Da Trapani le proposte dei commercialisti per la "rinascita" del Sud

“I commercialisti protagonisti della rinascita del Sud”, questo il tema della “due giorni”, conclusasi ieri, in cui i commercialisti di tutta Italia si sono confrontati, con l’ausilio di esperti, docenti universitari ed esponenti politici, nel corso del Convegno nazionale organizzato dall’Ordine dei Commercialisti ed Esperti contabili di Trapani.
“I commercialisti sono il primo e, talvolta, l’unico interlocutore professionale delle imprese – ha esordito Mario Sugameli, presidente dell’Ordine di Trapani – e sono il collante tra imprese e ambiente esterno, non solo per i rapporti con gli enti fiscali e previdenziali ma anche per i rapporti con gli enti locali, con la Regione, con la burocrazia in generale. Nel corso del periodo 2008-2014 abbiamo assistito ad un cataclisma: nel Meridione gli investimenti sono crollati del 59% e i consumi del 13%; in tutto il Paese hanno chiuso migliaia di aziende, mentre noi commercialisti eravamo chiusi e rintanati nei nostri studi, e non c’è stata alcuna voce che si è alzata per chiedere ‘ma che sta succedendo?’. Dobbiamo essere protagonisti del cambiamento e dello sviluppo socio-economico – ha proseguito – convincere gli imprenditori che da soli non si va da nessuna parte e che i processi aggregativi come le reti d’impresa, i consorzi export, sono strumenti indispensabili per crescere e competere nel mercato globale. Fare rete sul territorio con le università, con i centri di ricerca, con gli incubatori di imprese non è una opzione ma una necessità. Dalla Pubblica Amministrazione dobbiamo pretendere semplificazione, certezza del diritto, tempi rapidi: condizioni che in tutti i Paesi che si definiscono civili sono assicurate ordinariamente.
Come commercialisti dobbiamo metterci in gioco: avviare la crescita dimensionale con le aggregazioni, fare rete tra di noi e offrire un approccio multidisciplinare ai nostri clienti, sempre nell’ottica dello sviluppo e della competizione globale. Non possiamo rimanere all’esterno di quelli che sono i processi decisionali che riguardano le nostre comunità e i territori”.
“Il Sud – ha detto il presidente nazionale Gerardo Longobardi – è un crocevia dove si incontrano grandi capacità e grandi contraddizioni. Abbiamo sempre avuto politiche emergenziali e temporanee che hanno tentato di colmare il gap del Meridione con il resto del Paese e mai interventi strutturali. Bene, quindi, i patti per il Sud che il Governo sta sottoscrivendo in tante realtà regionali – ha proseguito Longobardi – ma i loro effetti rischiano di essere vanificati dall’assenza di una politica nazionale unitaria per il Mezzogiorno. Bisogna chiedersi dove va l’intero sistema Italia e come Nord e Sud possono invertire questo lento declino che investe tutto il Paese”.
Secondo il presidente nazionale dei commercialisti “resta irrisolto il nodo di una regia nazionale delle politiche per il Mezzogiorno. Allo stato attuale – ha affermato – esse sembrano essere delegate in maniera preponderante alle Regioni. Ma un’efficace strategia per il Sud non può essere la mera sommatoria di sedici patti sottoscritti con le regioni e le città metropolitane. La speranza è che ci sia ancora spazio per la definizione di un livello centrale dal quale far discendere verso le realtà territoriali le scelte fondamentali che si vogliono seguire per aggredire i tanti nodi storici, sociologici ed economici all’origine dell’arretratezza meridionale”. Il rischio è quello di interventi, ancora una volta, a macchia di leopardo ed è necessario anche fare il punto su quali risorse ordinarie il governo intende rendere disponibili oltre ai fondi europei, spesso usati in sostituzione e non in aggiunta per realizzare interventi nelle aree depresse del Paese. Proprio a proposito di risorse, Longobardi ha affermato che “dev’essere l’Italia ad affrontare la questione meridionale, non solo l’Unione europea che può contribuirvi ma non risolverla. Non sono i fondi europei a fare la strategia ma tutt’al più essi possono concorrere ad una strategia nazionale con alcune specifiche risorse”.
