Lettera a Luigi Genovese, figlio di Francantonio, candidato all’Ars con Forza Italia

Luigi Genovese, figlio di Francantonio,

mi scusi se mi rivolgo a lei come se fosse un personaggio di qualche saga nordica, o del Trono di Spade. Ma è impossibile chiamarla per nome, senza citare il genitore. Non ce la faccio. Lei ha 21 anni, ed  è un figlio di papà. Non è offensivo dirlo nel suo caso, perché lei ha un padre, nel bene e nel male, famosissimo. Raìs della politica e della formazione a Messina, sindaco di centrosinistra, primo segretario regionale del Pd grazie a Veltroni, poi passato a Forza Italia. Nel frattempo viene indagato per peculato e truffa, finisce in carcere, è condannato in primo grado a 11 anni. Nel 2012, alle ultime regionali,  ha fatto eleggere suo zio, deputato regionale, Franco Rinaldi, anche lui condannato. Adesso mette in mostra il pezzo pregiato della famiglia: che è lei, signor Luigi. 

Suo padre rappresenta un sistema, un’idea di politica, e un’idea di Sicilia. Non potendo candidarsi per ragioni giudiziarie, per l’ingombro della sua storia recente e del suo nome, tira fuori lei, coniglio imberbe e  smagrito da un cilindro un po’ sfondato.

E io le scrivo, signor Luigi Genovese, figlio di Francantonio, candidato con Forza Italia alle prossime elezioni regionali di Novembre nel collegio di Messina, per spiegarle alcune cose della vita, mi permetta la paternale, potrebbe essere mio figlio, e una delle cose è questa: non è vero che le colpe dei padri non ricadono sui figli, come si dice spesso, come ci dicono in tanti.
Le colpe dei padri, invece, ricadono sui figli. Tutte. Mio padre, se proprio dobbiamo cominciare da un esempio che mi è vicino, ha la colpa di essere stato un insegnante, e quindi a me figlio non ha lasciato un posto sicuro, uno studio legale o medico avviato, una fabbrichetta, qualche amicizia influente, nulla di nulla. Ho dovuto inventarmi un mestiere, come i figli degli impiegati, i figli degli operai uguali a me.

Ecco perché le colpe dei padri ricadono sui figli. Perché sono i nostri destini che si formano con loro.
E allora lei, signor Genovese, che è figlio di cotanto padre Francantonio, ci risparmi la manfrina del rinnovamento, della verginità politica, delle idee nuove, e tutto il resto. E’ lì perché è figlio di suo padre. E sarà eletto perché è figlio di suo padre. 
Perché io all’età sua potevo solo decidere se andare a studiare a Palermo o a Trapani, la facoltà di legge era obbligata, non c’erano alternative o santi. Lei, invece, ha tutto.

Che poi le colpe dei padri ricadono sui figli, e i figli sono alibi dei padri. Ma lo capisce che la usano come un ologramma, proiezione di quello che suo padre non può essere?
E siccome anche le colpe dei figli ricadono sui padri, e suo padre in qualche modo lo è anche Nello Musumeci, io qui confesso che fino ad un minuto fa per Musumeci avrei anche votato, per la stima che ho per la persona, la sua coerenza, la serietà. Poi è arrivato lei, e mi è cascato il mondo. Perché Musumeci una volta, questa estate, ha detto, seduto accanto a me: “Prima si diceva di un candidato: è chiacchierato, ma ha tanti voti, quindi è con noi. Io invece penso il contrario: ha tanti voti, ma è chiacchierato, quindi non lo voglio con me…”.E insomma, Musumeci mica comanda in Forza Italia, lo so, e mica sapeva di questo salto di generazione ideato in casa Genovese, ma un no poteva dirlo. Perché lei sarà anche candidato nel collegio di Messina, provincia lontanissima dalla mia, ma per effetto di quella legge della farfalla che sbatte le ali e del terremoto che ne consegue ad altre latitudini, dopo la sua candidatura, signor Genovese junior, c’è stato uno smottamento, personale, per carità, e comunque Musumeci ha perso il mio voto. E chissà di quanti altri. 
Poi vincerà ugualmente, Musumeci, è avanti nei sondaggi, rimane persona seria e per bene, ma rimane anche il prezzo di questo piccolo pizzo pagato alla casta, lui che si vanta di essere il “pizzo” che piace ai siciliani.

Le scrivo questa lettera con ritardo. Il circo è già partito, folle oceaniche l’hanno già benedetta, il papà in prima fila, i clientes dei papà a fare da cornice, i loro figli a fare da supporto.
E quindi mica le posso dire, che ne so: ritiri la candidatura. Anzi, le auguro ogni bene e l’elezione. 

Ma ha perso un’occasione. C’è un momento, nella vita di ognuno, in cui la vita ci chiama, ci prende per i capelli, ci chiede un gesto di responsabilità. Quando si subisce una grave perdita, ad esempio, o per un incidente, o altro. E’ uno dei momenti, rari e veri, in cui si chiede ad ognuno di noi, di uscire dalla logica del figlio, e di diventare padre. Padre di se stessi, di un’idea, di un altro figlio, di un destino. Padre, a volte, anche del proprio padre. Lei aveva in mano questa occasione: respingere la candidatura con un gesto di dignità, rinunciare all’eredità politica e agli onori della cronaca politica, e dire a suo padre: faccio da me. Non l’ha voluto fare. Era la sua linea d’ombra, fare quel gesto lì. Invece lei ha preferito l’ombra paterna.

Nella prima “uscita” della sua campagna elettorale, nel bagno di folla preordinato come un cibo cinese freddo da portare a casa che suo padre le ha organizzato, lei ha detto: “Mi candido perché voglio dimostrare di essere capace”. Mannaggia, ci è andato vicino.Avrebbe dovuto dire: “Non mi candido, proprio perché voglio dimostrare di essere capace”, signor Genovese. E’ questo che la vita le chiedeva.

Perché lei non dimostrerà di essere capace, signor Genovese, con quel cognome e questa storia di rinculo che ha. Dimostrerà di essere rapace. Cambia l’iniziale, cambia il senso.
Ha tradito la vita, la sua età, i suoi coetanei, soprattutto i siciliani. I giovani siciliani. E non quelli che le fanno da corona durante le infinite apericene elettorali, pronti a dirle quanto è bravo e “sperto”, e magari anche figo, signor Genovese. Il resto dei giovani siciliani. Che da questo gesto di pacata ribellione avrebbero colto magari spunto per guardare avanti con fiducia, per ribellarsi anche loro, e diventare, che ne so, anche loro padri. E invece lei fa la cosa più scontata, volta le spalle alla vita, e a noi, giovani ed ex giovani, resta l’amarezza e la disillusione.

Perché c’è una cosa infine che le devo dire, giovane Luigi, ed è che è vero che le colpe dei padri ricadono sui figli, ma è ancora più vero, purtroppo, che le colpe di certi figli finiamo per pagarle tutti noi.