Le motivazioni dell’assoluzione di Mori e Obinu per la mancata cattura di Provenzano

Le prove di una volontà degli ufficiali dei carabinieri Mario Mori e Mauro Obinu di favorire la latitanza del boss Bernardo Provenzano, portate dall’accusa, “non sono univocamente idonee” a dimostrare la coscienza e la volontà degli imputati”. E’ un passo delle motivazioni della sentenza con cui la Corte d’appello di Palermo, a maggio scorso, ha assolto Mori e Obinu dal reato di favoreggiamento del capomafia Bernardo Provenzano. Per i giudici, nella condotta dei due imputati, che pure mostrerebbe “zone d’ombra”, manca il movente visto che a procura generale ha rinunciato a contestare ai due ufficiali l’aggravante di avere favorito l’impunità di Provenzano nell’ambito della cosiddetta trattativa tra lo Stato e la mafia. La motivazione è stata depositata  ieri mattina.

Sul movente della Trattativa, i giudici sottolineano che la stessa Procura generale ha scelto di rinunciare alla contestazione dell’aggravante, dimostrando di non avere raggiunto “la prova rigorosa” necessaria per sostenere che la mancata cattura di Provenzano rientrasse nel patto fra i boss e rappresentanti dello Stato: “Se, come detto, le risultanze processuali sono inidonee – secondo lo stesso Procuratore generale – a ritenere dimostrata la contestata aggravante del nesso teleologico, le stesse sono parimenti inidonee a provare la sussistenza del movente della Trattativa”.

Nelle trecento pagine il collegio sottolinea che “le condotte contestate agli imputati rendono evidente come il Tribunale correttamente abbia affermato che queste sono idonee a configurare l’elemento materiale del delitto di favoreggiamento”. I giudici parlano di “scelte attendiste” in occasione del mancato blitz che, secondo l’accusa, avrebbe potuto portare alla cattura del padrino corleonese già nell’ottobre del 1995 a Mezzojuso. Così come ricorda “la scelta investigativa, discutibile ed in definitiva rivelatasi vana e dunque errata, di puntare tutto solo sulla prospettiva di un nuovo incontro dell’Ilardo (il confidente Luigi Ilardo, ndr) con il Provenzano; l’approccio sostanzialmente burocratico e sicuramente censurabile sul piano della solerzia investigativa nelle indagini per l’identificazione dei due favoreggiatori del Provenzano indicati dall’Ilardo, ed infine il ritardo con cui il rapporto ‘Grande Oriente’ è stato inoltrato alla competente Procura, risultano indubbiamente essere condotte ‘astrattamente idonee a compromettere il buon esito di una operazione che avrebbe potuto procurare la cattura di Bernardo Provenzano’, come affermato nella sentenza impugnata”.