Che occorre riqualificare la spesa al Sud e migliorare l’utilizzo dei fondi europei è stato il filo conduttore di svariati interventi succedutisi nel corso dei lavori, così come è stata sottolineata più volte la necessità di progetti che riguardino le infrastrutture, privilegiando quelli in fase avanzata e quelli di interesse strategico. Vanno poi semplificati drasticamente gli strumenti di sostegno alle imprese, puntando su misure automatiche capaci di far ripartire gli investimenti, in particolare il credito di imposta”.
Secondo il segretario del Consiglio nazionale dei commercialisti, Achille Coppola, “l’Italia si è meridionalizzata” nel senso deteriore del termine mentre per Giuseppe Provenzano, vice direttore della Svimez, i “fondi provenienti dall’Unione europea costituiscono solo lo 0,5 del PIL nazionale e sono assolutamente insufficienti a colmare il divario tra Nord e Sud”. Provenzano ha anche sottolineato come i “tagli delle risorse pubbliche siano gravati maggiormente sulle regioni meridionali e che il Sud deve essere utile al resto del Paese e non tollerato”.
“Come uscire dalla crisi?” si è chiesto Antonio Purpura. Secondo il professore di Economia industriale ed Economia del Turismo all’Università di Palermo è “necessario individuare nei contesti territoriali gli attori dello sviluppo locale e su quelli puntare. Imprese che sanno stare sul mercato, Università e altre realtà di ricerca e innovazione sono tra questi ed è importante – ha proseguito – creare un rapporto organico tra chi crea conoscenza e imprese, quelle già esistenti e quelle che arriveranno se trovano un contesto accogliente”.
“Le politiche per il Sud scontano una sorta di assenza di memoria – ha detto Gaetano Armao, ex assessore regionale ai Beni culturali e docente di Contabilità pubblica all’ateneo palermitano – gli errori fatti nel passato tornano nel ‘Master Plan’ allestito dal governo Renzi e l’utilizzo dei fondi europei non può colmare le differenze tra Nor e Sud del Paese. Abbiamo avuto un’imprenditoria agevolata e incentivata oltre misura in passato e il fallimento di quel modello di sviluppo lo vediamo oggi anche dalla fuga dei nostri giovani all’estero mentre, dall’altro lato, siamo meta di flussi migratori dall’Africa che, se non correttamente gestiti saranno in futuro, insieme alla diminuita natalità della Sicilia, problematiche critiche”. Armao ha anche sottolineato come i 5,7 miliardi di euro del Patto per la Sicilia non possano essere presentati tutti come nuove risorse perchè “2,4 miliardi sono fondi già assegnati e 2,3 miliari provengono dal FCS”. Anche l’ex assessore regionale ha puntato il dito sulla carenza di progettualità e realizzazioni infrastrutturali: “si è smesso di fare investimenti per le infrastrutture sui quali la complementarità dell’Ue dovrebbe poggiare”.
