Svimez: cinque anni di crisi hanno cambiato il volto del sistema produttivo siciliano tra rischio deserto ed emigrazione

I campanelli di allarme sono già suonati da tempo ma ad ogni aggiornamento dei dati i segni meno continuano ad essere sempre più pesanti. Il malato si chiama tessuto produttivo siciliano e senza una cura forte il rischio desertificazione e abbandono diventa ogni giorno sempre più concreto. Una desertificazione produttiva con aziende incapaci di resistere alla crisi ma anche sociale con l’emigrazione che ha ripreso con numeri rilevanti. Cinque anni di crisi che hanno profondamente segnato le capacità produttive della Sicilia ma anche il mercato del lavoro. Tra le possibili soluzioni una revisione della spesa dei fondi Ue.

Di questa prospettiva ha parlato per la prima volta la Svimez che nell’ultimo suo rapporto sull’economia del Mezzogiorno ha posto l’accento sulle cause strutturali che sono alla base dei ritardi del Sud come la ridotta dimensione delle imprese, la scarsa innovazione, inefficenza dinamica del modello di specializzazione internazionale che si trasforma in bassa produttività e limitata capacità competitiva. A tutto questo si aggiungono gli effetti della crisi internazionale ed anche delle politiche di austerità che si riflettono sulla ricchezza prodotta nell’Isola. E difficilmente la ripresa potrà essere agganciata solo con quelle imprese che puntano all’export, unica via di fuga ai segni meno che condannano l’economia dell’Isola.

Alcuni numeri elaborati da Svimez: nel Mezzogiorno il Pil è calato del 3,2% nell’ultimo anno un calo superiore a quello del paese (-2,1%) mentre in Sicilia la caduta è stata del 4,3%. Un calo che si verifica per il quinto anno consecutivo in tutto il Mezzogiorno e che ha comportato una riduzione dell’11% in Sicilia dal 2008 al 2012. Per quanto riguarda il 2013, inoltre, secondo le stime Svimez Irpet il calo nel sud dovrebbe essere del 2,5% maggiore che nel resto del paese -1,6%.  Una fase di declino e di crisi in cui sono “ulteriormente ridotte le opportunità di realizzazione individuale delle giovani generazioni”, scrivono gli analisti Svimez.  Tutto questo si riflette su una caduta dell’occupazione del 4,6% nel Mezzogiorno a fronte dell’1,2% del resto di Italia. In cinque anni in Sicilia si è perso circa il 6% dei posti di lavoro. Delle 300 mila persone che hanno perso il lavoro nel Mezzogiorno 86 mila sono in Sicilia, un dato che rappresenta il 17% del totale nazionale.

Una crisi prolungata, dunque, e dagli effetti assimetrici che ha colpito di più le regioni più deboli che rischia “di vedere depauperati i propri assett di capitali materiali e immateriali e le proprie risorse umane”. Femomeni di desertificazioni, fanno notare gli analisti, si sono manifestati già nella industria manifatturiera. In Sicilia, infatti, la quota del settore manifatturiero sul valore aggiunto regionale è passata nel giro di cinque anni dall’8,1% al 6,3% valori ben lontani dal 18.7% del Centro Nord e del 20% auspicato dalla Commissione europea al 2020 per i paesi dell’Unione Europea.

E proprio all’Europa bisogna guardare per uscire dall’impasse. Secondo la Svimez modificando l’impianto dei fondi strutturali. Le risorse italiane infatti, per effetto delle politiche di coesione, rientrano solo in parte e non solo per l’incapacità di spesa mostrata dalle amministrazioni ma anche perchè una quota è destinata ai paesi che non appartengono all’euro e quindi con una politica monetaria e fiscali del tutto diverse da quelle imposte dall’Ue.