Trivelle nel Mediterraneo, marcia indietro di Renzi. Stop alle estrazioni

Stop del governo alle trivelle nel Mediterraneo. Renzi ha perso la sua battaglia, e si dice che avesse parecchio paura del referendum che alcune Regioni (ma non la Sicilia) avevano chiesto, con il via libera della Cassazione proprio qualche giorno fa. Gli ambientalisti esultano, gli analisti fanno notare che si perdono cinque miliardi di euro di investimenti.

Che cosa è successo nelle ultime ore? Il governo ha presentato un emendamento alla legge di Stabilità per ripristinare il limite delle dodici miglia per le perforazioni petrolifere. Un emendamento presentato dal governo alla Legge di stabilità ripristina tale limite per le trivelle e, di fatto, segna un primo successo nella mobilitazione a difesa  delle coste.

L’emendamento  prevede il ripristino del divieto delle 12 miglia facendo salvi solo i titoli abilitativi già rilasciati.

“L’emendamento della maggioranza alla legge di stabilità è una buona notizia   tutti gli italiani – commenta il deputato del Movimento 5 Stelle Gianluca Vacca –  E’ l’ennesima dimostrazione che le lotte di territorio e della popolazione non possono restare inascoltate per sempre”.

. Le associazioni che per anni si sono battute per tutelare le coste annunciano che “la lotta continuerà anche per i progetti collegati agli idrocarburi fuori le 12 miglia e in terraferma, visto che tutti gli scienziati considerano ormai indispensabile lasciare gli idrocarburi nel sottosuolo” e attendono “gli esiti del confronto parlamentare, comunque pronte a ogni ulteriore mobilitazione”.

Nel 2015 diverse manifestazioni di piazza avevano sollecitato il Governo a tornare sui propri passi in tema di trivelle.

Gli emendamenti introducono i nuovi commi dal 129-bis al 129 quater, al testo della Legge di Stabilità 2016, all’esame della Commissione Bilancio della Camera dei Deputati.

Con tali emendamenti viene ripristinato il limite delle 12 miglia in Adriatico, entro le quali non possono essere fatte concessioni. Vengono fatti salvi solo i titoli concessori già ufficiali. Di fatto viene così bloccato il progetto Ombrina Mare 2 che doveva andare a vantaggio del gruppo britannico Rockhopper e che tanta mobilitazione aveva visto in Abruzzo e Molise.

Lo stesso destino dovrebbero subire anche la piattaforma petrolifera Vega B nel canale di Sicilia e le prospezioni in Adriatico della Spectrum Geo, che vanno dall’Emilia Romagna alla Puglia.

Con le modifiche appena apportate ritorna a valere anche la figura della Regione e degli enti locali: viene cancellata la dichiarazione di “strategicità, indifferibilità ed urgenza delle attività petrolifere” con la quale le Regioni venivano estromesse dai processi decisionali e viene cancellato anche il “vincolo preordinato all’esproprio della proprietà privata” già a partire dalla ricerca degli idrocarburi.

Le proroghe verranno eliminate e così di fatto verranno limitate le attività di ricerca e di estrazione. Ambientalisti e cittadini comuni che hanno lottato fino a ieri si dicono soddisfatti. Le associazioni ambientaliste chiariscono anche che:

Questo dimostra quanto improvvisate e strumentali fossero le norme pro-petrolieri, che hanno messo a rischio l’ambiente marino e le economie del mare (turismo e pesca), pur di andare a sfruttare giacimenti che non risolvono i nostri problemi energetici.

Due dei punti controversi che non hanno soddisfatto le parti in causa sono stati: l’abrogazione del comma 1-bis dell’art. 38 del decreto Sblocca Italia che prevede la cancellazione del “Piano delle aree” in cui svolgere le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi.

Questo comporta il venir meno di una Valutazione Ambientale Strategica complessiva, che viene sostituita dall’esame caso per caso. L’altro punto è il mantenimento del periodo di 6 anni per le attività di ricerca derivanti dal titolo concessorio unico.

DUBBI IRRISOLTI.  In Sicilia molti dubbi rimangono irrisolti. Il caso più lampante è l’offshore ibleo, il progetto Eni ed Edison destinato alla produzione di gas naturale e che prevede lo sviluppo integrato di due giacimenti di metano, con la realizzazione di otto nuovi pozzi di produzione ed esplorativi a largo della costa compresa tra Gela, Licata e Ragusa. «Noi siamo in una situazione particolare – confermaMarco Castrogiovanni, del comitato No Triv Licata – perché la parte maggiore dei pozzi previsti è oltre le 12 miglia. Il giacimento Argo 2 e la piattaformaPrezioso K stanno invece a 11 miglia dalla spiaggia. Il progetto sarebbe dunque in ogni caso da rivedere. Il problema per noi è che Eni i titoli ce li ha già da tempo».

Il punto infatti più critico delle modifiche governative è il comma bis dell’articolo 129, dove si specifica che «i titoli abilitativi già rilasciati sono fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento». Che nel caso specifico dell’offshore ibleo è di vent’anni. «In pratica – scrive in una nota a caldo il comitato No Triv di Licata – nel Canale di Sicilia si continuerà a trivellare». Perplessità pure per il caso specifico di Gela, dove le trivellazioni sono state invece legate alla riconversione della Raffineria ed esulano sia dallo Sblocca Italia di Renzi, sia dallo Sviluppo Italia di Monti. A largo di Pozzallo, invece,salterebbe la piattaforma Vega B della Edison che sarebbe dovuta sorgere accanto alla piattaforma madre della Vega A, che invece persiste da oltre 30 anni col compito di estrarre greggio.