Trivellazioni, ecco la mappa con Pantelleria e la Sicilia. Quanto conviene?

Dalle isole Tremiti a Isola Capo Rizzuto. Da Santa Maria di Leuca a Pantelleria. Anche al largo di Venezia. Nei nostri mari, e nelle nostre campagne, c’è un grande aumento delle ricerche di petrolio. A leggere il documento del ministero dello Sviluppo Economico che il 31 dicembre ha assegnato le concessioni alle ricerche e allo sfruttamento, ci si trova di fronte a 90 permessi di ricerca per la terraferma e 24 per i fondali marini. Poi ci sono 143 concessioni per «coltivazioni» di idrocarburi già individuati a terra e 69 in mare. Ma non è soltanto la quantità del territorio quanto la qualità dei fondali e delle porzioni di territorio che faranno da teatro alle ricerche che genera allarmi e polemiche. «Per le ricerche di fronte alle isole Tremiti, uno dei gioielli ambientali più importanti d’Europa, ricche di biodiversità marina, è stato concesso un permesso alla Proceltic Italia srl per 5 euro e 16 centesimi al metro quadrato. Un totale di 1.928,292. Nemmeno duemila euro l’anno», denuncia il verde Angelo Bonelli, in prima linea contro quello che definisce «l’assalto delle lobby petrolifere». Sobbalza il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano: «Occorre spiegare perché a largo delle Tremiti. Trivellare il nostro mare è una vergogna e una follia». Amaro il commento del sindaco delle Tremiti, Antonio Fentini: «Se questo serve a risanare il bilancio dello Stato…».

Le Regioni interessate avevano presentato sei referendum per fermare la prima fase di questa caccia al tesoro che coinvolge società volte anche piccole che in caso di scoperta dei giacimenti si rivenderanno a caro prezzo i proventi dei contratti di concessione. È sopravvissuto soltanto quello contro le ricerche entro le 12 miglia dalla costa. Mercoledì la Consulta deciderà se è ammissibile. Nell’attesa, vale la pena dare uno sguardo alle zone interessate, riportate dal Corriere della Sera di oggi.

Gli ambientalisti denunciano che il danno c’è ancora prima delle trivelle: la tecnica Airgun – con gli spari ad altissimi decibel – disturba la fauna marina. Il sistema di controlli ancora non è in funzione. Tra le zone marine interessate c’è il Canale di Sicilia. C’è un piccolo cerchio che lambisce Marettimo e Favignana e tocca Levanzo, unica area vietata a ricerche e trivelle. Tutto intorno al resto della Sicilia si può. A Pantelleria la concessione G.R 15.PU autorizza le ricerche. Così come nella zona che sta davanti alle spiagge che vanno da Marina di Modica, a Portopalo di Capo Passero fin su a Marzamemi. E interessa anche l’arcipelago delle isole maltesi. Lì, avverte Greenpeace ci sono zone considerate la «nursery» di molte specie ittiche. «A volte però le società che chiedono la concessione, negavano. Abbiamo scoperto, di recente, un “trucco”. Presentavano mappe relative ad aree diverse. Tacendo quindi al ministero dello Sviluppo economico dell’esistenza di zone di riproduzioni ittiche. Dati che il ministero dell’Agricoltura, peraltro possiede», racconta Andrea Giannì di Greenpeace. «Scoperto il trucco però la griglia di valutazione non è stata cambiata. Servono controlli attenti».

Le Tremiti fanno scalpore. Ma l’Adriatico è praticamente tutto interessato dalle ricerche o già dalle estrazioni. C’è un grande rettangolo dai bordi frastagliati che tocca Rimini, ma nel lato esterno arriva all’altezza di Ravenna, in giù si dirige verso Pesaro e Senigallia, poi si inarca per circondare Ancona e il Conero, e scende ancora, fino a Termoli. Ma nel Brindisino già sono autorizzate ricerche, così come nel Leccese. E la ricerca di oro nero arriva a Santa Maria di Leuca. Così come, in Calabria, a largo di isola Capo Rizzuto. O, in Sardegna, a Porto Torres.
Si va da Abbadia Cerreto a Zappolino nell’elenco di novanta concessioni per le ricerche sulla terraferma. Tra i luoghi interessati, anche in questo caso sparsi in tutta Italia, da Faenza a Ragusa, ci sono molte località della Basilicata, ma anche della Lombardia (Vigevano, Codogno, Trigolo, Castel Verde) e poi di Abruzzo, e Toscana, Piemonte e Lazio, Marche e Veneto. Già in vigore 119 concessioni per lo sfruttamento. Soprattutto in Basilicata (ma anche Emilia Romagna, Puglia, Marche, Lombardia). Tra le concessioni delle ricerche in Sicilia nel documento del governo c’è Scicli, e fra  quelle per lo sfruttamento di idrocarburi compare Noto.

