Sicilia, sviluppo: una regione che muore e il gioco delle tre carte della politica

Il dovere della politica, si sa, è quello di dare risposte a cittadini e imprese. Ma ormai, in Sicilia, questa è diventata una mera dichiarazione di principio. Lo abbiamo visto negli ultimi giorni con il caos scoppiato in giunta, ma lo abbiamo ancor di più visto con il gioco delle tre carte che ormai caratterizza l’operato dell’Assemblea regionale siciliana: qui c’è l’asso, qui c’è l’asso ecc. Assomigliano a quegli imbroglioni che si può facilmente incontrare nelle stazioni o in metropolititana: ne abbiamo viste di cotte e di crude, con padri di famiglia rovinati da questi furbastri con tavolino e compari a seguito.

Siamo all’ammuina, purtroppo, e i deputati recitano a soggetto e non avvertono i fischi e le proteste che arrivano dal pubblico. A Palermo, nell’ultima tornata elettorale per le amministrative, oltre 270mila cittadini non sono andati a votare con un tasso di astensione che ha superato, anche se di poco, il 47 per cento. Andrebbe ricordato a chi si vanta di rappresentare il civismo in politica ma va ricordato soprattutto a chi, nel fare politica, ha dimenticato l’interesse pubblico affidandosi a quello privato, particolare, di amici o amici degli amici. La Sicilia ingessata, come ha argomentgato qualche settimana fa il quotidiano Il Sole 24Ore, tiene fermi quasi due miliardi di investimenti privati: quanto potrebbero incidere sul Pil? Quanti nuovi posti di lavoro potrebbero creare? Quanto benessere porterebbero alle famiglie? Sono domande legittime che giriamo ai deputati regionali, al governo, alla politica. Ci spieghino, per favore, qual è il loro vero interesse. Ci dicano con quale faccia si presenteranno a chiedere il voto. Domani Banca d’Italia renderà noti i dati congiunturali sull’economia dell’isola e vedremo come è andata, cosa è successo in questi mesi, se davvero c’è stata crescita o se è stato solo un fuoco di paglia. Perché, per la verità, fuori dal palazzo si intravedono solo macerie e non bastano le formule matematiche (o statistiche) per capire dove sono andati a finire i miliardi dell’Unione europea spesi in questi anni.

La politica, con fare farisaico, ha abdicato, rinunciando a fare scelte. Il caso dei piani paesaggistici (in quelle province dove sono stati approvati) è un esempio: in molti casi solerti funzionari hanno tirato una linea ponendo vincoli in aree industrializzate a partire dagli anni Cinquanta e così chi aveva investito si è ritrovato di colpo bloccato. Vi sembra normale che si faccia politica industriale con un atto amministrativo? Vi sembra normale che la politica non sia in grado di varare norme organiche che garantiscano l’ambiente senza mandare all’aria decenni di sviluppo industriale? Il copione, purtroppo, si ripete in altri settori: dai rifiuti al turismo. Mentre cresce la sfiducia, il senso di frustrazione di chi si è indebitato con le banche per fare un investimento e non riesce ad andare avanti ma continua a pagare interessi, la disillusione di chi attende invano ormai da mesi i bandi a valere sui fondi europei.

Qualcuno sostiene che la Sicilia non ha bisogno di un commissario e possiamo capirlo. Ma se così è quello che resta di partiti ormai ridotti a club di micropartiti personali si dia una mossa, dimostri di esistere in nome dell’interesse collettivo e non di affari di bottega, piccolo cabotaggio elettorale, partite a scopa di quattro amici al bar. Questa regione ha bisogno di modernità e i maghi dei conti si attrezzino per trovare le risorse da destinare allo sviluppo. Non possiamo più aspettare mentre lorsignori giocano a fare i leader.