Mafia, operazione Reset: l'esempio di Giuseppe Sciortino, che ha avuto il coraggio di denunciare il racket ma è stato sconfitto da debiti e debitori

Ha avuto il coraggio di denunciare il racket mafioso ma si è arreso alla crisi, alla pressione dei creditori, ai ritardi dei committenti che non pagavano i lavori eseguiti. Giuseppe Sciortino, 56 anni, imprenditore edile di Bagheria, si è impiccato nel suo magazzino in via Carlo Alberto Dalla Chiesa al piano terra della propria abitazione, nel quartiere a ridosso dell’autostrada. I parenti lo hanno trovato sospeso a quattro metri di altezza.

Pochi giorni prima si era presentato dagli investigatori e aveva raccontato le vessazioni subite dalla mafia. La storia è stata raccontata dal procuratore aggiunto di Palermo Leonardo Agueci nell’ambito della conferenza stampa sui 31 fermi eseguiti dai carabinieri che con l’operazione Reset hanno azzerato la Cupola nel palermitano. Un uomo stanco delle vessazioni subite, che «era sul lastrico» ha raccontato Agueci e che «ha collaborato in modo completo e generoso. Poi è stato oppresso dai debiti e si è impiccato dopo aver fatto la denuncia». Sciortino è una delle tante vittime della mafia che continuava a dettare legge e voleva farlo dandosi una nuova organizzazione capillare sul territorio. I boss avevano costituito il direttorio, una struttura di governo dal cui capo partivano tutte le decisioni  cui doveva obbedire anche il reggente del mandamento, sostituendola all’ormai inesistente cupola, quella guidata da Totò Riina. E lo avevano fatto proprio a partire da Bagheria, luogo fondante della mafia secondo la definizione del procuratore di Palermo Francesco Messineo. Tra di loro pezzi da novanta come Carlo Greco ritenuto il reggente del mandamento di Bagheria e fratello di un capomafia storico del bagherese come Leonardo Greco, ma anche Giuseppe Di Fiore, reggente opertativo del mandamento, e Carlo Guttadauro, fratello di Giuseppe e di Filippo, il cognato di Matteo Messina Denaro. E tra i 31 soggetti destinatari del provvedimento di fermo eseguito stamattina dai carabinieri di Palermo guidati dal colonnello Pierangelo Iannotti su ordine della procura del capoluogo siciliano ci sono anche capi storici e singoli capi famiglia, di una vasta area del palermitano che va da  Bagheria ad Altavilla Milicia. Le accuse nei confronti dei fermati sono, a vario titolo, di associazione mafiosa, omicidio, sequestro di persona, estorsione, rapina, detenzione illecita di armi da fuoco e danneggiamento a seguito di incendio. “Sono state accertate 44 estorsioni: 19 consumate, 25 tentate – dice Iannotti –. Per la prima volta ben 20 vittime hanno confermato la pressione estorsiva alla quale erano sottoposte, alcune anche da decenni”.
Ma la vicenda di Giuseppe Sciortino è esemplare in questo territorio. Lo si capisce dal comunicato di Addiopizzo: «Nell’ambito delle indagini, diversi operatori economici hanno collaborato e denunciato, avvalendosi dell’ausilio e del supporto di Addiopizzo che da tempo è impegnato sul territorio della provincia – si legge -. Addiopizzo ha seguito e supporta alcuni commercianti e imprenditori che hanno avuto la forza e il coraggio di collaborare e denunciare le estorsioni subite tra i comuni di Bagheria, Altavilla Milicia e Santa Flavia. Anche se per molti anni le infiltrazioni e i condizionamenti di Cosa Nostra sono risultati gravi sul tessuto sociale ed economico del territorio della provincia, le indagini odierne, oltre alle operazioni antimafia di questi ultimi anni, registrano dei significativi segnali di resistenza da parte di alcuni operatori economici. La straordinaria azione repressiva delle forze dell’ordine e dei magistrati, i diversi collaboratori di giustizia e il percorso di affrancamento dal fenomeno estorsivo di alcuni commercianti e imprenditori, sostenuto dalle associazioni antiracket, rilevano come anche su questa difficile area ci possano essere le condizioni per sgretolare il muro di omertà e voltare pagina. Vogliamo cogliere questa importante occasione per rilanciare l’appello a collaborare a tutti gli imprenditori e gli esercenti che vivono ancora adesso stretti dalle maglie del racket. È il momento giusto per decidere di non sottomettersi e non pagare, prima che si formi una nuova rete di estorsori ed è quindi il momento ideale per confermare agli organi preposti quanto si è finora subito».