Interessante, non solo dal punto di vista delle cifre ma anche per i suoi risvolti sociologici, l’intervento del professore Mario Lavezzi, docente di Economia dell’Università di Palermo, dal titolo “La mafia dà lavoro?”. Contrariamente ad un certo “sentire” diffuso nell’Isola, Lavezzi ha dimostrato, dati alla mano, come nei territori a maggiore “densità” mafiosa il PIL sia inferiore e come dove c’è più mafia ci sia anche più disoccupazione giovanile. In uno studio, riguardante la Puglia e la Basilicata, è stato dimostrato che il divario tra il PIL reale e quello che avrebbe potuto essere prodotto senza la presenza della criminalità organizzata si attesta al 16%, una cifra tutt’altro che trascurabile. “La mafia distrugge lavoro – ha proseguito Lavezzi – e il suo peso negativo sullo sviluppo economico è evidente e inconfutabile”. Anche la pratica del “pizzo” rappresenta – ha proseguito il docente – una ‘barriera all’entrata’ di nuove imprese nei territori, scoraggiando gli investitori a creare realtà produttive nuove, a impegnarsi nell’innovazione. “Dove c’è la mafia la produttività delle imprese è più bassa, ci sono interferenze pesanti nell’aggiudicazione degli appalti pubblici e i tassi di interesse praticati dalle banche sono più alti”. In questo senso, ha sottolineato Lavezzi, sono importanti, oltre all’azione e alla presenza dello Stato, le iniziative di contrasto alla criminalità organizzata poste in essere dalle associazioni di categoria.
“Viviamo in un Paese e due economie e due velocità – ha detto Salvatore Tramontano, presidente della Fondazione ODCEC di Napoli – e sono necessari interventi mirati, per aree e per settori produttivi, ambiti come il Turismo, dove c’è maggiore valore aggiunto”. Tramontano ha anche puntato il dito sulla “minore qualità” della Pubblica Amministrazione al Sud che contribuisce a “mettere in crisi la legalità del sistema”. Secondo il presidente della Fondazione ODCEC di Napoli un modello virtuoso è quello delle “reti di impresa”, come realizzato in altri Paesi europei. “In Italia abbiamo la normativa ma non ma cultura delle reti di impresa e questo è un fattore che impedisce agli operatori di crescere per come sarebbe possibile”.
Puntare sulle Zone economiche speciali (Zes) e sulla finanza agevolata sono due delle proposte messe a punto dal Gruppo di lavoro per il Mezzogiorno del Consiglio nazionale dei commercialisti, coordinato dal segretario nazionale Achille Coppola. Tematiche sulle quali il Gruppo di lavoro ha già avviato una stretta collaborazione con la Svimez. “Le Zone economiche speciali – si legge nel documento – sono una prospettiva teorico-pratica attraente. Innovazioni di tipo fiscale, amministrativo, progettuale, organizzativo e comunicazionale possono, da un lato, essere sperimentate su aree territoriali specifiche e, dall’altro, consentire la crescita di un know how coerente con le esigenze della competizione globale” rivolgendosi sia alle imprese già presenti sia a quelle nuove. In questa prospettiva “le competenze e le conoscenze dei commercialisti sarebbero determinanti, dal momento che essi già mettono quotidianamente la propria professionalità a disposizione delle aziende nella loro qualità di consulenti amministratori o sindaci”. “Resta imprescindibile – per i commercialisti – la creazione di un coordinamento tra la categoria e le Prefetture, le Magistrature, l’Anac e tutti gli Enti interessati per creare una vera e propria rete della legalità”. “La pre-condizione per porre in essere qualsiasi sforzo volto al risanamento del Mezzogiorno – è scritto nel documento – è la sicurezza del territorio”. Per i commercialisti il ruolo della categoria andrebbe valorizzato anche “nel supportare le fasi di programmazione, analisi e monitoraggio degli enti pubblici”. Il contributo dei commercialisti, in sostanza, “può servire a modernizzare la Pubblica Amministrazione e a portare al suo interno conoscenze economico-finanziarie in grado di migliorare i sistemi di governance, la qualità e veridicità dei bilanci, la selezione degli investimenti e la gestione dei fabbisogni di cassa”.
“Il Sud – ha detto Roberto Cunsolo, tesoriere del Consiglio nazionale dell’Ordine dei Commercialisti – ha bisogno di uno Stato che faccia il suo lavoro e garantisca gli stessi diritti a tutti i cittadini. E’ un falso mito – ha aggiunto – che per il Meridione siano state spese risorse enormi. Dal 1951 al 2010 al Sud sono arrivati 7 milioni l’anno, briciole se pensiamo che, per l’unificazione tra Est ed Ovest, la Germania ha impegnato 75 miliardi all’anno”.
