Strage Borsellino, procura smentisce Avola: “Nessun riscontro alle sue dichiarazioni”

Strage Borsellino racconto Avola

Le dichiarazioni di Maurizio Avola  sulla sua presunta partecipazione alla Strage di Via D’Amelio sono oggetto di riscontro e dalle prime indagini ci sono parecchi dubbi che il killer di mafia abbia raccontato la verità.  Gli investigatori avrebbero infatti accertato che Avola, che dice di essere arrivato a Palermo venerdì 17 luglio per preparare la strage, si sarebbe trovato a Catania il giorno precedente alla strage (quindi sabato 18 luglio) addirittura con un braccio ingessato. Avola, invece, avrebbe raccontato di essere stato nel pomeriggio del 17 luglio 1992 all’interno di un’abitazione nei pressi del garage di via Villasevaglios pronto su ordine di Giuseppe Graviano a imbottire di esplosivo la Fiat 126 poi utilizzata come autobomba.  

Dopo la trasmissione di ieri sera su la 7 di parti di una lunga intervista realizzata da Michele Santoro (e contestuale dibattito) interviene la procura di Caltanissetta con una nota a firma del procuratore aggiunto Gabriele Paci il quale conferma che l’ex collaboratore di giustizia, autoaccusatosi di 80 omicidi, ha riferito “nel corso di un interrogatorio svoltosi lo scorso anno a distanza di oltre 25 anni dall’inizio della sua collaborazione con l’autorità giudiziaria”. E poi Paci aggiunge: “I conseguenti accertamenti disposti dalla Dda, finalizzati a vagliare l’attendibilità di dichiarazioni riguardanti una vicenda ancora oggi contrassegnata da misteri e zone grigie, non hanno allo stato trovato alcuna forma di positivo riscontro che ne confermasse la veridicità”.

E infine la bacchettata finale all’ex collaboratore di giustizia: “Colpisce peraltro che l’Avola, anziché mantenere il doveroso riserbo su quanto rivelato a questo ufficio – scrive Paci – abbia preferito far trapelare il suo asserito protagonismo nella strage di Via D’Amelio, oltre a quello di Messina Denaro, Graviano e altri, attraverso interviste e la pubblicazione di un libro”.

E ancora: “Lascia altresì perplessi – scrive Paci – che egli abbia imposto autonomamente una sorta di discovery compromettendo così l’esito delle future indagini, dopo che l’ufficio aveva provveduto a  contestargli le numerose contraddizioni del suo racconto e gli elementi probatori che inducevano a dubitare della veridicità di tale sua ennesima progressione dichiarativa”