Sicilia, credito: il ritorno alla normalità della Bcc San Francesco di Canicattì

La Banca di Credito cooperativo San Francesco di Canicattì, dopo 21 mesi di commissariamento, si appresta a ritornare alla normale gestione.
L’Istituto canicattinese che opera in Sicilia con 15 sportelli, dopo le ultime ispezioni da parte dell’organo di vigilanza che avevano rilevato una serie di irregolarità stigmatizzate da una sequela di multe comminate ad amministratori, sindaci e direttori generali, era stato sollecitato ad imprimere una svolta radicale ed innovativa.

FOTO-AUGELLO-2Malgrado le raccomandazioni di Banca d’Italia, i due gruppi che si contendevano la governance della San Francesco non si sono risparmiati colpi bassi e tradimenti e nell’assemblea del 27 maggio 2012, chiamata a pronunciarsi su un nutrito ordine del giorno, è stato eletto un CdA completamente rinnovato.
L’Istituto di Canicattì, con oltre 362.000.000 di euro di raccolta e 193.874.000 euro di impieghi (bilancio 2011 ultimo disponibile) non mostrava apparenti segni di sofferenza se non fosse stato per le perdite registrate nel 2010 e 2011 per un totale poco meno di 8 milioni di euro. Un risultato dovuto ad una serie di operazioni speculative che nulla hanno a che fare con la tipicità di una Bcc, oltre ad un deterioramento del credito con operazioni a sei zeri e per nulla legate alla mutualità che l’Istituto avrebbe dovuto perseguire. Ovviamente fatti che non sono sfuggiti all’Istituto di via XX Settembre che, dopo appena tre mesi dalla nomina del nuovo organo amministrativo, ne ha proposto lo scioglimento.
Certo la Banca negli ultimi trent’anni ha attraversato momenti di difficoltà, ma non così gravi da metterne a rischio l’esistenza, alcuni soci ricordano ancora un’indagine da parte della Procura agrigentina che costrinse un Presidente a lasciare per il bene dell’Istituto.
Le gestioni che ne seguirono, dopo una parentesi di tranquillità coincisa con un piano di espansione sollecitato dalla Federazione Siciliana delle BCC e da Banca d’Italia per il salvataggio di alcune Casse in difficoltà, diedero il via ad un periodo di incontrastato dominio nato dal patto di non belligeranza che i due gruppi contrapposti decisero di stipulare per condividerne la gestione ma, come spesso accade, il delirio di onnipotenza pervade l’essere umano portandolo ad assume atteggiamenti che inesorabilmente conducono alla catastrofe, ed è la storia di questi ultimi anni.
Una pace rotta dalla voracità di qualcuno? A sentire i bene informati la banca era stata trasformata in un feudo deve razzolare impunemente, salvo poi esagerare e portare alle estreme conseguenze ormai note.
Tutto questo è stato possibile anche grazie all’indifferenza dei quasi 1700 soci che sembrano non essere interessati al destino cui la banca potrebbe andare incontro e solo un gioco di deleghe (tre per socio) ha consentito, con appena 120/150 partecipanti, all’assemblea di impossessarsi del governo della banca. A dire il vero era stato messo in piedi un diabolico sistema di controllo dei voti di delega, attraverso l’autentica della firma dei deleganti, gli unici autorizzati a poterlo fare erano il Presidente Vito Augello, Il Vice Presidente Luigi Di Franco ed il Consigliere Marco Rubino così come si legge dall’avviso di convocazione dell’assemblea del 27 maggio 2012, cosa che evidentemente non è sfuggita dalla Banca d’Italia visto che ha preteso che fosse modificato lo statuto relativamente al numero delle deleghe che ogni socio poteva rappresentare.
Ma veniamo al commissariamento, che cosa hanno fatto i commissari Marotta e Immordino, per rimettere in sesto la Banca? La Banca ha i mezzi per poter ritornare a recitare il suo ruolo istituzionale? Da quello che ci risulta gli interventi sono stati incisivi e radicali: il loro intervento non si è limitato solo alla messa in ordine dei conti, hanno intrapreso un’azione di responsabilità nei confronti dei vecchi amministratori, sono intervenuti sull’organizzazione, rivisto e ripreso normative sepolte nei cassetti colmando lacune e deficienze strutturali che erano state evidenziate anche dalle ispezioni di Banca d’Italia.
Le probabilità che la banca potesse essere posta in liquidazione coatta erano elevate, occorreva un segnale forte e questo si è realizzato con l’ingresso di nuovi Soci (circa 200) fatto che non solo ha consentito il rafforzamento del patrimonio della Banca ma che ha per di più confermato quanto il territorio dove opera l’Istituto tenga a tutelarne la continuità, prova questa di una fiducia che la gente ha voluto dimostrare nei confronti dell’Istituto canicattinese. Una prova di forza anche nei confronti della Banca d’Italia che a metà dello scorso anno pareva intenzionata a porre in liquidazione la Banca. L’Associazione di Azionisti Amici della Banca, al di fuori di ogni appartenenza, è nata a luglio dello scorso anno per tendere una mano all’attività dei commissari, ha ulteriormente confermato questa volontà facendo così capire l’interesse che l’Istituto ancora suscitava tra gli operatori economici e non, inducendo l’Istituto di vigilanza ad una maggiore cautela.