“La Svimez ci dice che, nell’ultimo periodo, il Sud ha avuto un incremento maggiore del PIL e nell’occupazione rispetto al Nord, è questo è un bene, ovviamente – ha commentato Pietro Busetta, docente di Statistica economica all’Università di Palermo – ma dobbiamo pensare che su una popolazione di 21 milioni, in Sicilia gli occupati, secondo i dati Istat, sono 6 milioni con un rapporto di uno a quattro quando nelle aree sviluppate del nostro Paese il rapporto tra abitanti e occupati è di uno a due. Ci sono alcune soluzioni per correggere questa proporzione – ha proseguito – una è diminuire la popolazione (e questo tra emigrazione e diminuzione della natalità sta già avvenendo) ma noi non la auspichiamo; la seconda è che si preveda un sussidio ai giovani per evitare che vadano via e che, magari, gli venga voglia di inventarsi un lavoro e non rimanere in una condizione di assistenzialismo. Si tratta, cifre alla mano, di un progetto, comunque, non sostenibile per le finanze pubbliche; la terza soluzione è l’utilizzo dei fondi comunitari per lo sviluppo ma abbiamo visto che sono troppo pochi e non risolutivi; una quarta soluzione è quella di guardare a cosa hanno fatto in altri Paesi, penso all’Irlanda, alla Polonia, all’Ungheria e prendere esempio anche se bisogna considerare che quelli erano Paesi con un sottosviluppo diffuso mentre l’Italia è un Paese duale e quindi le misure adottate non funzionano nello stesso modo al Nord e al Sud”. Secondo Busetta è necessario attrarre investimenti dall’estero: “Dobbiamo diventare appetibili per gli investitori e convincerli a venire in Sicilia piuttosto che a Budapest o Cracovia. I fondi Ue devono, in questo senso, essere utilizzati per creare le condizioni favorevoli come le infrastrutture sufficienti (ferrovie, viabilità) a cui devono aggiungersi la lotta alla criminalità organizzata, la diminuzione del costo del lavoro (incidendo sul cuneo fiscale), la fiscalità di vantaggio. Ritrovare una centralità nelle decisioni di spesa e dove gli amministratori locali non sono in grado di impegnare le risorse disponibili, individuare soggetti che intervengano al loro posto”.
“Al Sud siamo ancora, estremamente provinciali – ha detto Alessandro Pagano, vice presidente della Commissione parlamentare di vigilanza sull’Anagrafe tributaria – continuiamo a cullarci sui fasti del passato ma dobbiamo imparare ad essere competitivi e non ad andare in giro con il cappello in mano. Dal 2000 non è più Roma a decidere delle nostre sorti ma Bruxelles, anzi, meglio ancora, i potentati finanziari di Wall Street: tutto ciò rischia di essere catastrofico per il Sud. Non abbiamo mai avuto vere politiche sulla famiglia, la base demografica si va restringendo e, quando non si fanno figli, il welfare diventa pesantissimo, insostenibile, il sistema sanitario sempre più costoso per l’invecchiamento della popolazione. La Sicilia, in particolare, sul fronte dei flussi migratori sta pagando un prezzo altissimo che non merita, una situazione che non deriva solo dalla sua posizione geografica ma anche da quanto il governo Renzi non sta facendo”.
“Io non ho mai usufruito di fondi pubblici – ha esordito Piero Agen, presidente di Confcommercio Sicilia – perchè i costi sono maggiori dei benefici. La Sicilia ha la potenzialità per essere la più grande piattaforma logistica dell’EuropAfrica [ndr. citando uno studio del governo cinese] e, invece, siamo bravissimi a darci la zappa sui piedi, a fare ‘grandi cose’che poi cadono nel nulla. Non abbiamo un progetto di sviluppo territoriale, altrimenti invece di fare le battaglie su dove fare le cose, cercando di accontentare questo o quello, si penserebbe ad individuare e fare le cose che realmente servono”.
