Mafia in Italia, ecco come cambia Cosa Nostra nel dossier della Dia

E’ stata presentata in Parlamento dal Ministro dell’Interno Angelino Alfano l’ultima relazione semestrale (secondo semestre del 2015) della Direzione Investigativa Antimafia, il documento che due volte all’anno, oltre al monitoraggio completo sui gruppi criminali italiani, sui loro rapporti, la capacità d’infiltrazione nel tessuto sociale e affaristico del Paese e le strategie utilizzate per avere maggiore influenza sul territorio d’interesse, delinea quelli che sono i risultati ottenuti dalle operazioni di contrasto alle mafie. L’aspetto che è stato maggiormente evidenziato in questa relazione è quello di una“strategia di impresa criminale”, messa a punto dalle organizzazioni italiane, che nel nostro Paese hanno diversi ruoli e ambiti territoriali di azione, ma all’estero sanno fare fronte comune e sfruttare la globalizzazione per espandere i propri affari utillizzando le nuove tecnologie, come il web, per abbattere i confine geografici.

La corruzione negli appalti pubblici – si legge nella relazione -, rimane tra le fonti di maggior guadagno della malavita. “L’imprenditore corrotto ricerca lui stesso l’intervento del mafioso per riceverne prestazioni quali protezione, vigilanza, offerta di informazioni riservate, accesso a circuiti politico-finanziari, illeciti finanziamenti, diritto a partecipare o ad aggiudicarsi gare di appalto; dall’altro, ‘cosa nostra’ concretizza obiettivi come quello di massimizzare i profitti, allentare la coesione sociale e depotenziare l’impegno civile contro la mafia“.

Per quanto riguarda più specificamente lo studio su “Cosa Nostra”, la relazione della DIA rivela una certa sofferenza e instabilità, specie in quella palermitana e catanese, dovuta anche alla scarcerazione di alcuni soggetti affiliati che potrebbero contribuire a rimettere in discussione lo status quo. Non esiste più una Cupola di comando e  secondo gli investigatori-analisti della DIA potrebbero esserci degli scontri tra le fazioni che vedono, da un lato i vecchi boss che tornano in libertà, e, dall’altro, quelli più giovani che oggi gestiscono clan sempre più rampanti.
A Trapani, invece, la situazione è totalmente diversa. Tra le famiglie e le consorterie trapanesi non ci sono conflittualità e mantengono stretto il loro rapporto storico con le consorterie palermitane. La caratteristica che contraddistingue la mafia trapanese dalle altre, è proprio la coesione dei gruppi e il capillare reticolo familiare, relazionale ed economico che ruota attorno al latitante di Castelvetrano, Matteo Messina Denaro. In sostanza, nonostante le varie operazioni che si sono succedute in questi anni abbiano colpito duramente il patrimonio del boss castelvetranese, i clan continuano a rimanergli fedeli. Nella relazione si legge che il circuito relazione che continua a proteggerlo è costituito da parenti, affini, cosiddetti “uomini d’onore”, affiliati e prestanome fidati.
Le attività investigative, svolte sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, puntano ad eroderne le fonti di sostentamento, scardinando la complessa catena logistica che lo sostiene.

Un duro colpo alla rete relazionale del latitante di Castelvetrano è stato dato con l’operazione “Hermes”, a seguito della quale sono stati arrestati 11 soggetti, ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere di tipo mafioso e favoreggiamento personale aggravato.
E’ stata ricostruita la rete di distribuzione dei “pizzini” diretti al latitante o da questi prodotti per comunicare con i familiari.
Sul piano generale, Cosa Nostra trapanese continua a caratterizzarsi per la spiccata propensione a infiltrare, anche attraverso interposizioni fittizie, i centri di potere e di controllo amministrativo – finanziario, per ottenere il monopolio dei settori maggiormente remunerativi, primo fra tutto quello degli appalti pubblici.

In questo senso, assume una particolare rilevanza l’operazione “Alqamah”, finalizzata a disarticolare la famiglia mafiosa di Alcamo. L’indagine ha documentato l’ingerenza nel tessuto economico sociale di imprese attive nei settori dell’edilizia, del movimento terra e della commercializzazione di vino all’ingrosso, apparentemente lecite, ma di fatto riconducibili a soggetti condannati con sentenze passate in giudicato per associazione mafiosa e intestate a prestanome compiacenti, al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali. A questa strategia imprenditoriale si affianca, poi, il ricorso alle estorsioni, quale strumento di controllo del territorio. Anche in quest’area lo spaccio di sostanze stupefacenti, assieme ai reati predatori, costituisce la principale attività della manovalanza straniera, che si colloca, comunque, in posizione subalterna alle consorterie mafiose.

A completamento del quadro delineato su “Cosa Nostra” trapanese, bisogna ricordare chela relazione della DIA conferma la sua naturale suddivisione storica in quattro mandamenti: quello di Trapani che comprende anche le famiglie di Custonaci, Paceco e Valderice; il mandamento di Alcamo con le famiglie di Calatafimi e Castellammare del Golfo; quello di Castelvetrano che comprende anche Campobello, Gibellina, Partanna, Santa Ninfa e Salaparuta/Poggioreale e, infine, quello di Mazara del Vallo con le famiglie mafiose di Marsala, Salemi e Vita. Nello studio della DIA non si fa cenno nè riferimento ai fatti che hanno caratterizzato l’ultimo periodo, con le diverse operazioni di contrasto alla droga seguite all’omicidio a Marsala del maresciallo dei carabinieri Silvio Mirarchi, come non si parla delle ultime indagini sulle logge massoniche condotte dalla Procura di Trapani.

Per quel che riguarda gli affari della criminalità organizzata, la relazione degli uomini della DIA evidenzia come negli ultimi anni ci sia un ritorno ad un ruolo di primo piano nella gestione della filiera della droga e questo sta avvenendo instaurando rapporti diretti con le organizzazioni straniere che mantengono forti legami con esponenti della ‘Ndrangheta. Le indagini fuori dai confini nazionali – si legge nella relazione – hanno evidenziato come la criminalità organizzata calabrese sia divenuta primario referente delle famiglie di cosa nostra statunitense. Cosa Nostra continua a fare ricorso alle estorsioni per affermarsi sul territorio. Lo fa con il canale classico chiedendo il “pizzo”, ma anche proponendo canali illegali di finanziamento, poi funzionali alla progressiva sostituzione nella conduzione delle attività economiche. E’ questo il metodo con il quale Cosa Nostra si infiltra nel tessuto imprenditoriale specie in aree economicamente depresse.

E come già detto, proprio il settore degli appalti pubblici attraverso il condizionamento della Pubblica Amministrazione, è fra gli interessi primari di Cosa Nostra che si nutre della corruzione. Gli investigatori ritengono la corruzione l’humus ideale per l’affermazione delle mafie. La corruzione è, infatti, in grado di creare quelle condizioni ideali per far permeare le mafie. E’, insomma, da considerare come un reato spia di un meccanismo malato, la cui unica finalità è proprio quella di infiltrare e condizionare i processi legali della Pubblica Amministrazione.