Gli interventi realizzati che trapelano, malgrado la riservatezza dall’abbottonatissima gestione commissariale, sono diversi ed in diversi settori, per la riduzione dei costi si è raggiunto un importante accordo anche grazie alla collaborazione delle rappresentanze sindacali che ha sancito il taglio delle retribuzioni del personale di circa il 12 %. Non meno significativa è la parte riservata alla riorganizzazione dell’Istituto con l’arrivo di un nuovo direttore generale, la nomina di un vice direttore generale, l’inserimento di nuove figure professionali per ricoprire i ruoli di risk management, controllo di gestione, affari legali e contenzioso e internal auditing. Qualcuno ha lamentato che si sarebbe potuto fare a meno di assumere nuovo personale utilizzando risorse interne, ma la Banca d’Italia pare sia stata inflessibile nei modi e nei tempi facendo cadere la scelta su personale già qualificato e non da qualificare per le specifiche professionalità richieste. Sono state riviste ed aggiornate le regole relative ai patti correlati e al conflitto d’interesse.
L’assemblea del soci è stata chiamata ad approvare significative modifiche sia allo statuto che al regolamento elettorale, con l’inserimento di una norma transitoria nello statuto e relativa alla clausola di gradimento, dei componenti del Cda, da parte del Fondo di Garanzia fin quando durerà il la garanzia relativa al prestito concesso dall’Iccrea, altra novità introdotta è l’elezione diretta del Presidente da parte dell’Assemblea. E’ stata ridotta ad una la delega per il rinnovo delle cariche, è stato meglio disciplinato il conflitto d’interessi degli esponenti aziendali.
Un capitolo a parte merita l’adeguatezza patrimoniale dell’Istituto agrigentino, le perdite portate a bilancio nel 2010 e 2011, quasi 8 milioni di euro oltre alle perdite registrate tra il 2012 e 2013 che i bene informati stimano in oltre 12 milioni di euro, hanno fortemente indebolito il patrimonio aziendale. Che la situazione dell’Istituto, presieduto oramai da diversi anni da Vito Augello, non fosse rosea lo si sapeva già nel 2009 quando alla banca con delibera del 20 novembre venne concesso un prestito da parte dall’Iccrea (Istituto centrale di categoria) di ben 8 milioni di euro, prestito garantito da una fideiussione prestata dal Fondo di Garanzia sui Depositi a risparmio delle Bcc, preoccupato per le conseguenze di un eventuale default dell’Istituto per il sistema. Un prestito erogato nel luglio del 2010 e rimborsabile con rate annuali fino al 26 luglio del 2017. I dubbi sul futuro della Banca erano evidenziati anche nel bilancio del 2011, la società di certificazione – Deloitte& Touche- si riporta quanto declinato dal Cda: “ritiene esistano rilevanti incertezze che possano far sorgere significativi dubbi sulle capacità della Banca di continuare ad operare sulla base del presupposto della continuità aziendale”. Espressione troppo sibillina che viene smentita nel paragrafo successivo dove si afferma che data la disponibilità patrimoniale la Banca può continuare ad operare.
Certamente la Banca d’Italia, che aveva più volte sollecitato una svolta gestionale ed un ricambio ai vertici non è rimasta a guardare, rilevando una serie di irregolarità che per ben due anni consecutivi 2012 e 2013 sanzionarono amministratori, sindaci e direttori generali rispettivamente per 44.000 e 365.000 euro di multe. E’ opportuno notare che di sanzioni la Banca d’Italia non era stata parca già nel 1999 e nel 2005 aveva sanzionato gli amministratori della Banca, ponendo al vertice della classifica l’ex presidente Vito Augello come vero recordman delle sanzioni, avendole collezionate tutte e quattro, seguito dai consiglieri Sedita, Pontillo e Buscemi con tre e dal Vice Presidente Luigi Di Franco con due sanzioni.
Fatti questi che non sono sfuggiti a chi è stato dato il mandato di mettere ordine nei conti della Banca, tanto da aver iniziato un’azione di responsabilità con denuncia alla magistratura, che sta indagando, per fatti gravi legati alla gestione della banca.
Con grande fatica, la gestione commissariale ha cercato di riportare ordine nei conti facendo pulizia e cedendo un cospicuo pacchetto di crediti che consentiranno oltre ai benefici fiscali anche un incasso di somme tali da riportare gli indici patrimoniali sui livelli richiesti da Basilea 3. Certamente un’opera di bonifica che è costata non poco, nella speranza che il prossimo anno il deterioramento degli affidamenti si stabilizzi e non si rendano necessari nuovi interventi che la banca peraltro difficilmente potrebbe affrontare. Pare infatti che il Fondo di Garanzia sia allertato per un eventuale nuovo finanziamento come quello concesso nel 2010, nel caso il peggioramento dei conti dovesse rendere necessario un ulteriore rafforzamento.
