Affare mascherine cinesi, quelle 1.200 telefonate del giornalista mediatore ad Arcuri

mascherine cinesi

Sono stati 1.280 i contatti telefonici tra il giornalista in aspettativa Mario Benotti e il commissario straordinario per l’emergenza Coronavirus Domenico Arcuri, tra gennaio e il 6 maggio 2020. E’ quanto emerge dall’inchiesta della Procura di Roma che ha portato oggi al sequestro di 70 milioni. Otto gli indagati. Oltre ad Andrea Vincenzo Tommasi, a capo di una della società coinvolte nell’indagine, al giornalista in aspettativa Mario Benotti, a Antonella Appulo, c’è anche Daniela GuarnieriJorge Edisson Solis San AndreaDaniele GuidiGeorges Fares Khozouzam e Dayanna Andreina Solis Cedeno. Quattro le società coinvolte e inserite nel decreto di sequestro preventivo d’urgenza. Si tratta di Sunsky srl, Partecipazioni Spa, Microproducts It Srl e Guernica Srl. Le accuse a vario titolo vanno da concorso in traffico di influenze illecite, riciclaggio, autoriciclaggio e ricettazione. Il valore complessivo dei due provvedimenti di sequestro preventivo, uno disposto dal gip e l’altro d’urgenza dalla Procura è di 69,5 milioni di euro.  E intanto dagli uffici di Arcuri fanno sapere: “Da quanto emerso dalle indagini risulta evidente che la struttura commissariale e il Commissario Arcuri, estranei alle indagini, sono stati oggetto di illecite strumentalizzazioni da parte degli indagati”; gli uffici assicurano che continueranno “a fornire la più ampia collaborazione agli investigatori” e che è già stato chiesto ai legali di “valutare la costituzione di parte civile in giudizio per ottenere il risarcimento del danno” in quanto parte offesa”.

Affare mascherine cinesi: mediazione cominciata prima del 10 marzo 2020

I contatti tra il giornalista in aspettativa e il commissario Domenico Arcuri sono “giornalieri (tra telefonate e sms) – si legge nel decreto – nei mesi di febbraio, marzo e aprile: a conferma di un’azione di mediazione iniziata ben prima del 10 marzo 2020. Dal 7 maggio, invece, nessun contatto; circostanza confermata dal servizio di intercettazione telefonica avviato il 30 settembre 2020, che non ha captato alcuna comunicazione tra le due utenze; ciò benché tanto la cordata B.-T., quanto il S. S. abbiano insistentemente ricercato il rapporto con Arcuri, avendo intenzione di proporgli nuovi affari (dai tamponi rapidi, ai guanti chirurgici, a nuove forniture di mascherine)”.

“E’ significativa la conversazione del 20 ottobre 2020 alle ore 8,15 – si legge nel decreto – che, sul tema, B. tiene con D.G., cui confida la sua frustrazione per essersi Arcuri sottratto all’interlocuzione, e il timore che ciò potesse ritenersi sintomatico di una notizia riservata su qualcosa che ‘ci sta per arrivare addosso’”.

“Il primo contratto di fornitura è stato stipulato il 25 marzo, quando la struttura commissariale ancora non esisteva, almeno ufficialmente; ed è sottoscritto dal fornitore cinese il 26 marzo” scrivono i pm capitolini che sottolineano “alcuni evidenti difetti di conseguenzialità cronologica”. I magistrati evidenziano “l’informalità con la quale si è proceduto rispetto ad accordi che devono essere intercorsi tra le parti in gioco, prima del 10 marzo e dunque ben prima del lockdown nazionale, dichiarato il 9 marzo. In quel momento nessuna norma consentiva ancora deroghe al codice dei contratti, poiché tale liberatoria sarebbe stata prevista soltanto con il decreto Cura Italia. Allo stesso tempo – si legge – evidentemente, vi era già un concerto sui passi legislativi e amministrative da compiere e i ‘facilitatori’ stavano tessendo le relazioni che avrebbero loro consentito i suddetti lauto guadagni”.

