Coronavirus, Sicilia in arancione: più medici sul territorio e meno forestali

Coronavirus

L’inserimento della Sicilia nella zona arancione ai fini del contrasto alla diffusione del Coronavirus pone una serie di interrogativi. Ma uno in particolare diventa quasi un tarlo: c’è qualcosa che non sappiamo e che ha motivato la scelta del presidente del Consiglio e del ministro della Salute? Per essere più chiari: quali sono i motivi che hanno spinto il governo nazionale a inserire la Sicilia in zona arancione lasciando fuori regioni come la Campania che invece, all’apparenza, hanno una condizione epidemiologica peggiore della nostra? Sarebbe utile oggi, andando oltre la polemica politica,  dare una risposta a queste due semplici domande, con dati tecnici, analisi e spiegazioni. Perché capire le ragioni della scelta del governo ci aiuterebbe a comprendere meglio le nostre debolezze,  dove intervenire, cosa fare per oggi e per il futuro. Sia in tempi di pandemia sia in tempi diciamo così normali.

C’è un episodio, recente, che può farci capire (nel suo piccolo) cosa è accaduto e sta accadendo e riguarda la diffusione dell’epidemia in un piccolo comune dei Nebrodi, Galati Mamertino. Lì, nel giro di qualche giorno, con uno screening massiccio sulla popolazione, si è scoperto che i contagiati continuavano a crescere e avevano superato le 160 unità (come si può dire utilizzando un termine bruttissimo): la gran parte dei contagiati era asintomatica. Quel comune, dichiarato zona rossa dal governo regionale, per alcuni giorni è rimasto senza medico di base (l’unico che c’era era positivo al Covid e l’altro era andato in pensione e non era stato ancora sostituito) e sempre per alcuni giorni è mancato un vero e proprio presidio di assistenza sanitaria. E’ stata la prova generale di come funziona nella nostra regione la medicina territoriale ovvero non funziona.  Si è detto in tanti dibattiti che la strada per evitare il sovraccarico degli ospedali (al netto ovviamente delle terapie intensive) sia quella di rafforzare la medicina e le cure sul territorio. Insomma, in una situazione come questa, si potrebbe sintetizzare con uno slogan “Più medici e meno forestali”.

Non che i forestali non servano, per carità, ma in questo momento forse avere più medici, più infermieri, più addetti sanitari in presidi fissi sul territorio con farmaci adeguati a portata di mano e competenze per diagnosi veloci e certe è sicuramente la cosa più opportuna da fare. Ieri  abbiamo dato la notizia della possibile assunzione di oltre 900 medici (alcuni stranieri) oggi vorremmo dare l’altra notizia: quei medici sono stati assunti e da oggi saranno in servizio permanente effettivo.

Non se ne abbia a male l’assessore Ruggero Razza se ci permettiamo di dare qualche piccolo suggerimento che poi è un richiamo all’efficienza e al buon senso: il rafforzamento della medicina territoriale può aiutare anche sul piano psicologico, rassicurare dove c’è da rassicurare i contagiati, impedire che per paura la gente si precipiti in ospedale intasando i pronto soccorso, provare a tenere libere le corsie per ricoverare chi ha veramente bisogno di essere ricoverato. Non è la soluzione definitiva, ovviamente. Ma in molti casi è dimostrato che un governo adeguato e razionale delle crisi sul territorio ha evitato l’emergenza generale.  Oggi non servono le polemiche ma servono azioni concrete per dimostrare che la Sicilia è nelle condizioni di gestire l’emergenza. Con la consapevolezza che le scelte di oggi, con una disponibilità finanziaria abbondante dopo anni di tagli sconsiderati, possono migliorare anche il sistema di domani.