Patrizia Mondello, ricercatrice messinese finalista a premio in Usa. Fare ricerca in Italia è davvero difficile

La sua carriera è iniziata con un’email, e oggi è tra i finalisti del Paola Campese Award, un prestigioso premio internazionale per ricercatori. Patrizia Mondello è originaria di Messina, e col suo lavoro si è già fatta conoscere in Europa e in America. 

Patrizia Mondello e la rivoluzionaria ricerca sul linfoma a cellule B

Durante e dopo aver studiato Medicina all’Università di Messina, Mondello ha girato il mondo facendo ricerca in ematologia, neurochirurgia e, in particolare, oncologia. Una carriera che, nonostante la sua giovane età, l’ha già condotta al Memorial Sloan Kettering Cancer Center, il centro privato di ricerca sul cancro più grande al mondo.

Lì si è occupata di una ricerca che potrebbe rivoluzionare la vita dei pazienti con linfoma a cellule B con mutazione genomica del gene CREBBP. In poche parole, un linfoma non-Hodgkin con una mutazione che “nasconde” le cellule tumorali al sistema immunitario, favorendo in questo modo la loro replicazione. 

Ma adesso qualcosa potrebbe fermare il linfoma. «Abbiamo trovato un meccanismo che consente di riattivare il sistema immunitario e di inibire la proliferazione delle cellule linfomatose» – ha spiegato Mondello in un’intervista. Quello individuato è «un sistema che, lavorando in sinergia con una classe di farmaci immunoterapici chiamati checkpoint blockade, è in grado di eradicare i tumori».

A gennaio 2021 i primi pazienti probabilmente saranno sottoposti alla nuova terapia, che ha avuto l’okay dall’FDA, l’ente statunitense per la regolamentazione dei farmaci. Già ad aprile la ricercatrice era stata premiata per i suoi studi dall’American Society of Clinical Oncology.

Come diventare ricercatori: basta un’email

E pensare che è stata una semplice email a dare il via alla carriera di Patrizia Mondello. Così la ricercatrice aveva contattato Anas Younes, uno degli oncologi più riconosciuti al mondo, con cui ha poi iniziato un dottorato.

Una decisione che «è stata la mia porta d’accesso al miglior cancer center del mondo», ha raccontato Patrizia Mondello. Chiaramente dopo aver superato dure selezioni. Un’esperienza a volte difficile, «ho dovuto fare tutto da me», spiega l’esperta in oncologia, anche perché «non avevo mai preso in mano neanche una pipetta, mentre i miei colleghi erano praticamente cresciuti in laboratorio». 

E poi aggiunge: «È il gap che sconta chi, come me, viene dal sistema accademico italiano». Questo “cervello in fuga” tornerebbe in Italia? Forse no. «In America sono stata assorbita da un’organizzazione stimolante, totalizzante e premiante che mi ha aperto la mente e mi ha spinta a non mollare» – racconta ancora – «Sarei dovuta rimanere solo qualche mese e invece, sono qui da sette anni». 

«In Italia è davvero difficile fare ricerca, però, perché sono tutti circoli chiusi», continua, «Al nord è più facile che al sud, dove ho studiato io ed ho dovuto fare tutto da sola, ma le selezioni anche lì dipendono da quanto sei inserito nell’ambiente». 

Cosa si potrebbe fare in Italia per migliorare la situazione? «Negli USA puoi decidere fin dal primo anno di Medicina se vuoi fare laboratorio o clinica, e già questo dà una marcia in più ai colleghi americani», chiarisce la finalista, «Inoltre, sono abituati a passare le estati già durante l’high school facendo laboratori».

«Sono venuta in America per rincorrere il mio sogno di ricerca», spiega Mondello, «questo mi ha portato a grossissime rinunce personali: ho lasciato la mia famiglia e i miei amici. Ho sacrificato la mia vita privata. E per mettermi al pari ho dovuto lavorare tre volte tanto rispetto ai miei coetanei». 

Al centro della sua vita c’è il lavoro, e su questo non c’è ombra di dubbio: «Ne ho fatto un mantra di vita». Proprio per questo il suo futuro non è legato né ad un Paese né ad un altro. E continua: «Non ho un motivo personale che mi spinga a rimanere in America, né uno per tornare in Italia, la mia scelta sarà orientata dalle opportunità lavorative».

Il suo sogno nel cassetto rimane quello di dirigere un laboratorio, lavorando allo stesso tempo anche come medico. E non nasconde l’orgoglio di essere tra i finalisti del premio ISSNAF: «spero che possa essere un portafortuna per la mia carriera, l’’inizio di una lunga serie di premi e, soprattutto, di scoperte scientifiche capaci di cambiare il mondo».

Se le viene chiesto se le manchi Messina, però, la risposta è immediata: «Assolutamente sì. Ci sono cose che qui non posso avere: il cielo azzurro, quando a New York è sempre nuvoloso, e le amicizie che durano una vita, perché in questa città sono tutti di passaggio».

Gli ISSNAF Young Investigator Awards: tra i finalisti dodici giovani ricercatori italiani

Sono le “rockstar” del mondo accademico: studiano la risposta immunitaria nei malati di Covid, cercano strade per la cura della leucemia, sviluppano intelligenze artificiali per lottare contro il cambiamento climatico e inventano acceleratori di particelle per lo studio dei materiali. Questi sono solo alcuni dei campi di studio dei dodici finalisti degli Young Investigator Awards di ISSNAF, una fondazione di scienziati e accademici italiani in Nord America.

La premiazione avverrà il 1° dicembre in via telematica, ma uno dei premi è già stato assegnato. È quello a Guido Calabresi, il giurista milanese che è stato preside della Law School dell’Università di Yale e giudice federale della Corte d’Appello del Second Circuit in Connecticut, New York e Vermont. Lui riceverà un premio alla carriera, il Lifetime Achievement Award.

L’Embassy of Italy Award andrà a un ricercatore che studia il covid-19, e se lo contenderanno la napoletana Jessica Gambardella (che fa studi sui vasi sanguigni nei pazienti positivi al virus), la romana Alba Grifoni (che studia la risposta immunitaria a virus più comuni nei pazienti guariti dal coronavirus) e la veneta Francesca Vallese (che si occupa di usare tecniche di microscopia ottica a trasmissione su una delle più importanti proteine del SARS-CoV-2).

Per il Paola Campese Award le finaliste sono la già citata Patrizia Mondello, la barese Angela Maria Savino (collega della Mondello allo Sloan Kettering Center che studia come il fruttosio aiuti la leucemia a proliferare) e il lombardo Davide Seruggia (che studia il gene acceleratore della proliferazione cellulare per trovare nuove terapie).

Il Mario Gerla Award è invece dedicato all’informatica, e potrebbe andare a Stefano Ermon (trentino che ha sviluppato un algoritmo che, analizzando le immagini satellitari, riesce a prevedere povertà, effetti del cambiamento climatico, inquinamento e migrazioni) o Ferdinando Fioretto (foggiano che ha creato un sistema che contribuisce alla lotta al riscaldamento globale se applicato a reti elettriche e trasporti).

Infine, il Franco Strazzabosco Award potrà andare a Marco Bernardi (romano che sviluppa calcoli per comprendere la dinamica degli elettroni nei materiali), Emilio Nanni (di origini bolognesi, usa un potente acceleratore per manipolare i fasci di elettroni e catturare le strutture dei materiali) o Marzia Parisi (romana che lavora alla NASA per indagare la presenza di acqua o di oceani sulle lune di Giove).