“Si delinea la nascita di un comparto organizzato per la conclusione di un lucroso patto (occulto) con una pubblica amministrazione; un ‘comitato d’affari’, nel quale ognuno dei partecipi ha messo a servizio del buon esito della complessa trattativa la propria specifica competenza, ricevendone tutti un lauto compenso per l’opera di mediazione compiuta:”. E’ quanto si legge nel decreto di sequestro preventivo.

“Le intercettazioni hanno dimostrato l’esistenza di un accordo tra A. V. T. e quello che quest’ultimo definisce il suo ‘partner nell’affare delle mascherine’, D.G. – si legge – nonché tra il duo T-B e J.S., per la migliore conclusione dell’affare in discorso. Le conversazioni captate portano a ritenere che mentre T. e G. hanno curato l’aspetto organizzativo e, in particolare, i numeri voli aerei necessari per convogliare in Italia un quantitativo così ingente di dispositivi di protezione, compiendo i necessari investimenti, J.S. sia stato in possesso del necessario contatto con la Cina e sia stato conoscitore delle specifiche del prodotto, tali da renderlo funzionali all’uso”.

Nessuna prova di coinvolgimento della struttura commissariale

Allo stato non vi è prova che gli atti della struttura commissariale siano stati compiuti dietro elargizione di corrispettivo“, quanto si legge ancora nel decreto.

“In almeno due occasioni nelle conversazioni captate appaiono riferimenti ad accordi spartitori con soggetti estranei al suddetto comitato di affari – si legge – in particolare a qualcuno che attende di ricevere denaro una ‘valigetta’, con disappunto di B., il quale afferma: “è un lavoro che si fa senza valigetta“ ed a ‘quello’ con cui il B. secondo quanto riferito dal T. intenderebbe secondo i patti dividere i 2 milioni e mezzo di euro che attende. Merita menzione – scrivono i pm romani – anche lo sfogo che T. ha con la sua segretaria cui riferisce che a differenza dei suoi genitori non ha dovuto pagare, per realizzare il suo affare, in quanto ha ‘trovato un accordo per non comprare anche i regali…’, frase che evoca comunque una corresponsione di altra utilità”.

I magistrati capitolini sottolineano “l’assoluta anomalia dell’intermediazione occulta agita dal comitato di affari (rimarcata anche dall’Uif, in quanto sintomatica di corruzione)”, la “pletora di soggetti ad essa interessati, alcuni dei quali del tutto sconosciuti alla struttura commissariale”, la “tipologia di impiego delle cospicue somme pervenute agli intermediari, immediatamente utilizzate per l’acquisto di beni voluttuari, successivi di impiego corruttivo”, “i continui riferimenti da parte dei soci alla necessità di un accredito personale con il commissario Arcuri, quale necessario passepartout per ottenere nuove commesse pubbliche”.

”Singolare, quanto raccapricciante, l’aspettativa dell’indagato J.S. che a novembre ‘esploda’, cioè ci sia un lockdown nazionale perché da questo si attende lucrosi affari”. E’ quanto rileva il pm nel decreto.

“Le indagini bancarie hanno accertato che gli indagati hanno già provveduto a distrarre ed occultare parte delle somme indebitamente percepite a titolo di commissioni mediante effettuazioni di pagamenti fittizi, prelievi personali, investimenti in beni e polizze assicurative”, scrive quindi il gip Paolo Andrea Taviano nel decreto.

“Attesa la natura degli illeciti contestati, appaiono sussistere esigenze cautelari in ordine al concreto pericolo di perpetuazione ed aggravamento degli effetti dannosi del reato – sottolinea il gip – in considerazione del fatto che il denaro costituente profitto del reato potrebbe essere facilmente occultato e distratto, rendendone difficoltoso se non addirittura impossibile il recupero”.