Il Patto della Sicilia? E’ un bluff

Lo sappiamo. In politica la bugia è la regola.
E la Sicilia è sempre terreno fertile per bluff propagandistici, che anche se non hanno fini elettorali fanno sempre comodo a lustrare l’ego di chi ha un pochetto di “potere”. Questi sono i giorni del Patto per la Sicilia. Uno dei più grandi bluff di Matteo Renzi e soci nei confronti dei siciliani.

Sul Patto per la Sicilia, si è imbastita una bugia generale che fa passare un messaggio totalmente distorto. E’ questo: il Governo Renzi dà dei soldi alla Sicilia, grazie all’intervento di Crocetta e grazie ai deputati regionali e ai sindaci che hanno fatto del buon lavoro.
Qualcuno mente. Perchè non c’è nessuna “nuova risorsa” per la Sicilia. Gli investimenti non sono “nuovi”. E il Governo Renzi non si è accorto, così, dello stato d’arretratezza del Sud Italia. Qualcuno prende in giro i siciliani, perchè quei soldi ce li “dovevano” da anni. Niente di nuovo, nessun bonus. E’ la storia di questa terra, far passare come straordinario qualcosa di non solo ordinario ma dovuto.
Qualcuno dice bugie. E le dicono un po’ tutti. Da Renzi a Crocetta, ai deputati regionali, agli stessi sindaci. Sono loro che si stanno lasciando andare in dichiarazioni di compiacimento per il proprio lavoro. Che ringraziano Renzi e Crocetta per il regalo fatto. Avrebbero voluto essere tutti lì, o quasi, i sindaci siciliani. Alla Valle dei Templi, a toccare “san Matteo” e “san Rosario”. Ci volevano essere tutti, ma chi non è andato si è lasciato andare in dichiarazioni del genere.
Non si tratta di nuovi investimenti. Perchè è stato tutto già “finanziato” prima. E anzi ci devono spiegare perchè hanno fatto tardi, ammesso sempre che questi soldi arriveranno. Perchè hanno ridotto il totale degli impegni per il Meridione rispetto a due anni fa. Devono spiegare qual è l’idea, nuova, per il Mezzogiorno.
Ma qui è un riciclo di soldi e di annunci, di foto e selfie sorridenti. Un po’ davanti ai templi di Agrigento, un po’ a Napoli. Una storia che si ripete, ad ogni latitudine.

 Qui entra in gioco una sigla che crea sempre tante aspettative. Fsc, il Fondo sviluppo e coesione. Che sono quegli investimenti che lo Stato Italiano affianca agli interventi dell’Unione europea per il Sud. Ma anche in questo caso gli interventi economici per il sud si fermano, attendono un motivo per pomparli meglio sulla propaganda.
Il bluff, lo ha spiegato molto bene La Stampa, qualche mese fa, quando Renzi aveva cominciato il suo giro. Vi ripropongo il passaggio:

Tutti i discorsi sul Sud fanno capo a una sigla: Fsc. È il Fondo Sviluppo e Coesione, il canale di finanziamento nazionale che corre in parallelo ai fondi europei. Il Fondo si dispiega in cicli di sette anni e per legge l’80% dei soldi vanno al Sud. Quello attuale inizia nel 2014, mentre si insedia il governo Renzi. Ma non se ne sa nulla fino al 30 luglio 2015, quando lo Svimez (Associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno) anticipa il suo rapporto annuale, parlando di crescita inferiore a quella Greca, allarme povertà, «sottosviluppo permanente». Lo scrittore Roberto Saviano lancia un appello al premier, che risponde a modo suo: una settimana dopo convoca una direzione Pd ad hoc e annuncia per settembre un «masterplan per il Sud». Viene pubblicato a novembre. Ora si cominciano a firmare i patti che dovrebbero attuarlo.
Dunque in un ciclo di investimenti di sette anni si parte con due anni e mezzo di ritardo. Nel frattempo la dotazione del Fondo si è sensibilmente ridimensionata: da 55 a 38 miliardi. E gli altri 17? Prelevati dal governo come a un bancomat per le più diverse esigenze dalla banda larga al piano per la ricerca ai beni culturali, per i quali il criterio di distribuzione geografica è stato capovolto: al Sud solo il 27% (peggio che con lo Sblocca-Italia, che aveva destinato solo il 38%).

In più il 70% di questi nuovi investimenti sono in realtà stati stanziati da governi precedenti. Parliamo del 2012, ad esempio, per gli interventi alle fognature marsalesi.Fondi introdotti nel 2012, poi riconfermati nel 2014, adesso ritirati fuori spacciandoli come nuovi.
Mente, allora Matteo Renzi. Mente anche Rosario Crocetta. Mentono i deputati regionali.