Omicidio Agostino, chiesta l'archiviazione per "Faccia da mostro"

I dubbi restano, ma non bastano per sostenere un processo. Cosi’ la pensa la Procura di Palermo che ha chiesto l’archiviazione per Giovanni Aiello, l’ex poliziotto della Mobile, indicato come ‘Faccia da mostro’, nell’ambito dell’inchiesta sull’omicidio dell’agente Nino Agostino, ucciso insieme alla moglie a Villagrazia di Carini, il 5 agosto 1989:

“L’attività di indagine svolta in esecuzione dell’ordinanza del gip non ha consentito di acquisire quegli auspicati riscontri individualizzanti in termini di certezza probatoria sufficiente a esercitare proficuamente l’azione penale e, successivamente, a resistere all’eventuale vaglio dibattimentale che si intendesse instaurare nei confronti dei tre indagati”.

Di Aiello, indicato come emissario dei Servizi deviati e ritenuto invischiato nelle trame ancora oscure delle stragi del ’92, diversi pentiti hanno parlato anche nei processi in corso a Caltanissetta. Non e’ bastato dunque il ‘riconoscimento all’americana’ fatto lo scorso 26 febbraio da Vincenzo Agostino, il padre dell’agente ucciso che da allora porta in giro la sua lunga barba bianca per chiedere verita’ e giustizia per quella morte: allora aveva riconosciuto senza dubbio l’ex poliziotto come l’uomo che vide a Carini subito dopo il delitto. Cosi’, i titolari delle indagini, i sostituti procuratori Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene, hanno firmato la richiesta di archiviazione che riguarda anche i boss Nino Madonia e Gaetano Scotto. La parola adesso passa al Gip.


LA SORELLA DI AGOSTINO: “UNA PUGNALATA”
“E’ arrivata un’altra pugnalata al cuore, la richiesta di archiviazione. Restiamo in piedi come sempre, a testa alta e con la schiena dritta. Noi. Dio e’ grande e a lui affido tutto”. Lo scrive su Facebook Nunzia Agostino, sorella dell’agente Nino, ucciso dalla mafia il 5 agosto 1989, dopo la notizia della richiesta di archiviazione della posizione dell’ex poliziotto Giovanni Aiello, noto come ‘Faccia da mostro’, avanzata dalla Procura di Palermo nell’ambito dell’inchiesta sul delitto.

LA FAMIGLIA: “NINO UCCISO UN’ALTRA VOLTA“. “Ancora una volta mio fratello e’ morto. Dopo 27 anni siamo ancora in cerca della verita’. E della giustizia”. Parla a nome della sua famiglia Nunzia Agostino, sorella di Nino, l’agente della polizia di Stato ucciso il 5 agosto 1989 assieme alla moglie Ida Castellucci. Nunzia e’ accanto ai suoi genitori – Nino e sua madre, Augusta – che hanno appreso la notizia della richiesta di archiviazione per “Faccia da mostro”, il poliziotto Giovanni Aiello, formulata dalla Procura di Palermo e depositata al Gip. “In questo momento mio padre e’ ammutolito, senza parole… cosa vuole che dica dopo questa pugnalata?”.

 

La richiesta di archiviazione porta la firma del procuratore aggiunto Vittorio Teresi e dei pm Nino Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia, impegnati anche nel processo sulla presunta trattativa fra Stato e mafia. La stessa richiesta era stata già avanzata nel 2011, alla scadenza dei termini per le indagini preliminari, ma in quel caso la gip Maria Pino aveva accolto l’opposizione del legale e dei familiari, respingendo la richiesta e predisponendo ulteriori indagini.

Questo è il commento che sul Foglio fa Massimo Bordin:

“Mio fratello è stato ucciso un’altra volta”. Così la sorella dell’agente Nino Agostino, ucciso, insieme alla moglie incinta, 27 anni fa a Villagrazia di Carini, ha commentato la richiesta di archiviazione della indagine nei confronti del poliziotto Giovanni Aiello, detto “faccia da mostro”. “Una pugnalata”, così la sorella del poliziotto ucciso ha definito l’iniziativa dei pm di Palermo, gli stessi che conducono il processo sulla cosiddetta trattativa. La storia di “faccia di mostro”, del pentito “Nino il nano”, dell’altro pentito Vito Galatolo, quello che disse “è arrivato a Palermo un bidone di esplosivo per il dottore Di Matteo”, sono storie che vi abbiamo già raccontato qui. Inserite nel processo principale, riaprono vecchi processi e mai sopite aspettative. Poi scadono i termini, bisogna decidere e non si può non convenire come non ci sia una prova, tanto che sono gli stessi pm ad ammetterlo. Qui ve lo si era raccontato per tempo, mentre la giostra mediatico-giudiziaria magnificava le inchieste e parlava di veli squarciati e di verità accertate dagli acuti e coraggiosi inquirenti, che lasciavano dire, fino all’inevitabile momento del redde rationem. Forse è ingiusto che ora Di Matteo e Teresi, vengano trattati da pugnalatori ma sempre più è lecito e ragionevole chiedere conto di un metodo di indagine così fallimentare da produrre richieste di archiviazione, dopo battage mediatici che promettono ben altro, o, quando si arriva al processo, quattro sentenze di assoluzione nei processi sulla trattativa.