Sicilia, il Diste: disoccupazione giovanile al 53,8% e Pil in caduta libera

“In Sicilia il tasso di disoccupazione dei giovani da 15 a 24 anni è schizzato nel 2013 al 53,8%, e avrebbe sfiorato secondo le stime Diste il 60% nel corso del 2014, e quello dei 25/34enni è salito al 32,5%”. E’ quanto emerge dal 41° Report, l’analisi previsionale sull’economia siciliana realizzato dal Diste per la Fondazione Curella presentato questa mattina che segnala una specifica difficoltà della nostra Regione a tenere il passo non solo con l’evoluzione  nazionale, ma anche con il resto del Sud.
Lo studio è stato discusso e analizzato alla presenza del presidente della Fondazione Curella, professore Pietro Busetta, del segretario generale della Cisl Sicilia Maurizio Bernava, dell’ex assessore all’Economia, professore Gaetano Armao, e del presidente del Diste, dottore Alessandro La Monica.

In base alle statistiche ufficiali, l’economia italiana sarebbe uscita dalla recessione nell’autunno 2013, senza mostrare tangibili segnali di recupero. Il primo semestre 2014 si è caratterizzato per una quasi totale stagnazione della domanda e della produzione sul fondo del ciclo. Permane una divergenza territoriale, raffigurata da un Nord in cui cominciano ad emergere piccoli spiragli di luce, mentre Sud e Isole restano ancora alle prese con un processo distruttivo dell’economia.
Le analisi del Diste sull’economia siciliana, in particolare, sembrano segnalare una specifica difficoltà della Regione a tenere il passo non solo con l’evoluzione media nazionale, ma anche con l’area geografica di appartenenza. Le statistiche disponibili fino a primavera inoltrata e le informazioni acquisite delineano uno scenario inquietante sia sul fronte delle imprese che in quello delle famiglie e delle pubbliche amministrazioni, con in prima linea la drammatica emergenza del  mercato del lavoro. “Servirebbe un milione di posti di lavoro in più, a fronte del milione e mezzo circa di occupati, compreso il sommerso, per riequilibrare la situazione occupazionale in Sicilia almeno ai livelli dell’Emilia Romagna e della Finlandia – ha spiegato il professore Busetta -. In sostanza se la Sicilia, che ha oltre 5 milioni di abitanti, avesse circa 2 milioni e mezzo di occupati, sarebbe in una situazione accettabile rispetto alla media”.
Il 2013 si è chiuso con un crollo dell’occupazione del 5,3%, il più pesante degli ultimi decenni: sette anni consecutivi di perdite di posti di lavoro. Dopo il 2006, in cui fu superata la soglia emblematica di un milione e mezzo di unità (esattamente 1.503 mila), l’occupazione ha iniziato a scendere ostinatamente, fino a registrare nei sette anni una perdita di saldo occupazionale di circa 182.000 posti di lavoro, pari ad una flessione cumulata del 12,1%. Nello stesso periodo l’apparato produttivo dell’intero Mezzogiorno ha accusato una perdita occupazionale del 9,5%, mentre nel Centro/Nord  – in virtù del ritardo con cui è avvenuto l’impatto della crisi sul mercato del lavoro locale – si è avuto un lieve aumento (+0,3%). L’emorragia è continuata nel primo trimestre 2014 con la smobilitazione di altra forza lavoro, pari al 2,8% in meno del primo quadrimestre 2013, un tasso uguale a quello del Mezzogiorno ma ben più grave rispetto al Centro/Nord (-0,3%). Le proiezioni Diste per tutto il 2014 preannunciano una flessione in media d’anno di altri 33.000 occupati, con un impoverimento negli ultimi otto anni di 215.000 posti di lavoro.
 
