Turismo, enogastronomia e agroalimentare: così Galati Mamertino programma lo sviluppo

Il Festival del giornalismo enogastronomico che ha animato Galati Mamertino sui Nebrodi nell’ultimo fine settimana di luglio ha messo alla luce come in Sicilia ci siano potenzialità apparentemente sopite che aspettano solo ilmomento opportuno per mettersi in moto. E per creare valore aggiunto.
Galati è un paesino con meno di 3 mila abitanti dove però pare ci siauna vocazione comune per la cucina. Ben 40 sono i cuochi galatesi che operanoin loco o fuori dai confini regionali e nazionali. Alcuni di questi hanno anche avuto un successo forse inatteso per gli sguardi più distratti. C’è chi, come la famiglia Drago, ha saputo conquistare il palato e l’attenzione di una città come Los Angeles, riuscendo ad aprire fino a undici ristoranti in questa città statunitense. Uno dei fratelli Drago, Pino, che è ristoratore e allevatore di Suino Nero dei Nebrodi, è rimasto a Galati da dove continua un’infaticabilericerca della qualità e della novità: ultimo nato dai fornelli del suo “Degusto” è l’hamburger dei Nebrodi chiamato “Black Pig Burger” perché realizzato con carni di Suino Nero della sua azienda e usando solo prodotti locali: la Provola fresca dei Nebrodi dell’azienda Fazio e il patè di cipolladell’azienda Il Lochetto. In totale tre prodotti di altrettanti presidi Slow Food. Come non citare poi l’Antica Filanda di Nunzio Campisi che si distingue per la sua creatività, la ricerca della qualità, un’ottimacarta dei vini e chi più ne ha più ne metta. Una ricchezza enopgastropnomica e agroalimentare che sta alla base del progetto della Scuola del gusto, che ha già incassato l’appoggio di Slow Food Sicilia (al festiavl uno dei protagoniosti in assoluto è stato il presidente dell’associazione Saro Gugliotta)
Ovviamente non ci sono solo cuochi e ristoranti a Galati. C’è un consorzio di produttori di prosciutto di Suino Nero dei Nebrodi che ha aperto anche un prosciuttificiodalle grandi potenzialità produttive (fino a 5 mila prosciutti) e che si colloca in un territorio vocato da secoli all’allevamento di questo particolare suino: un patrimonio fatto da 110 allevamenti, 3.500 soggetti coinvolti e 800 scrofe.
Se a tutto ciò si aggiungela gradevolezza dei luoghi, l’accoglienza della gente, alcuni interessanti sitituristici e sportivi (per esempio le cascate del Catafulco), l’essere immersi in una delle catene montuose più belle della Sicilia (e non solo) e la vicinanza col mare si ottiene un cocktail di grande efficacia che iniziative come il Festival del giornalismo enogastromico possono portare alla luce.
La presenza di 35 giornalisti di altrettante testate locali e nazionali a Galati, infatti, è certamente un fattore di ritorno economico a medio-lungo termine: ogni articolo, ogni servizio,permetterà innanzitutto di far uscire fuori dall’anonimato un piccolo paesealtrimenti schiacciato dal marketing turistico dei centri più importanti. E ilvalore aggiunto di questa operazione è quella di averli stupiti con “effetti naturali”: il cibo, appunto, il paesaggio, i monumenti.
Altro aspetto da nontrascurare è stato quello di mettere insieme energie umane che nei dibattiti al Cortile Villa Allegra si sono liberate facendo sorgere nuove idee, possibilmente nuove iniziative che potranno trasformarsi anche in nuove attività economiche e conseguentemente in ricchezza per il territorio. Il fatto stesso di aver trasmesso per osmosi conoscenza tra i partecipanti è stato unmomento di formazione e di accrescimento per ognuno. C’era chi tra igiornalisti del Nord non conosceva la storia del cous cous. Così come ha creato notevole interesse il dibattito sulla mancanza di dati aggregati su Dop e Igp siciliane da parte delle istituzioni regionali. Una cosa è certa: il primo Festival del giornalismo enogastronomico è stato un primo passo di una strategia più ampia che deve accogliere più attori e deve essere programmata nel tempo.