Messina Denaro, i mafiosi sono stufi. I retroscena dell'operazione di ieri

Matteo Messina Denaro ormai è visto da Cosa nostra, almeno a Palermo e dintorni, come un ostacolo, non certo come un capo o un punto di riferimento. E’ uno degli aspetti più singolari che viene fuori dall’ultima importante operazione antimafia dei carabinieri del Ros che ha colpito duramente i mandamenti di Villagrazia-Santa Maria di Gesù, a Palermo, e di San Giuseppe Jato, in provincia, con 62 arresti, tra anziani padrini e insospettabili.

Sorprendenti alcune intercettazioni che testimoniano una crescente insofferenza verso i capi corleonesi storici, Totò Riina e Bernardo Provenzano, e il superlatitante di Castelvetrano. “Minchia hai visto Bernardo Provenzano…? sta morendo… mischino…”, diceva Santi Pullara, uno dei pezzi grossi di Santa Maria di Gesù, figlio dell’ex reggente Ignazio. “E se non muoiono tutti e due, luce non ne vede nessuno… e’ vero zio Mario?”, chiedeva al potente e influente capomafia Mario Marchese che interpellato in merito concordava: “Lo so”, e aggiungeva che il cambiamento doveva coinvolgere anche gli esponenti a loro legati: “Non se ne vedono lustro e niente li frega… ma no loro due soli, tutto ‘u vicinanzo”, facendo poi i nomi dei più importanti appartenenti allo schieramento corleonese: i fratelli Graviano, Leoluca Bagarella e appunto  il latitante Matteo Messina Denaro.
Le vecchie famiglie di Cosa nostra sono ridotte allo stremo, a Palermo e in provincia, e soffrono da un lato la “presenza” ingombrante dei Corleonesi, che, con Riina e Provenzano ancora in vita, si ritengono sempre al comando di Cosa nostra. Dall’altro lato soffrono l’assenza, per così dire, di Messina Denaro, che non solo dai palermitani non è stato mai riconosciuto come un capo, ma la sua latitanza è un elemento di fastidio perché attira le attenzioni delle forze di polizia che sono sulle sue tracce. Alcuni pensano che questa insofferenza, che in realtà è venuta fuori anche da altre conversazioni intercettate in un’altra operazione antimafia nel Belice, sia in qualche modo il segno  che Matteo Messina Denaro sia stato “posato” da Cosa Nostra, e, insomma, la cattura del boss è sempre più vicina.

I LEGAMI NUOVA MAFIA-IMPRENDITORIA – C’è l’imprenditore colluso, il ‘cliente’, lo ‘strumentale’. Il ‘subordinato’. E c’e’ quello inginocchiato. Il controllo de territorio della mafia e’ esercitato in forme estremamente pressanti e capillari, perfino umilianti. E’ l’altro elemento importante che emerge dalla vasta operazione antimafia che ha portato all’arresto di 62 persone, rivelando la scarsa propensione alla denuncia, soprattutto a Palermo che appare indietro anche rispetto alla sua provincia.

Nell’abitazione dell’anziano e potente padrino di Villagrazia, Mario Marchese, si e’ assistito a un incessante via vai di imprenditori subordinati a Cosa nostra, pressoche’ prostrati, al fine di regolarizzare il rapporto con l’organizzazione mafiosa; alcuni di questi imprenditori arrivano addirittura a mettersi in ginocchio in segno di rispetto nei confronti di Marchese, dal quale ricevevano indicazioni sull’impresa da incaricare per la realizzazione di un importante progetto edilizio. Questo potente controllo del territorio ha fruttato ingenti profitti all’organizzazione. Di una vasta lottizzazione – in base a una intercettazione – era andato per esempio a parlare con Marchese un ex consigliere comunale di Monreale: “Vuoi che mi metto in ginocchio, in memoria di mio padre mi metto in ginocchio! Perché’ ti ho sempre stimato e noi ci siamo voluti sempre bene!”. “Noi ci siamo sempre rispettati”, era stata la risposta.

Rispetto a questi imprenditori il procuratore Franco Lo Voi ha evocato la necessita’ di una norma che li sanzioni adeguatamente: “Chi non parla, chi fa affari, chi cerca prima e sfrutta poi i contatti con Cosa nostra, chi arriva persino a inginocchiarsi, dovrebbe essere inquadrato in qualche categoria giuridica che facciamo fatica oggi a individuare. Come e’ stato regolamentato lo scambio politico-mafioso, cosi’ dovremmo regolamentare lo scambio economico-mafioso”.

Nell’ordinanza firmata dal Gip Gugliemo Nicastro, vengono fotografate varie figure: “l’imprenditore colluso“, quello cioe’ che stipula con l’organizzazione mafiosa un accordo dal quale scaturiscono obblighi reciproci di collaborazione e di scambio; “l’imprenditore cliente”, che stabilisce interazioni reciprocamente vantaggiose per il perseguimento d’interessi comuni nel quadro di una particolare relazione clientelare; “l’imprenditore strumentale”, che non avendo rapporti continuativi, negozia caso per caso le eventuali il ‘patto’ secondo le esigenze contingenti; “l’imprenditore subordinato”, che e’ assoggettato all’associazione mafiosa attraverso un rapporto fondato sull’intimidazione o sulla pura coercizione, finalizzata ad ottenere prestazioni, come il pagamento della protezione.