Report: i numeri dell'agricoltura in Sicilia. A rischio un miliardo di fondi Ue

Nonostante tutto. Nonostante la crisi, il calo dei consumi. Nonostante il mercato internazionale sempre più competitivo. I parassiti e le alluvioni che minacciano i raccolti. Nonostante tutto l’agroalimentare conserva la sua fetta molto consistente nell’economia siciliana.

Agrumi, olive, fragole e uve. L’agroalimentare rappresenta oggi il 34% del Pil regionale. 83 mila imprese agricole attive, 150 mila lavoratori e 15 milioni di giornate lavorative l’anno. Questi sono i numeri del settore raccolti dalla Confagricoltura di Siracusa, presieduta da Massimo Franco, e presentati sabato alla Camera di Commercio siracusana.
Uno dei problemi principali del settore è quello dell’utilizzo dei fondi europei che piovono sull’Isola. La capacità di spesa dei fondi comunitari è di qualche punto sotto la media nazionale: 62,59% contro il 67,45 a livello nazionale, al 31 dicembre 2013. Non proprio una catastrofe, sembra. Ma su una dotazione del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (Fears) di 2,172 miliardi di euro ne sono stati impiegati più o meno la metà: 1,271 miliardi. E il resto? c’è tempo fino al giugno 2015 per spenderli (e bene, si spera) altrimenti andranno persi, torneranno indietro. “Ma occorre uno snellimento burocratico”, spiega Massimo Franco nel rapporto. Principale ostacolo all’impiego dei fondi comunitari sono le procedure scriteriate nella gestione dei fondi e nell’erogazione alle imprese. Come per i contributi alla voce “Ammodernamento delle aziende agricole”, su 3043 istanze soltanto 300 sono state o stanno per essere decretate. La misura 112, quella per l’”insediamento di giovani agricoltori”, su un totale di 4.290 domande ne sono state decretate 1.700. Le graduatorie vanno a rilento anche per le misure a favore dell’agricoltura biologica, 7000 mila istanze liquidate o in corso di liquidazione su 12 mila domande presentate. O la misura 311, che riguarda l’occupazione in aree rurali anche se non necessariamente a sfondo agricolo (agriturismo, energie rinnovabili…), qui su 300 istanze soltanto 110 stanno per essere decretate. E via via tutte le altre criticità del vecchio Piano di sviluppo rurale: bandi poco fruibili, dotazioni finanziarie sulle Misure inadeguate, istruttorie lunghe e farraginose, graduatorie di discutibile condivisione. Queste sono le “pagelle” di Confagricoltura che propone, per il prossimo periodo di programmazione 2014-2020 più sicurezza, infratrutture adeguate garantite dalla pubblica amministrazione, un Psr sostenibile e un quadro normativo certo. Più semplificazione e meno burocrazia, perchè 58 misure sono troppe, per non citare tutte le circolari e le scartoffie che seguono. In più occorre favorire gli “asset” socio economici locali, quelli siciliani. Perchè la concorrenza con le regioni estere vede la Sicilia con la retromarcia ingranata. “E’ inutile piangerci addosso. Quando guardiamo agli accordi bilaterali con i Paesi del Nord Africa non guardiamo soltanto alla concorrenza sleale di “avversari”, ma una volta tanto pensiamo anche che si può vincere in trasferta: anche lì c’è un enorme patrimonio di consumatori che è un potenziale mercato per noi”, spiega Franco.
La geografia interna dell’agricoltura siciliana vede l’area orientale in vantaggio sulle province occidentali. Siracusa, Ragusa e Catania insieme costituiscono il 44% del Pil Agri-siciliano.
E se, su un totale di 15 milioni 670 mila giornate lavorative in tutta la regione, la provincia di Catania ne registra oltre 3 milioni, a Trapani va decisamente peggio, con 940 mila, davanti soltanto a Enna (747 mila). Su quasi 150 mila lavoratori agricoli certificati nel 2012 in Sicilia le percentuali nelle varie province sono queste: Catania e Ragusa 19%, Messina 12%, Siracusa, Agrigento, Palermo 10%, Trapani 9, Caltanissetta 6, Enna 5. La Sicilia orientale va meglio anche nell’agricoltura biologica. Le province di Siracusa, Catania e Ragusa insieme raggiungono il 31% di superficie “biologica” in Sicilia (rispettivamente le percentuali sono del 13,6; 11,3; 6,5). Trapani raccoglie il 5,9 % dell’agricoltura biologica siciliana, mentre Palermo il 14,7; Messina 14,6; Enna domina con il 26%; Agrigento 3,6; Caltanissetta 3,9. E’ ancora la Sicilia orientale a dominare sul fronte dell’agriturismo. Dove non si riesce a potenziare i raccolti, le zone rurali possono fruttare col turismo. In Sicilia, elenca sempre il report stilato da Confagricoltura Siracusa, ci sono 592 azienfe agrituristiche. Di queste: il 18% a Siracusa, il 10 a Ragusa, il 17% a Catania (raggiungendo il 45% del totale), a Palermo sono presenti il 15% della aziende agrituristiche siciliane, Messina 18, Trapani 8%, Enna 6, Agrigento 5%, Caltanissetta 3%.
I prodotti forti dell’agricoltura siciliana, e anche quelli più minacciati, sono gli agrumi e le olive. In Sicilia si registra il numero più alto di aziende agrumicole a livello nazionale, rappresentano il 48% del totale, e la maggiore superficie agrumicola (il 55,7 % degli agrumeti italiani sono in Sicilia).