Mafia dei Nebrodi, 91 condannati: ecco i nomi

Mfia dei Nebrodi sentenza

Si è concluso con la condanna complessivamente a 6 secoli di carcere il processo alla mafia dei Nebrodi celebrato davanti al tribunale di Patti (Me).

Pene durissime, dopo sette giorni di camera di consiglio, per un dibattimento con 101 imputati, celebrato in tempi record e che ha visto impegnati 4 pm della Dda di Messina: l’aggiunto Vito Di Giorgio, i magistrati Fabrizio Monaco, Antonio Carchietti e Alessandro Lo Gerfo.

Il processo nasce dall’operazione denominata “Nebrodi” che, oltre a ricostruire l’organigramma dei clan messinesi, ha scoperto una truffa milionaria, commessa dalle cosche, ai danni dell’Ue.  In totale 91 condannati e 10 assolti. 

Tutti i nomi dei condannati e degli assolti

La condanna più alta è stata comminata ad Aurelio Faranda, che ha avuto 30 anni di carcere. Condannato a 13 anni e 4 mesi Pasqualino Agostino Ninone; 2 anni e 2 mesi per Laura Arcodia; 7 anni e 4 mesi per Sebastiano Armeli; 3 anni e 10 mesi per Giuseppe Armeli Moccia; 7 anni e 8 mesi per Rita Armeli Moccia; 5 anni e 4 mesi per Salvatore Armeli Moccia; 15 anni e mezzo per Calogero Barbagiovanni; 2 anni (pena sospesa)per Alessio Bontempo; 4 anni per Gino Bontempo; Calabrese Maria Chiara e Antonino Caputo; 3 anni e 4 mesi per Giuseppe Bontempo, Antonino Calì e Giuseppe Carcione. Ancora: 12 anni per Salvatore Bontempo; 25 anni e 7 mesi per Sebastiano Bontempo detto “biondino”, 6 anni e mezzo per Sebastiano Bontempo Scavo, 10 anni per Salvatore Calà Lesina, Gino Calcò Labruzzo; 5 anni e 10 mesi per Jessica Coci; 17 anni e mezzo per Carolina Coci; 4 anni e 8 mesi per Rosaria Coci; 4 anni e 4 mesi per Sebastiano Coci, Giusy Conti Pasquarello e Antonina Costanzo Zammataro; 3 anni per Denise Conti Mica, 11 anni e 2 mesi per Ivan Conti Taguali; 5 anni per Massimo Costantini e Giuseppe Costanzo Zammataro (classe ’50); 3 anni per Claudia Costanzo Zammataro, 16 anni e 4 mesi anni per Giuseppe Costanzo Zammataro (classe ’82), 12 anni per Giuseppe Costanzo Zammataro (classe ’85). E ancora, 3 anni e 2 mesi per Loretta Costanzo Zammataro; 3 anni per Romina Costanzo Zammataro, 6 anni per Valentina Costanzo Zammataro, 4 anni per Barbara Crascì, 4 anni e 4 mesi per Katia Crascì, 9 anni e 10 mesi per Lucio Attilio Rosario Crascì. Inoltre 3 anni e 4 mesi per Salvatore Antonino Crascì, 6 anni e mezzo per Sebastiano Crascì, 13 anni e 7 mesi per Sebastiano Craxi; 2 anni per Sara Maria Crimi e Pietro Di Bella; 4 anni e 10 mesi per Salvatore Dell’Albani; 10 anni e mezzo per Sebastiano Destro Mignino, 6 anni e 11 mesi per Marinella Di Marco; 3 anni e 4 mesi per Maurizio Di Stefano; 5 anni 4 mesi per Antonino Faranda; 30 anni per Aurelio Salvatore Faranda; 4 anni per Davide Faranda; 6 anni e 2 mesi per Emanuele Antonino Faranda e Gaetano Faranda; 11 anni per Massimo Giuseppe Faranda; 2 anni (pena sospesa) per Giuseppe Ferrera e Valentina Foti; 4 anni per Vincenzo Galati Giordano (classe ’58); 21 anni e 8 mesi per Vincenzo Galati Giordano (classe ’69); 4 anni e 4 mesi per Santo Massaro Galati; 4 anni e 10 mesi per Daniele Galati Pricchia; 6 anni e 2 mesi per Emanuele Galati Sardo, 7 anni per Mario Gulino; 10 anni per Alfred Hila; 4 anni e 2 mesi per Roberta Linares; 11 anni e 8 mesi per Pietro Lombardo Facciale; 3 anni e 8 mesi per Francesca Lupica Spagnolo; 5 anni e mezzo per Rosa Maria Lupica Spagnolo; 3 anni per Mancuso Catarinella e Fabio Mancuso Cristoforo; 9 anni e mezzo per Antonino Marino Agostino. Poi, 6 anni e 8 mesi per Rosario Marino e Giuseppe Natoli; 4 anni e 10 mesi per Antonino Angelo Paterniti Barbino; 3 anni e mezzo per Massimo Pirriatore; 5 anni e 2 mesi per Elena Pruiti; 10 anni per Francesco Protopapa; 2 anni per Angelamaria Reale; 3 anni e mezzo per Danilo Rizzo Scaccia; 3 anni e 4 mesi per Giuseppina Scinardo e Angelica Giusy Spadaro; 4 anni per Giuseppe Scinardo Tenghi; 2 anni e mezzo a Giuseppe Spasaro; 11 anni e 10 mesi ad Antonia Strangio, 3 anni a Mirko Talamo; 10 anni e 3 mesi a Giovanni Vecchio; 5 anni e 8 mesi a Carmelino Zingales. I giudici del Tribunale di Patti hanno anche assolto 10 imputati: Lucrezia Bontempo, Sebastiana Calà Campana, Andrea Caputo; Rosa Maria Faranda; Innocenzo Floridia, Giuseppina Gliozzo, Giuseppe Natoli, Elisabetta Scinardo Tenghi, Salvatore Terranova. Prescrizione totale per Giovanni Bontempo. La lettura del dispositivo della sentenza è durata quasi un’ora. Dalle 23.09 a mezzanotte.

