Ato idrico di Messina, storia di sprechi e inefficienze

Dalle nostre parti è sempre tutta un’altra storia. In Sicilia non è piaciuta l’idea di un gestore unico regionale del servizio idrico integrato, costituito dall’insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione d’acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue. qui si è fatto un decreto, tra l’altro impugnato dal Consiglio dei Ministri per incostituzionalità, che prevede nove diverse governance, una per ogni provincia, che fanno capo alle nuove Ati e la possibilità di sub-ambiti, tutte premesse alla replica di esperienze fallimentari già vissute e non ancora archiviate.

Gli Ato, di cui già nel 2010 la legge 11 decretava la fine, sono ancora in piedi, con tutti i debiti, i crediti e i contenziosi che paralizzano le procedure e bloccano i conti. Una situazione constatata a Messina dal commissario Francesco Mangano che il Presidente Rosario Crocetta ha nominato per chiudere i conti del vecchio Ambito territoriale ottimale e avviare l’istituzione dell’Assemblea territoriale idrica.

“La norma tendeva al gestore unico per garantire il risparmio- sottolinea Mangano- ma soprattutto un amministrazione delle risorse attenta alle esigenze di tutte le comunità, piccole e grandi: ci sono Comuni che hanno approvvigionamenti idrici e altri no, sfugge il fatto che un sistema di solidarietà avvantaggia tutti; fermo restando inoltre che non ci sono finanziamenti per le infrastrutture ma le risorse vengono dalle tariffe che pagano i cittadini, è impossibile pensare che le piccole comunità possano realizzare grandi impianti”.Non nascondono il loro scetticismo i sindaci della provincia che temono di ritrovarsi di fronte ad un apparato che di diverso ha solo il nome e che andrà avanti nella stessa inerzia del precedente, senza migliorare né i servizi ne le infrastrutture.

Scettici ma pronti a difendere le stesse regole del gioco. Nell’assemblea convocata dal commissario Mangano, a cui hanno preso parte 57 sindaci su 108, alla fine, dopo ripetuti appelli per verificare il numero legale, si è riusciti ad approvare lo Statuto dell’Ati ma con delle variazioni allo schema trasmesso dalla Regione Sicilia, modifiche su cui il Commissario si è riservato di verificare la legittimità. Ha votato contro il sindaco di Capizzi Giacomo Leonardo Purrazzo che ha sempre ribadito che il suo Comune, pur facendo parte della ex provincia regionale di Messina, è di fatto parte del territorio di Enna, poiché servito dall’Acquedotto Ancipa, da qui la sua richiesta, su cui attende un pronunciamento, di gestire il servizio idrico integrato in forma singola e diretta.  Si è astenuto il rappresentante del Comune di Messina, l’assessore all’Ambiente Daniele Ialacqua per quell’emendamento che l’Assemblea ha voluto, che prevede, nell’elezione degli organi direttivi, che il voto dei sindaci abbia lo stesso peso, a prescindere dal numero degli abitanti rappresentato.

Le quote di partecipazione dei Comuni all’Ati, secondo quanto stabilito dall’articolo 4 dello Statuto, sono determinate in rapporto alla popolazione residente secondo i dati dell’ultimo censimento Istat. Ialacqua avrebbe voluto che il principio della proporzionalità fosse mantenuto anche all’atto ad esempio della scelta del Presidente, punto questo all’odg della prossima convocazione. Lo Statuto tipo inoltre prevede un Revisore unico dei conti ma i sindaci hanno voluto l’introduzione di un collegio al completo che in sostanza, come ha fatto notare il Commissario, triplica le spese. Una buona parte dei sindaci presenti avrebbero voluto votare, dopo l’approvazione dello statuto, il presidente e pare che avessero già pronto un candidato, scelta non condivisa evidentemente da chi, andando via, ha fatto saltare il numero legale.

La situazione dell’Ato 3, in fase di liquidazione, è complicata per la difficoltà di riequilibrare debiti e crediti. Dal quadro della gestione finanziaria esercizio 2016, risultano residui attivi per circa 4milioni 755mila euro e passivi per oltre 4milioni 470mila euro con un avanzo quindi di circa 378mila euro e un fondo cassa di 27mila 304euro a cui però il commissario non può attingere per il sequestro dei conti chiesto dall’ex dirigente della provincia Letterio Frisone, responsabile della segreteria tecnico operativa dell’Ato dal 2003 al 2008, per mancati compensi percepiti per circa 800 mila euro. Frisone aveva un contratto a tempo determinato della durata di 5 anni con un compenso di circa 200mila euro l’anno, inclusa l’indennità di risultato anche se non si capisce bene, anche dalle relazioni presentate, quali obiettivi fossero stati raggiunti che meritassero un premio di 31mila euro l’anno. C’è un ricorso in atto in opposizione alla pretesa del funzionario il quale costituiva, insieme alla Dirigente Pianificazione e Controllo Carolina Musumeci (contratto da 117mila euro annuo più 23mila euro di indennità di risultato), il nucleo di valutazione e il collegio dei revisori, parte importante della spesa della Società, retta dai contributi dei Comuni. Gli Enti locali però ad un certo punto non hanno più versato le loro quote e le richiesta delle somme si sono trasformate tutte in azioni legali. Il Comune di Messina deve all’Ato duemilioni 800mila euro ma gli devono essere restituiti oltre un milione di euro per gli stipendi che ha erogato a tre funzionari distaccati all’Autorità d’Ambito. Anche l’ex Provincia ha assegnato 4 dei suoi dipendenti all’Ato che non ha rimborsato spettanze sembra per circa tre milioni di euro. L’organismo quindi resterà in piedi per incassare e pagare debiti ma con tutti i contenziosi sarà difficile arrivare rapidamente alla liquidazione. Un apparato che comunque continuerà a costare perché oltre il Commissario ci dovranno lavorare i revisori dei conti, un commercialista per il 770 e probabilmente qualche dipendente della Città Metropolitana di cui si chiederà il distacco.