L’altro aspetto sconfortante del mercato del lavoro è costituito dalla disoccupazione, che ha ormai assunto il profilo  di una vera e propria emergenza sociale, soprattutto tra i giovani, ma non solo. Nel 2013 i residenti nell’Isola in cerca di lavoro sono saliti a 352.000 unità, portando il tasso di disoccupazione a quota 21,0%, la più elevata in Italia insieme con quelle di Campania (21,5%) e Calabria (22,2%). Il peggioramento è proseguito nel 2014 con un indicatore che si posiziona attorno al 24%. Il drammatico ampliamento degli squilibri sul mercato del lavoro ha coinvolto, sia pure con sfumature differenti, tutte le generazioni dei disoccupati.
 “Purtroppo i nodi vengono al pettine e la mancanza di una qualunque programmazione nazionale e regionale  – ha aggiunto il professore Pietro Busetta – sta portando al disastro economico, che si manifesta in tutti i settori, da quello degli investimenti a quello dei consumi, da quello delle banche, a quello della domanda. Non vi è una politica per il Mezzogiorno così come non vi è stata per il Paese. Il declino era inevitabile e prevedibile. Il Mezzogiorno si salverà, come il resto del Paese – ha proseguito il presidente della Fondazione Curella – se la strada delle riforme istituzionali, amministrative, burocratiche sarà portata avanti. E se i meridionali smetteranno di farsi rappresentare da classi dirigenti inadeguate.  I giovani e i meno giovani – spiega il professore Pietro Busetta – hanno pagato in misura pesantissima i costi della crisi: le possibilità di trovare, e mantenere, un impiego sono divenute sempre più rare ovunque in Italia e ancor più in Sicilia. Nell’Isola il tasso di disoccupazione dei giovani da 15 a 24 anni è schizzato nel 2013 al 53,8% (e avrebbe sfiorato secondo stime Diste il 60% nel corso del 2014), e quello dei 25/34enni è salito al 32,5%. Non conforta – ha continuato Busetta – rilevare che i differenziali negativi rispetto al resto del territorio nazionale si sono ristretti, piuttosto è motivo di apprensione osservare che le possibilità di trovare lavoro si sono ridotte  anche nelle aree territoriali del Nord del Paese”.
 Sul fronte della produzione, le valutazioni sui conti economici territoriali diffuse dall’Istat a fine novembre 2013, relative al 2012, hanno indicato per la Sicilia una contrazione del prodotto interno lordo del 3,8% (-2,4% la media italiana nello stesso 2012), la peggiore a livello regionale. Le stime Diste per il 2013 riportate nel presente Rapporto – elaborate in mancanza dei dati ufficiali adottando per quanto possibile le procedure fissate dal SEC – hanno segnalato una ulteriore caduta del 4,2% (la sesta consecutiva), probabilmente anche in questo caso tra le più allarmanti del Paese, contro una flessione intorno a 1,9% del PIL nazionale. In altri termini, lo scorso anno si sarebbe verificato nell’Isola un aggravamento della recessione e nel resto dell’Italia una cauta attenuazione della fase involutiva.
 Negli ultimi sei anni il livello del prodotto in termini reali è quindi sceso di quasi il 15%, ritornando sui valori in essere attorno alla metà degli anni Novanta del secolo scorso. Per la media nazionale il tasso cumulato è invece pari a 8,5%, portando il livello del prodotto indietro di circa tredici anni. Nel 2013 il PIL per abitante a prezzi costanti è sceso per la prima volta negli ultimi vent’anni al di sotto di 14.000 euro, con un differenziale negativo del 38% sulla media nazionale. Anche sul fronte del prodotto unitario la Sicilia si colloca nelle retrovie della classifica regionale, insieme con le immancabili Calabria e Campania. “Il Mezzogiorno si salva soltanto se diventa centrale rispetto al Paese – ha osservato Busetta – si deve guardare all’energia, alla logistica, non si può puntare tutto sul turismo, abbiamo perso ducentomila posti di lavoro una quantità pari a cinque stadi del Palermo strapieni”.
Evidentemente le previsioni di Fondazione Curella e Diste sono le più pessimistiche e non possiamo che sperare che non si realizzino. Per il 2014, come è stato messo in evidenza, le previsioni mostrano una ulteriore contrazione del PIL regionale (-1,3%), a dimostrazione che la fase recessiva sebbene in alleggerimento è destinata ad andare avanti, mentre per l’Italia si stima un modestissimo recupero (+0,5%) delle perdite fin qui  accumulate.
 “Non meno critica – ha detto il presidente del Diste Alessandro La Monica – è l’evoluzione sia dei consumi delle famiglie, che tra il 2008 e il 2013 si sono contratti del 13% in Sicilia e del 7,6% in Italia, sia degli investimenti fissi, per i quali si stima per lo stesso periodo un ripiegamento molto più grave: rispettivamente del 38 e 27%. Quanto al valore aggiunto prodotto, si riscontrano crolli in tutti i rami di attività, dalle costruzioni ai servizi, all’industria. La fase recessiva – conclude la Monica – ha consunto e distrutto oltre un quarto della già asfittica manifattura siciliana, in parte per la crisi ma anche per la solitudine  in cui è stata lasciata la piccola impresa”.
 “Non ci interessano gli show del presidente della Regione – ha osservato Maurizio Bernava della Cisl – le scelte politiche per vil futuro della Sicilia devono partire dall’analisi di questi dati che sono allarmanti, invece non esiste un approccio minimo e reale della ristrutturazione e riqualificazione della spesa, una Regione che accende mutui e che non paga i fornitori, i credi alle aziende, che non è capace di risanare, abbiamo detto che siamo disponibile a scelte pesanti e incisive. Mi chiedo a cosa serva la Finanziaria di Ferragosto quando abbiamo bisogno di fondi e risorse per attrezzare i nostri territori e dare impulso ai beni culturali, al turismo, all’ambiente. Bisogna puntare su questi settori – ha sottolineato Bernava – e produrre ricchezza liberando risorse per la modernizzazione della Sicilia”.
“La politica ha dimenticato il Mezzogiorno – ha chiosato il professore Armao – mentre gli investimenti negli anni ’70 erano pari a 11 miliardi, nel 2012 si è passati a 2 miliardi. In tempi di crisi il divario aumenta sensibilmente e vengono coinvolte le fasce più deboli della società, i poveri diventano più poveri. In Sicilia serve la fiscalità di vantaggio, viceversa rischiamo di restare schiacciati, per esempio da Malta e Tunisia dove è maggiore la concorrenza sulla fiscalità diretta. Il Sud e la Sicilia rischiano di morire per l’inappetibilità e per l’incapacità di essere attrattivi dal punto di vista economico e finanziario. Rischiamo di essere ancora più emarginati di quanto non lo possiamo essere adesso. Occorre mettere assieme tutte le energie positive di questa terra anche fuori dalla politica, ci dobbiamo rendere conto che siamo davvero al capolinea. Basta vedere ciò che è successo con l’approvazione della Finanziaria – ha concluso Armao – per capire che nessuno sforzo è stato  fatto per cercare di invertire la tendenza”.