Mafia, a Palermo ci si bacia ancora in fronte. E per il nuovo padrino….si fanno le primarie

Sei persone sono state arrestate oggi a Palermo con l’accusa di associazione mafiosa ed omicidio.  L’iniziativa dei Carabinieri ha sollevato il velo sul mandamento di Santa Maria di Gesù. Le telecamere e le microspie degli investigatori hanno ripreso le riunioni con i discorsi dei mafiosi sulle elezioni e i baci che a turno davano in fronte al nuovo padrino Giuseppe Greco. Per decidere alleanze e candidature avevano scelto una sala da barba: è lì, nel cuore del feudo di mafia di Santa Maria di Gesù, che i boss si riunivano prima di dar via alle elezioni per il rinnovo dei vertici del clan. E’ uno dei particolari dell’inchiesta dei carabinieri che ha anche fatto luce sull’omicidio di Salvatore Sciacchitano, ucciso il 3 ottobre scorso a Palermo. Sciacchitano avrebbe partecipato a un agguato contro un pregiudicato vicino alla cosca. Dopo poche ore la mafia l’avrebbe punito: segno della capacità militare del clan, in grado di organizzare in pochissimo tempo una reazione all’aggressione di uno dei suoi. Dall’inchiesta, dunque, emerge il ritorno ai vecchi metodi di designazione dei capi, una sorta di “democratizzazione” criminale seguita agli anni di tirannia della mafia dei corleonesi di Totò Riina. C’è anche uno dei sette ergastolani condannati e poi scagionati dal processo per la strage di via D’Amelio costata la vita al giudice Paolo Borsellino tra i sei fermati dai Carabinieri. Si tratta di Natale Gambino finito in cella insieme a Giuseppe Greco, già arrestato e condannato per associazione mafiosa.

Insomma, passano i decenni, ma le regole della mafia restano sempre le stesse. Anche nel nuovo secolo i boss procedono a eleggere capi e sottocapi per governare le «famiglie» e i «mandamenti», come avveniva quando esisteva la Cupola. E così, nel giugno del 2014 le microspie dei carabinieri del Ros hanno registrato una riunione in cui si discute della campagna elettorale per la scelta di chi deve comandare sulla zona di Santa Maria di Gesù, periferia sud-est di Palermo. Anche la mafia fa le primarie. Con tanto di bacio in fronte a suggellare la scelta dei candidati. Nella riunione del 20 giugno gli uomini d’onore parlano esplicitamente di «Cosa nostra»: una delle rarissime occasioni in cui utilizzano il nome svelato per la prima volta dal pentito Tommaso Buscetta più di trenta anni fa.

Una circostanza considerata di importanza storica dai pm della Direzione distrettuale antimafia guidati dal procuratore Franco Lo Voi e dall’aggiunto Leonardo Agueci, emersa dalle indagini su un omicidio avvenuto nell’ottobre scorso di cui sono stati arrestati i presunti mandanti ed esecutori. «A prescindere della confidenza che abbiamo… quando parliamo di Cosa Nostra…parliamo di Cosa Nostra!… Quando dobbiamo babbiare …babbiamo!», cioè scherziamo, dice il boss Natale Gambino, intercettato con altri quattro presunti mafiosi all’interno del negozio di un barbiere nel quartiere della Guadagna. È un summit di mafia ascoltato in diretta dagli investigatori che hanno visto gli uomini d’onore arrivare e il barbiere uscire prima che cominciasse la riunione. Gambino, 57 anni, è stato scarcerato nel 2011 in seguito alla richiesta di revisione del processo sulla strage di via D’Amelio (era stato condannato all’ergastolo sulla base delle dichiarazioni del falso pentito Vincenzo Scarantino), come il settantenne Salvatore Profeta, anche lui presente alla riunione, riarrestato un mese fa per mafia nell’ambito di un’altra indagine della polizia. I due parlavano con Giuseppe “Pino” Greco, 53 anni, già condannato per associazione mafiosa e tornato libero dopo aver scontato la pena; secondo gli inquirenti è lui l’uomo più importante tra i presenti, tanto che Profeta, nonostante sia molto più anziano, gli si rivolge con rispetto e deferenza: «Che piacere avere u zu Pinuzzu!».

Durante la lunga discussione Greco rimprovera Gambino per non aver obbedito a un suo ordine (probabilmente relativo alla riscossione dei soldi di un’estorsione): «E allora Natà… se siamo rimasti in un modo …ma perché dobbiamo fare in un’altra maniera?.»; e quello si scusa dicendo che non aveva capito: «Pino… a me mi dispiace che tu hai pensato… perché se tu mi dici una cosa …io che fa, non ci vado?». Profeta prova a giustificare Gambino, rimproverandolo a sua volta, dopodiché la riunione va avanti sui ruoli di vertice da assegnare nel mandamento di Villagrazia. «Io incarichi non ne voglio… io voglio essere solo diretto con te…e…no …sottocapo…», dice Gambino a Pino Greco.

L’anziano Profeta si associa: «Io pure… a me che devi fare …che sono rimbambito…», e gli altri ridono. Greco spiega che si svolgeranno le elezioni, Gambino annuncia il suo voto per lui, e Profeta promette che farà campagna elettorale in suo favore. In un altro passaggio lo stesso Salvatore profeta ricorda le votazioni per i vertici dentro Cosa nostra negli anni Settanta: «All’epoca si facevano mi pare… ogni cinque anni … ma sempre Stefano Bontade acchianava (risultava vincitore, o comunque comandava, ndr)!», riferendosi al capomafia palermitano assassinato nel 1981 su ordine di Totò Riina nella guerra scatenata dai Corleonesi. «Per fare queste votazioni ci voleva il posto buono…», interviene Gambino, e Profeta spiega: «Sì, ma… all’epoca cento… centoventi eravamo…». Oggi invece «se li sommi quanto siamo? Neanche a venti arriviamo!». Il figlio Nino, arrestato anche lui, ribatte «No, forse di più siamo», ma Salvatore Profeta insiste: «Venti… trenta». Rispetto agli anni ruggenti e degli omicidi a centinaia i numeri sono cambiati, ma i protagonisti invecchiati e i giovani epigoni continuano a perpetuare le stesse regole.