Sicilia, mafia: tra Cosa nostra e politica l’alleanza è ancora forte

di Giorgio Livigni

Resta ancora saldo il rapporto tra mafia e politica. Non solo: i nuovi boss continuano ad attuare la strategia della sommersione teorizzata da Bernardo Provenzano per continuare a controllare sul territorio imponendo il pizzo alle imprese, controllando il territorio, infiltrandosi negli enti locali, coltivando i referenti politici anche di alto rango convogliando su di loro voti si ma nopn troppi per non destare sospetti.

Il giorno dopo l’operazione “Grande passo” con cinque arresti nell’area del corleonese, è il momento di fare il punto sulle strategie di della mafia dei “viddani” che, nonostante i colpi dello Stato, continua a presidiare con forza il territorio ma senza fare troppo rumore. “Quella che è emersa dalle indagini – si legge nel comunicato degli investigatori – è la fotografia di una mafia organizzata e ancorata alle vecchie regole formali e gerarchiche di Cosa nostra, anche se incentrata su un’economia pastorale e agricola, i cui maggiori valori rimangono la terra e il “rispetto” della comunità ove opera e il cui principale mezzo di sostentamento è rappresentato dal provento delle estorsioni: si aggrediscono prevalentemente i flussi pubblici di denaro, limitando l’intervento sulle attività economiche dei privati».
Ed emerge anche chiaro il valore dei luoghi, di questi paesi di mafia che hanno un valore strategico oltre che simbolico. In questo caso non Corleone, come si potrebbe pensare, ma Palazzo Adriano: «Molto forte si è dimostrata l’influenza della famiglia mafiosa sulla gestione della cosa pubblica del Comune di Palazzo Adriano – scrivono gli investigatori – e il suo interesse per tutti gli appalti». E gli investigatori ricordano che Palazzo Adriano è stato indicato, in passato, come luogo sicuro per i latitanti: prima Bernando Provenzano e poi di Giuseppe Falsone detto Ling Ling, il boss agrigentino arrestato a Marsiglia il 25 giugno 2010. «Nelle ferree logiche mafiose – dicono gli investigatori – l’essere stato più volte scelto come luogo di latitanza di un boss è un segnale inequivocabile di come una terra possieda intrinsecamente tutte quelle caratteristiche che permettono di ridurre al minimo i rischi che una latitanza stessa comporta. Come inequivocabile è l’affidabilità e la forza dimostrate dalla famiglia reggente in quel territorio».
Ma sono almeno due le questioni su cui è necessario soffermarsi per comprendere l’immutabile potere della mafia nell’area del palermitano. Il primo riguarda la politica e lo spiega Leonardo Agueci, oggi a capo della Procura di Palermo in attesa che il Csm nomini il Procuratore, in un’intervista rilasciata a Riccardo Arena del Giornale di Sicilia: «Il controllo del territorio, delle risorse economiche, inteso non solo come pizzo, ma anche come compartecipazione nelle attività, sono punti di forza dell’associazione mafiosa. Anche se sarebbe ora che i commercianti e gli imprenditori si ribellassero, adesso che la mafia è in crisi. E poi c’è il rapporto con la politica: in primis le infiltrazioni nelle amministrazioni locali. Ma anche il sostegno elettorale. Alle regionali del 2012 la famiglia di Palazzo adriano si è orientata in maniera massiccia verso un candidato Nino Dina, e dopo le elezioni ha festeggiato il suo consistente successo. Ciò dimostra che Cosa nostra, ancor oggi, sa muoversi in modo molto consistente in questo ambito».
Va registrato che Dina, esponente dell’Udc e presidente della commissione Bilancio dell’Assemblea regionale siciliana, continua a respingere qualsiasi coinvolgimento: «Ho preso 52 voti a Palazzo Adriano e 130 a Corleone» ha spiegato. E di fronte alla dichiarazioni del procuratore ha diffuso un comunicato stampa in cui ribadisce di essere «distante da ambienti mafiosi». «La mia storia personale, la mia formazione, il rispetto dell’altro quale principio di vita e di libera convivenza, mi hanno posto sempre in antitesi con qualunque consorteria umana e sociale basata sulla sopraffazione e sulla mortificazione della dignità dell’uomo – dice Dina -. La mia attività politica fatta di fatica quotidiana e di rapporti con la gente si è sempre dispiegata distinta e distante da soggetti e ambienti comprovatamente mafiosi, da zone grigie, e da soggetti che potessero far sorgere un benché minimo dubbio di appartenenza alla mafia o alla malavita organizzata. Per questo sono sereno, perché sono forte delle mie certezze. Ma allo stesso tempo sono amareggiato per le ombre che discendono da notizie di stampa che vanno analizzate, inquadrate e verificate. E’ per questo che in tempi brevi approfondirò presso gli organi competenti quanto appreso da dette notizie di stampa. E qualora dovessero emergere responsabilità personali, anche di tipo etico, senza alcuna remora rimetterò il mio mandato di presidente della commissione Bilancio dell’Ars per rispetto delle Istituzioni. E comunque intendo svolgere questa azione di conoscenza temporaneamente svincolato dall’appartenenza al partito dell’Udc, mettendolo così al riparo da qualsivoglia speculazione».
Per Agueci la questione «non è in termini numerici: tra l’altro Dina non è indagato. Dalle intercettazioni emerge chiaramente che ci sono stati una confluenza netta e un impegno notevole a favore di questo candidato: addirittura Antonino Di Marco (il reggente di Palazzo Adriano ndr) e gli altri dicono che si deve evitare di dargli troppi voti, per non creare sospetti». E a proposito della politica Agueci esprime giudizi pesanti: «C’è un clima strano, per adesso, in Sicilia – dice -.Perché la politica è pronta a solidarizzare con i magistrati minacciati dalla mafia, ma al momento delle elezioni non disdegna l’interlocuzione con i capimafia».
E c’è un ulteriore elemento che fa riflettere e che riguarda nuovi, possibili, scenari futuri. La domanda e la risposta sono queste e le propone lo stesso Agueci: «Chi e come gestisce i soldi e gli enormi capitali di cui dispone Cosa nostra? Questo è un terreno di indagine ancora inesplorato e bisogna riuscire a dare una risposta: è un errore pensare che – quand’anche fosse possibile – una volta arrestati tutti gli associati, non resti più nessuno».