Le catene del demerito che attaccano la meritocrazia

Pubblichiamo un articolo tratto dal quotidiano La Sicilia a firma di Elita Schillaci, docente universitario alla facoltà di Economia dell’Università di Catania. Da leggere.

di Elita Schillaci

E’ opinione comune che nel nostro Paese il merito non sia per niente incoraggiato. I cervelli vanno all’estero, i nostri giovani sono costretti ad emigrare per trovare  lavoro, nelle aziende e nelle organizzazioni pubbliche e private non ci sono, o non vengono applicati, meccanismi per valorizzare il merito e per isolare il “demerito”. Rispetto al passato però oggi, finalmente, viene ricordata da studiosi, politici, opinion leader del nostro Paese la necessità di incoraggiare la “Meritocrazia” e il sistema di regole ad essa connesso. Il dibattito si riaccende naturalmente quando una rivista autorevole come Time dichiara tra gli “uomini” dell’anno al quinto posto una donna, Fabiola Gianotti, scienziato del Cern di Ginevra ed uno, tra i tanti, cervelli in fuga che il nostro Paese non ha saputo, né voluto, trattenere.
Io credo che il tema in Italia sia proprio questo: nel nostro Paese la questione è stata completamente ribaltata. Il punto non è tanto che il merito non venga incoraggiato, quanto piuttosto comprendere come, al contrario, il merito sia potentemente e scientificamente contrastato. Il merito viene spesso isolato, combattuto, di fatto costretto ad emigrare ed a trovare spazi più ampi e salubri per l’affermazione della dignità professionale ed umana.
Da qualche anno parlo di “Meritofobia” e trovo ovunque tanti esempi: nella ricerca, nella sanità, nelle aziende pubbliche e private, nelle istituzioni. Tra i giovani, le donne, le minoranze; tra chi viene considerato “eretico”, o diverso. Se vogliamo realmente valorizzare il merito dobbiamo partire da una valutazione onesta di questa patologia e dalla comprensione del perché il merito venga contrastato così energicamente. Altrimenti tutti i nostri sforzi saranno vani e ogni iniziativa rischia di produrre risultati superficiali e volatili: non dobbiamo solo curare il sintomo, ma identificare la causa del malessere ed intervenire più profondamente nella patologia.
I nostri giovani se ne sono accorti e questo è un gran problema. Si ritrovano sempre di più ad essere pessimisti, tra i più pessimisti d’Europa; a considerare che “l’aiutino” valga di più dell’impegno e dello sforzo; ad accettare rassegnati che paghi di più essere furbetti piuttosto che dimostrare di possedere talento. E’ dunque tempo di intervenire energicamente sulla “meritofobia”, smascherarla e fare sentire i meritevoli, o comunque le persone operose e di buona volontà, non più casi isolati, ma maggioranza silenziosa e composta. Da difendere e valorizzare.
Ci sono alcune questioni-chiave da cui può essere utile partire per contrastare la meritofobia e per aiutare l’affermazione della cultura del merito quale principio di libertà e di dignità personale e sociale. Tra queste, la comprensione che ai blocchi di partenza non siamo tutti uguali. E un po’ come essere ai blocchi di partenza di una competizione sportiva: se non si creano condizioni di eguaglianza tra i competitori,
è gioco facile per alcuni risultare vincitori. La cultura del merito deve partire proprio da considerazioni che affermino i sacrosanti principi delle pari opportunità per i giovani, le donne, le minoranze perché il sostegno al merito possa attecchire. Il merito porta a selezionare i migliori, azzerando i privilegi della nascita e valorizzandoli attraverso il sistema educativo. In questo senso meritocrazia coincide con l’essenza delle “pari opportunità”. A parità di condizioni di partenza
si fa strada il migliore. Chi valuta i “valutatori” del merito? Se chi deve valutare il merito a sua volta è costretto a rispondere a logiche non di merito ma di appartenenza, o è portatore di valori che mortificano le competenze e l’innovazione non può valorizzare il merito. Tende piuttosto a contrastarlo ed isolarlo.
Dunque attenzione a chi valuta il merito. Poi ci sono quelle che io chiamo “filiere del demerito”. Sono pericolosissime! Per contrastare il merito gli altri si aggregano, si alleano subdolamente. Il meritevole si attira le antipatie (e le invidie) di tutti: è un collante spaventoso. Pur di contrastarlo ci si accorda con tutti.
L’impegno e il talento non vengono perdonati, occorre allearsi per renderlo diverso e pericoloso. Poiché è vero: la sua diversità evidenzia i limiti e le mediocrità degli altri. Si giunge dunque alla fase finale, quella dell’isolamento: il meritevole diventa “lo zombie” del merito; se lo conosci lo eviti. E così il meritevole si isola; cerca altri spazi e nuove dimensioni per lavorare con impegno e passione. O al contrario, si mimetizza e, apparentemente, tende ad uniformarsi agli altri per evitare discriminazioni e contrasti. Ma in realtà non smette mai di essere meritevole. Perché, come affermò Sir Michael Young, un laburista inglese nel 1954 che inventò il termine “equazione del merito” I+E=M, dove “I” sta per intelligenza ed “E” sta per “effort”, sforzo, merito non significa dunque solo talento, ma soprattutto impegno e passione. E quella non si spegne mai!

 

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