QUATTRO GOCCE DI PETROLIO. Cinque virgola 16 centesimi di euro al metro quadrato. Pari a 1.928 euro all’anno. Le 326 autorizzazioni concesse a fine anno dal ministero dello Sviluppo economico alle trivellazioni per la ricerca del petrolio in terra e in mare – isole Tremiti e Pantelleria compresi – non sono convenienti per le casse pubbliche italiane. Ma non lo saranno nemmeno per il futuro energetico del nostro Paese, dicono gli scienziati. «Per quattro goccioline di petrolio e due bollicine di gas, che potrebbero servire a coprire non più di un anno e mezzo di autonomia energetica, stiamo mettendo a rischio interi territori», spiega a Linkiesta.it Vincenzo Balzani, professore emerito dell’Università di Bologna e coordinatore del gruppo di scienziati “Energia per l’Italia”, che l’anno scorso firmarono un appello contro la strategia energetica nazionale. «Non siamo seduti su un mare di petrolio, come dice qualcuno. Possediamo risorse limitate, concentrate tra il mare Adriatico e la pianura Padana, il cui sfruttamento potrebbe produrre danni molto più ingenti dei benefici che può portare».

Secondo la BP Statistica Review di giugno 2014, le riserve di combustibili fossili sfruttabili in Italia ammontano a 290 Mtep (megatep). Se il consumo di energia annuale è di 159 Mtep, il calcolo è che il petrolio italiano servirà a far camminare le nostre macchine per meno di due anni. Spalmate su un periodo di 20 anni, ammontano a circa il 9% del consumo annuale di energia primaria. «Per questo piccolo gruzzolo facciamo buchi qua e là con il rischio di compromettere luoghi e ambienti, come le Tremiti, che sono fonti di guadagno turistico per il nostro Paese», aggiunge Balzani.

«Non siamo seduti su un mare di petrolio, come dice qualcuno. Possediamo risorse limitate, concentrate tra il mare Adriatico e la pianura Padana, il cui sfruttamento potrebbe produrre danni molto più ingenti dei benefici che può portare»

Eppure, il 22 dicembre, in tutta fretta (come ha scritto Repubblica), la ministra dello Sviluppo economico Federica Guidi ha firmato 90 permessi di ricerca petrolifera per la terraferma, 24 per i fondali marini, più oltre 200 per le coltivazioni di idrocarburi. In lungo e in largo per l’Italia: dalle isole Tremiti, in Puglia, a Isola Capo Rizzuto, in Calabria, daPantelleria alle coste abruzzesi. Il giorno dopo, il 23 dicembre, come ha denunciato il verde Angelo Bonelli, la Camera ha approvato in via definitiva la legge di stabilità, che contiene il divieto (già chiesto nei sei referendum proposti da dieci regioni) di trivellare entro le 12miglia dalla costa. Giusto in tempo. Per le concessioni date il divieto non è valido.

«Andiamo alle conferenze all’estero facendo grandi discorsi ecologisti, diciamo di voler abbattere le polveri sottili nelle nostre città, poi torniamo in Italia e diamo le autorizzazioni per trivellare», commenta Vincenzo Balzani. «Nella Conferenza di Parigi 189 nazioni hanno discusso di questo problema, il Papa ci ha anche scritto un’enciclica, e noi pensiamo ancora di poter di fare affidamento sui combustibili fossili?». Nella sua road map, l’Europa ha stabilito che entro il 2050 l’85% dell’energia dovrà provenire da energie rinnovabili. «Perché anziché puntare su quello che non abbiamo, il petrolio, non puntiamo invece su quello che abbiamo, cioè il sole? Potremmo essere i capofila in Europa». Anche perché, aggiunge Balzani, «per avere dei ritorni economici da un investimento fatto su un pozzo petrolio servono almeno 20-30 anni. Così ipotechiamo il futuro». E, con il prezzo del barile in picchiata, per «quattro gocce proprio non conviene». La rivista Fortune si è chiesta da poco se dopo la conferenza di Parigi Cop21 l’industria petrolifera potrà ancora sopravvivere. In Italia, sì, a quanto pare.