Il 7 dicembre di 30 anni fa, nel corso di una conferenza stampa, veniva annunciata la nascita dell’Acio, la prima associazione antiracket italiana. Una svolta nella reazione alla prepotenza dei clan mafiosi che portò sotto i riflettori una cittadina siciliana nota fino ad allora per la sua vocazione turistica: Capo d’Orlando, in provincia di Messina.
Il primo atto dell’associazione fu la costituzione di parte civile nel processo agli estortori mafiosi. Furono 140 gli imprenditori e i commercianti che, dopo aver denunciato le pressioni subite dalle cosche dei Nebrodi e dopo aver fatto arrestare gli uomini del pizzo, scelsero di partecipare al processo e raccontarono in aula la loro esperienza.
Fu il primo passo nella battaglia di liberazione dal racket che negli anni ha subito alterne vicende, stop e riprese e ha contato molte vittime. Oggi, a 30 anni di distanza, in un incontro trasmesso in streaming sui social, dopo un saluto del ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, si sono ritrovati vecchi e nuovi protagonisti della lotta alle estorsioni: Tano Grasso, storico commerciante di Capo D’Orlando divenuto il volto dell’antiracket, il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho, il procuratore di Messina Maurizio de Lucia, il commissario nazionale antiracket e antiusura Giovanna Castronovo, Luigi Ferrucci, presidente della Federazione Italiana Antiracket e alcuni dei commercianti che parteciparono alla ribellione al pizzo come Sarino Damiano, proprietario di un albergo che si rifiutò di pagare la tangente mafiosa.
Alle sessioni di lavoro in streaming hanno partecipato anche alcuni giornalisti tra cui Lirio Abbate, Guido e Sandro Rutolo, Vincenzo Vasile, Giovanni Bianconi, Francesco La Licata, Giuseppina Paterniti. “Le associazioni sono nate e continuano a sorgere grazie al passaparola – ha detto Tano Grasso che ha poi esportato il modello Capo d’Orlando in tutta la Sicilia e poi in Campania, in Puglia e nel Lazio – ma il volontariato ha dei limiti e a un certo punto si ferma. Manca il salto di qualità che si potrebbe fare se si intestassero la battaglia contro il racket le grandi associazioni di categoria. Se non lo faranno, questa battaglia resterà confinata a una battaglia di avanguardia”.
Il procuratore di Messina De Lucia ha puntato sulla necessità che l’associazionismo si sviluppi nel Nord Italia “dove – ha detto – le mafie sono pronte ad approfittare della crisi economica. La sfida oggi è questa”. All’incontro, che prosegue nel pomeriggio con interventi di giornalisti e amministratori locali, ha partecipato anche il nipote dell’imprenditore Libero Grassi, ucciso a Palermo il 30 agosto del 1991 per essersi ribellato e aver denunciato gli estortori del clan Madonia. (ANSA)
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