti economici che, prima che essere ingiusti, non reggono più.

Fa la cosa giusta Sicilia” ha voluto, all’interno di un movimento di consapevolezza più generale, costruire un percorso, anche siciliano, per cogliere queste contraddizioni e contribuire a fare uscire dall’emarginazione quanto di importante accade nella società in termini di innovazione e di costruzione di senso nelle relazioni socio-economiche.

A tal proposito vengono alla memoria le parole di un economista come Federico Caffè, guarda caso molto atipico e innovativo ante litteram: “E se l’interesse nell’appassionarsi allo studio dell’economia consistesse nella speranza che la povertà e l’ignoranza possano essere gradualmente eliminate?”

Insomma, una nuova economia che abbia l’ambizione e la determinazione per provare a fare una cosa giusta, finalmente e per tutti.