“Dobbiamo chiederci – ha detto Giuseppe Berretta, componente della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati – se crediamo davvero nella possibilità della Sicilia di creare sviluppo e lavorare per creare occasioni reali dalle enormi potenzialità che abbiamo. Io difendo il ‘Master Plan’ del governo Renzi e se, guardate bene, molte delle proposte provenienti dal mondo imprenditoriale e dell’Università vi hanno trovato accoglienza. Il Paese ha bisogno del Sud, questa consapevolezza ce l’ha il governo e ce l’ha il Pd”.
“E’ necessario garantire la continuità dell’azione amministrativa”, ha sottolineato il sindaco di PantelleriaSalvatore Gabriele, chiamato insieme ad alcuni imprenditori del Trapanese a raccontare la propria esperienza a conclusione dei lavori. “La sfida di questi anni sulla spendibilità delle risorse – ha proseguito – è quella di allestire una pianificazione di fondo e una progettualità concreta. Sulla base della mia esperienza di sindaco posso dire che ci vogliono grande pazienza, determinazione e capacità di scegliere persone dotate di grande professionalità che stiano accanto a chi amministra. I sistemi territoriali devono anche essere in grado di avanzare progettualità al governo centrale”.
“Il cambiamento che dobbiamo fare è, innanzi tutto culturale – ha detto Federico Lombardo di Monte Iatodell’azienda vinicola Firriato – e questo spetta a ciascun cittadino, a partire dai più semplici gesti quotidiani come non gettare i rifiuti in strada”. Lui come anche Vito Pellegrino della Sud Marmi, Giovanni Lipari della Lipari Consulting, Manfredi Barbera dell’omonima ditta produttrice di olio, e Marcello Campo della Nino Castiglione srl, hanno offerto alcuni flash sulle proprie esperienze e le proprie visioni a partire dalla storia delle aziende rappresentate. Tutti hanno fatto riferimento, tra i fattori di miglioramento economico della Sicilia e del Meridione, alla cultura, al saper fare sistema, alla determinazione e al credere in se stessi anche nei passaggi più difficili della propria attività.
“Ho vissuto 50 anni di speranze e delusioni per la Sicilia – ha confessato Sergio Amenta, presidente della BCC “Don Rizzo” – e vivo la tristezza di chi ha sentito tanti discorsi e visto pochi frutti. Noi Siciliani dobbiamo smettere di aspettare che siano altri a risolvere i nostri problemi e diventare protagonisti della nostra storia.In questo senso le banche di credito cooperativo, che sono più vicine ai territori, possono fare la loro parte”.
“La situazione della Sicilia – ha sottolineato Davide Faraone, sottosegretario alla Pubblica Istruzione del governo Renzi – non è frutto del destino ma di scelte politiche ed economiche compiute da chi ha amministrato in passato. Abbiamo costruito industrie e aeroporti sulle nostre coste andando contro la ‘naturalezza’ della nostra Isola, abbiamo chiesto soldi per ampliare l’apparato pubblico a dismisura invece di sostenere chi poteva investire nelle nostre risorse peculiari ma è questo che, adesso, bisogna fare. Ci vuole coraggio a sovvertire una situazione di obiettiva difficoltà e cogliere le opportunità che si presentano. Il ponte sullo Stretto, l’alta velocità sono grandi occasioni di sviluppo. Invece di festeggiare quando otteniamo i fondi, dovremo festeggiare quando la Sicilia uscirà dalla condizione di ‘regione obiettivo’, le risorse Ue ci vengono riconosciute perchè siamo in una condizione minoritaria, abbiamo un PIL più basso, sono straordinarie e non ci saranno per sempre”.