Mafia: lo strano suicidio di Nino Gioè. Si indaga a Reggio Calabria

Il boss di Altofonte Nino Gioè, morto suicida in carcere la notte tra il 28 e il 29 luglio del 1993, voleva collaborare con la giustizia. La notizia è ora ufficiale e arriva da da Reggio Calabria dove i magistrati seguono una pista che potrebbe gettare nuova luce sul caso Gioè, ufficialmente morto suicida nella notte in cui a Roma e Milano esplodevano le bombe piazzate dai clan.

Nino Gioè

Una notizia, rivelata dal quotidiano Repubblica, che sta negli interrogatori, nuovissimi, “che il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo ha messo agli atti del processo d’appello ‘Ndrangheta stragista, in primo grado costato un ergastolo al boss di Brancaccio, Giuseppe Graviano, e al mammasantissima calabrese, Rocco Santo Filippone, condannati come mandanti degli attentati contro i carabinieri con cui la ‘Ndrangheta ha firmato la propria partecipazione agli attentati continentali”.

Di certo si sa che nei suoi ultimi giorni a Rebibbia aveva presentato «frequenti e ripetute richieste di colloquio con i magistrati e le forze dell’ordine». Ed erano ufficiali, perchè «ero io a prendere cognizione del contenuto delle istanze che scriveva» ha raccontato il 10 giugno 2019 Antonio Ciliegio, che all’epoca era agente penitenziario e insieme ai colleghi aveva ricevuto l’ordine di vigilare su Gioè «visto il rischio per la sua incolumità in prospettiva di una sua imminente collaborazione». Ne erano coscienti a Rebibbia e lo sapeva il boss, che aveva smesso di uscire dalla cella perché «probabilmente «si sentiva in pericolo o era stato espressamente minacciato da qualche detenuto».

Mafioso di rango, tra i protagonisti della storia delle stragi – c’era lui con Giovanni Brusca a Capaci, quando l’autostrada saltava portandosi via la vita di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e degli uomini della scorta – Gioè era uno dei pochi ad avere un contatto diretto con Totò Riina. Ma il boss di Altofonte era anche uomo di mezzo: uno che in mano e in uso ha avuto un cellulare ufficialmente disattivato, ma che il giorno della strage di Capaci ha chiamato per tre volte un numero statunitense, che con l’intelligence aveva contatti e ci ha parlato, come con quel Paolo Bellini – estremista nero, trafficante d’arte, killer di ‘Ndrangheta, in odore di servizi, oggi imputato per la strage di Bologna – che potrebbe aver suggerito ai clan di colpire i grandi monumenti per far tremare l’Italia. Gioè era un uomo dai mille segreti.

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