Sicilia, vino: l’aumento delle accise mette a rischio il Marsala

L’aumento delle accise rischia di dare un duro colpo alla imprese che producono il Marsala, il noto vino liquoroso il cui territorio di provenienza è quasi tutta la provincia di Trapani. Un comparto che interessa 15 aziende produttrici, con un fatturato derivante solo dalla produzione e vendita di vino liquoroso pari a oltre 30 milioni di euro su un giro d’affari totale di 90 milioni e con oltre mille addetti nella filiera allargata. «In provincia di Trapani – spiega Diego Maggio, presidente del Consorzio di tutela che raggruppa 10 dei 15 produttori di Marsala – sono 1.500 gli ettari destinati a uva per la Doc Marsala. Con la vendemmia del 2013 sono stati prodotti 130 mila ettolitri di vino base e di questi 75mila ettolitri sono stati certificati. Sono stati imbottigliati 53mila ettolitri pari a 7,5 milioni di bottiglie».

Ora, secondo Federvini e Confindustria Sicilia, che hanno lanciato l’allarme nel corso di un incontro che si è tenuto a Palermo, il continuo aumento delle accise mette in discussione la stessa sopravvivenza della filiera. Secondo le associazioni imprenditoriali il primo impatto che si avrà dall’annunciato aumento che scatterà a gennaio potrebbe essere sull’occupazione: secondo stime si perderebbero almeno un centinaio di posti tra i dipendenti a tempo pieno. «L’impatto più forte a seguito dell’aumento delle accise previsto a gennaio del prossimo anno – dice Gregory Bongiorno, presidente di Confindustria Trapani – si avrà proprio sulle produzioni di quei territori come la Sicilia che, per tradizione e per una presenza capillare di imprese di piccole e medie dimensioni, hanno creato veri e propri distretti di qualità. Basti pensare, nel caso del Marsala, anche all’indotto creato dal turismo enogastronomico: quest’anno circa 50mila persone hanno visitato le cantine Florio». A conti fatti, spiegano gli imprenditori, con l’aumento di gennaio si arriverà a un incremento delle accise pari al 30 per cento. «Insostenibile – dice Benedetto Renda, consigliere delegato della Pellegrino e presidente di Federvini Sicilia -: le aziende negli ultimi anni hanno investito in innovazione per allargare a giovani e donne la fascia dei consumi, ma così non si può andare avanti. E vi spiego perché: oggi il costo base per la produzione di vino Marsala (che non include altri processi produttivi, come l’invecchiamento) è di 70 centesimi al litro. A partire da gennaio l’accise peserà per 88,67 centesimi al litro, dunque più del costo di produzione. A conti fatti l’incremento delle accise rispetto a ottobre del 2013 sarà di quasi il trenta per cento». Secondo Federvini, l’aumento delle accise non solo è dannoso ma non porterà reali vantaggi alle casse dello Stato: «Quella di oggi – dice il direttore generale dell’associazione Ottavio Cagiano de Azevedo – è la prima tappa di una campagna che abbiamo lanciato (su www.stopalleaccise.it ulteriori informazioni ndr). L’impatto di questa manovra sul fronte occupazionale, secondo quanto stimato da uno studio condotto da Trade Lab per Federvini, comporterebbe il taglio di oltre 6.700 posti di lavoro a livello nazionale, indebolendo gravemente un settore produttivo che esprime alcune eccellenze regionali molto famose al mondo, tra cui il Marsala».

È il direttore a spiegare i «danni»: «Ancora secondo Trade Lab – dice –, in un mercato che già mostra una variazione tendenziale media delle vendite pari al -3,7% a volume e -1,4% a valore, il maggior gettito ipoteticamente generato dalla crescita delle accise al 30% risulterebbe neutralizzato dagli effetti derivanti da un’ulteriore contrazione delle vendite pari al -9,4% a volume, con circa 23 milioni di litri persi. Con questa accelerazione nel calo dei consumi l’impatto delle accise sul bilancio pubblico sarebbe nullo, con un saldo netto delle entrate fiscali pari a -2,8 milioni di euro: le maggiori entrate originate nel breve termine dalle accise verrebbero quindi interamente compensate dai minori introiti derivanti da tasse sulle imprese e sul lavoro legati alla perdita dei posti di lavoro».