Gli imputati erano accusati a vario titolo di associazione mafiosa, truffa all’Ue, falso, estorsione, trasferimento fraudolento di valori. A istruire l’atto d’accusa alle “famiglie” mafiose dei Nebrodi dei Batanesi e dei Bontempo Scavo è stata la Dda di Messina che in 20 mesi ha ricostruito davanti al tribunale di Patti gli organigrammi dei clan svelando complicità di prestanomi e insospettabili professionisti. La “mafia dei pascoli” non c’è più, hanno sostenuto i pm. Al suo posto c’è una organizzazione imprenditoriale al passo coi tempi e capace di sfruttare le potenzialità offerte dall’Unione Europea all’agricoltura. Prevalentemente su base familiare, in rapporti con Cosa nostra palermitana e catanese, la mafia dei Nebrodi ha continuato a usare vecchi metodi come la minaccia e la violenza, ma i taglieggiamenti spesso erano finalizzati all’accaparramento di terreni, la cui disponibilità è presupposto per accedere ai contributi comunitari; “settore, questo, – scrisse il gip che firmò oltre 90 misure cautelari e il sequestro di 151 imprese – che costituiva il principale, moderno, ambito criminale di operatività delle famiglie mafiose”. Gli inquirenti hanno anche accertato che il denaro illecito transitava spesso su conti esteri per, poi, “rientrare in Italia, attraverso complesse e vorticose movimentazioni economiche, finalizzate a farne perdere le tracce”.

Le truffe e le collusioni dei colletti bianchi

I clan grazie all’aiuto di professionisti puntavano all’accaparramento di utili, infiltrandosi in settori strategici dell’economia legale e – spiego’ il gip – “depredandolo di ingentissime risorse”. Sotto processo oggi c’erano i i capi dei clan dei Batanesi e dei Bontempo Scavo. A fiutare l’affare milionario sono stati loro che, anche grazie all’aiuto di un notaio e di funzionari dei Centri Commerciali Agricoli (CCA) che istruiscono le pratiche per l’accesso ai contributi europei, hanno incassato fiumi di denaro sbancando le casse dell’Agea. Parti civili nel processo l’assessorato regionale Territorio ambiente, le associazioni Addiopizzo e SOS imprese, il Parco dei Nebrodi, il centro studio Pio Lo Torre, l’Agea, il Comune di Tortorici. Le indagini iniziate su input inizialmente anche dall’ex procuratore capo di Messina Maurizio De Lucia ora procuratore a Palermo. In aula anche molti degli avvocati dei 101 imputati che invece erano collegati in videoconferenza.

“Le truffe sono state riconosciute per buona parte. Resta il fatto che su quella parte di territorio della provincia di Messina le truffe hanno costituito la principale fonte di arricchimento sia del gruppo mafioso dei Batanesi sia del gruppo dei Bontempo Scavo, ma teniamo conto che è solo la sentenza di primo grado”. Lo ha detto il Procuratore aggiunto di Messina Vito Di Giorgio dopo la lettura della sentenza del processo della mafia dei Nebrodi. “E’ stata riconosciuta la mafiosità per i Batanesi mentre per il gruppo dei Bontempo Scavo no”, aggiunge. Per il pm Di Giorgio “buona parte delle truffe contestate hanno retto, è stata riconosciuta l’esistenza del 640 bis, in alcuni casi aggravata. Sicuramente questo è un aspetto importante”. Ma “è un dispositivo talmente complesso che va letto attentamente”.

Le lacrime di Giuseppe Antoci

In aula anche Giuseppe Antoci presidente della Fondazione Caponnetto ed ex presidente del Parco dei Nebrodi che ha denunciato il rischio che le mani dei clan arrivassero ai fondi europei. “E’ un momento importante perché questo paese ha bisogno di risposte, da questa esperienza esce la risposta di un territorio che ha fatto il suo dovere. Abbiamo fatto quello che andava fatto, abbiamo superato il silenzio e abbiamo fatto capire che i fondi europei dovevano andare solo alle persone per bene e non ai capimafia” ha detto Giuseppe Antoci, in lacrime, subito dopo la lettura della sentenza del Maxiprocesso dei Nebrodi. “Quest’aula stasera ha dato un segno di libertà – dice tra le lacrime- ma anche di dignità. Queste condanne che mi addolorano, perché in fondo non è proprio una vittoria quando le persone vanno in carcere. La lotta alla mafia non si può fare solo con la repressione ma va fatta ogni giorno. Questa esperienza dimostra che da un piccolo territorio nasce un protocollo di legalità che la Commissione europea considera tra i più importanti. Rompiamo questo muro di silenzio”.