Da un lato la preoccupazione dell’Istituto di via XX Settembre e dall’altro chi aspetta e spera nel default della banca per impossessarsi di qualche sportello tra quelli ritenuti più appetibili. Di certo la banca sta lavorando anche se la clientela lamenta condizioni non certamente in linea con le altre banche, ma questo si è reso necessario per riportare in utile l’Istituto e contare su risorse per riequilibrare i conti.
Ma circola o almeno è circolata la voce di una eventuale vendita dell’Istituto, cosa impossibile da realizzare visto che le banche non investono più e sono preoccupate anzi a ridurre la loro presenza territoriale, semmai si potrebbe parlare di cessione a costo zero se e quando si riuscisse a trovare qualche Istituto “amico” che sia disponibile ad accollarsi più oneri che onori, per cui l’ultima spiaggia sarebbe la liquidazione coatta della banca. A leggere i bollettini della Banca d’Italia negli ultimi anni non sono stati pochi gli istituti che sono stati posti in liquidazione e questo con grave ricaduta sul sistema.
D’altronde basta leggere l’ultimo bilancio del Fondo di garanzia dei depositi delle BCC per capire come negli ultimi anni la gestione paternale-politico-affarista, che spesso ha contraddistinto la gestione delle ex Casse Rurali, abbia fatto il suo tempo, ancor più oggi quando è necessario che professionalità, competenza e rigore amministrativo siano indispensabili anche per questa tipologia di banche il cui ruolo è di fondamentale importanza per le comunità dove operano.
Una maggiore e più attiva partecipazione dei soci, un maggior coinvolgimento potrebbe rappresentare un inestimabile tesoro per la continuità e lo sviluppo delle BCC.
Questo è quello che si augurano, per la Banca di Canicattì, la Banca d’Italia ed il Fondo di Garanzia facendo proprie le parole pronunciate dal Governatore in un convegno sulle banche:
“La capacità di governo della banca è importante almeno quanto la disponibilità di capitale. Ma mentre le regole che riguardano il patrimonio sono dettagliate, oggettive e quindi meno dipendenti dal soggetto che le deve applicare, quelle sulla governance sono per principi… in molti casi esse si rivolgono direttamente alle persone e devono trovare radicamento nella cultura d’azienda… La qualità della governance non può essere valutata solo sulla base del disegno formale della struttura (l’organigramma, lo statuto, i regolamenti interni): al di là del modello teorico contano i comportamenti, il modo in cui le persone interagiscono tra loro, i valori che esse esprimono”.
Proprio quello che è mancato alla Banca San Francesco, un modello di governance trasparente, democratico e partecipativo, ma solo lotte per il potere e sanzioni dalla Banca D’Italia.
Ad onor del vero nel triennio 2009-2012 le due fazioni in lotta trovarono un accordo al punto di spartirsi la presidenza (Vito Augello) e la vice presidenza (Luigi Di Franco). Ma questo non è stato bastevole ad imprimere una svolta anzi ha accelerato il processo di messa in mora se è vero che non appena eletto il nuovo CdA è stato mandato a casa.
Certo che la gestione degli ultimi anni non si può dire sia stata brillante, da una lettura dei bilanci dal 2005 al 2011 si rilevano: 27 mila euro di utili nel 2005, 1.926.000 gli utili del 2006, 575 mila euro l’utile 2007, 4.074.000 le perdite del 2008, 1.886.000 le perdite del 2009, 4.898.000 le perdite del 2010 e 2.922.000 le perdite del 2011 per un totale di oltre 11 milioni di euro di perdite. Quello che appare di difficile comprensione è come mai una così scalcinata compagine abbia potuto godere della fiducia dei soci per così tanto tempo e malgrado simili risultati, qualche dubbio sorge sul fatto che le pratiche adottate siano state trasparenti e corrette, forse anche per questo è stato richiesto dalla Banca d’Italia di modificare lo statuto nella parte relativa alle deleghe.
Adesso gli occhi sono puntati su quello che deciderà l’Assemblea dei soci convocata per il 18 maggio, il Fondo dovrà esprimere il proprio gradimento sui candidati, la Banca d’Italia spera in un totale radicale ricambio pena ulteriori provvedimenti, intanto i due gruppi che si contrappongono affilano le armi ed hanno da tempo iniziato la campagna elettorale proponendo volti nuovi ma in mano ai soliti pupari, la maggioranza dei soci sembra disinteressarsi e questo ovviamente non giova al rinnovamento e favorisce le trame che hanno portato la Banca sull’orlo del baratro, sarebbe auspicabile per il bene della Banca e del territorio che forze nuove e non colluse con la vecchia gestione si proponessero avendo il coraggio di affrontare una nuova esaltante sfida il cui esito è per niente scontato.