Mafia, parla Di Pisa: falsificarono la mia impronta per coprire le malefatte su Totuccio Contorno

«Ora basta: è vent’anni che questa storia va avanti. Non sono io l’autore delle lettere del Corvo come è stato dimostrato anche nelle aule giudiziarie». Alberto Di Pisa, procuratore di Marsala, in quel posto che un tempo fu occupato da Paolo Borsellino, tiene sul tavolo la sentenza che porta la firma di Gregorio Balsamo del Tribunale di Caltanissetta con la quale viene condannato il fratello di Paolo Borsellino, Salvatore. Processato e assolto in secondo grado per la vicenda delle lettere anonime, passate alla storia come le lettere del Corvo, nelle quali venivano mosse pesanti accuse a Giovanni Falcone, al capo della polizia Vincenzo Parisi, il capo della Dia Gianni De Gennaro e altri: tutti indicati come i registi del ritorno in Sicilia del pentito Salvatore Contorno venuto per stanare ed uccidere Totò Riina, allora latitante. Il tribunale nisseno, nella sentenza di secondo grado, censurò anche il lavoro di indagine fatto dagli uomini dell’Alto commissariato per la lotta contro la mafia allora guidato da Domenico Sica (deceduto qualche giorno fa).

Ma nonostante la verità giudiziaria il 26 aprile 2009, nel corso di un intervento al convegno “Information Day”, Salvatore Borsellino esternò il proprio disappunto per la decisione del Csm di assegnare a Di Pisa la poltrona che fu del fratello Paolo. E qualificò come persona “non degna” l’attuale procuratore di Marsala, definendo una “ignominia” la scelta del Csm di nominare per quella carica il magistrato che fu sospettato di essere il “Corvo” di Palermo. Borsellino fu querelato da Di Pisa e ora il giudice civile del Tribunale di Caltanissetta Gregorio Balsamo, ritenendo quelle affermazioni lesive dell’onore e della reputazione professionale di Alberto Di Pisa, ha condannato Salvatore Borsellino al pagamento di un risarcimento danni, non patrimoniali, di sei mila euro in favore del procuratore di Marsala. «La ricostruzione del processo cui è stato sottoposto Di Pisa – scrive il giudice Balsamo nella sentenza – sembra volta a suggerire all’uditorio che l’assoluzione in appello sia stata esclusivamente la conseguenza della mancata utilizzabilità dell’impronta digitale, in ogni caso senza dubbio ricondotta all’imputato. Così tuttavia non è. Invero, ribaltando le conclusioni cui era giunto il giudice di primo grado, la Corte d’appello di Caltanissetta non solo ha ampiamente confutato la tesi dell’utilizzabilità della prova, ma ne ha anche minato l’attendibilità intrinseca, passando successivamente alla valutazione, con esito sfavorevole per le tesi dell’accusa, anche degli ulteriori elementi probatori addotti dal Tribunale a sostegno della sicura riconducibilità degli scritti anonimi a Di Pisa». Il giudice Balsamo scrive inoltre, che «non risponde tra l’altro al vero quanto affermato dal Borsellino e cioè che Di Pisa non si sarebbe mai sottoposto volontariamente al rilevamento delle proprie impronte digitali, avendo invece la Corte d’appello dato atto del contrario».

E la sentenza del giudice civile diventa l’occasione per tornare su vicende inquietanti, su intrighi e messaggi anonimi, su faide all’interno dell’apparato investigativo. L’ombra dei veleni che purtroppo si ripresenta a Palermo ogniqualvolta si indaga sull’opacità dei comportamenti degli apparati dello Stato: ieri era Contorno, oggi il “Protocollo Farfalla”. Ma Di Pisa non ci sta e chiede di essere lasciato in pace: «Questa storia deve finire. Da vent’anni si ripete ancora questo ritornello. Muore Sica e ricominciamo».

Perché secondo lei non fu stoppata questa storia.

«Io ho fatto delle cause. A Repubblica che fu condannata a pagare 120 milioni».

In quell’intervento di Salvatore Borsellino si faceva riferimento a un suo trasferimento.

«Fu annullato e poi dopo l’assoluzione fu revocato. Addirittura, quando andai al Csm dopo l’assoluzione, mi proposero di andare alla Superprocura. E noi abbiamo fatto quattro anni sul nulla».

Le lettere del Corvo nascevano dall’utilizzo di Contorno.

«Ma io i dubbi che avevo su questa vicenda li avevo manifestati pubblicamente a tutti: al capo della procura, ai colleghi, ai carabinieri. Che motivo avevo di scrivere l’anonimo? Su quelle benedette lettere c’erano otto impronte che non erano mie. Di chi erano? Poi ce n’era una che dicono sia mia, che non si vede perché c’è una macchia, e che in realtà è una fotografia dell’impronta che Sica mi aveva preso quando io andavo là e che poi hanno provato a trasferire sul documento. E ancora continuano a dire questa fesseria dell’impronta inutilizzabile».

Questa vicenda fa pensare al “Protocollo Farfalla” di cui si parla in questi giorni.

«Del Protocollo Farfalla non parlo altrimenti dicono che sono stato io. E’ evidente, e lo dice anche la sentenza, che allora c’era una faida all’interno della Criminalpol, lo sanno tutti. Dice la sentenza: evidentemente quella lettera è stata scritta da chi aveva ascoltato le intercettazioni. Che io non avevo sentito e non avevo letto i brogliacci. E anche lì, sulla vicenda di Contorno, non è mai stata fatta alcuna indagine nonostante io quando fossi in Procura avessi detto: vediamo come stanno le cose. Contorno doveva a stare in America e si trovava a Santa Flavia. Io lo avevo detto a tutto il mondo che bisognava fare l’indagine sulla presenza di Contorno in Sicilia».

Fu una vicenda che poi passò sotto silenzio.

«Lasciamo perdere. Ogni volta che si parla della vicenda del Corvo si torna a dire che quella impronta era inutilizzabile eccetera ma io non posso mettermi a querelare tutti i giornali. La sentenza della Corte d’appello di Caltanissetta: Sica ha fatto un’attività assolutamente illegittima e addirittura si sono spinti a creare l’impronta. Il problema è che quando loro credono all’inizio di aver trovato questa impronta e danno la notizia a tutto il mondo (al capo dello Stato e così via) poi si accorgono che è un errore fatto dal personale dell’Alto commissariato perché quando la fanno vedere all’esperto del Sismi quello risponde: è compatibile ma è come dire che io e lei abbiamo la stessa altezza ma non siamo uguali. Allora che fanno di notte vanno nel laboratorio dei servizi e cercano di trasferire l’impronta. La sentenza d’appello dice si sono spinti a ricavare con modalità fraudolente l’impronta di Di Pisa. Questo per quanto riguarda l’impronta. Ma hanno aggiunto: abbiamo le prove e gli elementi che Di Pisa non c’entra. Anzi addirittura dice chi può essere stato».

Da questa sentenza doveva nascere un’altra indagine che non è nata?

«Poi denunciai Sica, per usurpazione di pubbliche funzioni, perché ha fatto una serie di indagini che non poteva fare, e Sica fu imputato a Roma. E poi intervenne l’amnistia e lui non ha rinunciato. Intervenne l’amnistia e si estinse per amnistia non per nel merito».

Come si sente lei dopo vent’anni?

«Io cerco di rimuovere e dopo vent’anni c’è sempre l’occasione. Basta, finiamola: dopo vent’anni con questo falso che devono ripetere in continuazione».