Negli ultimi anni a causa della crisi è cresciuto il divario tra Nord Europa e Italia nell’accesso al credito per le aziende. Le pmi europee che nel 2012 hanno chiesto e ottenuto un finanziamento bancario sono state in Italia il 48%, quasi la metà di quelle tedesche (82%). Mentre il denaro nel Mezzogiorno continua a costare di più; il differenziale dei tassi di interesse tra Sud e Centro-Nord è arrivato nel 2012 a sfiorare il 35%. Per evitare l’aggravarsi dei divari tra paesi europei centrali e periferici, occorre secondo la SVIMEZ individuare misure alternative al credito bancario, quali la finanza innovativa, l’emissione dei mini bonds da parte delle pmi, l’uso dei fondi strutturali europei.
È quanto emerge dallo studio “Crisi dell’eurozona, sistema bancario italiano e squilibri territoriali” dei professori Luca Giordano e Antonio Lopes pubblicato sull’ultimo numero della Rivista Economica del Mezzogiorno, trimestrale della SVIMEZ diretto da Riccardo Padovani edito da Il Mulino.
Scritto sulla base di dati Banca d’Italia, Centrale dei Rischi, Banca centrale europea, Bank lending survey, e bilanci societari, lo studio prende in esame anni una serie di variabili nel rapporto tra banche e imprese sia italiane che europee nel periodo 2008-2013.
Europa: crollano i prestiti delle imprese italiane, tengono le tedesche – Negli ultimi anni per effetto della crisi nell’accesso al credito per le aziende cresce il divario tra Nord Europa e Italia. Se fino al 2011 la performance italiana si presentava nella media europea, negli ultimi anni ci siamo allineati con i paesi periferici dell’Ue. Se sul fronte della percezione del rischio la situazione delle imprese italiane da parte delle banche è stata valutata in linea con la media europea, a parte il picco del 2011, destano preoccupazione il crollo dei prestiti delle imprese italiane rispetto alle tedesche. Nel 2012 la contrazione annua della domanda di credito delle imprese italiane è crollata del 75% rispetto al 2010, “risalendo” poi a -60% all’inizio 2013. Ben diversa la situazione delle imprese tedesche, che nello stesso periodo sono cresciute quasi del 40%, per poi tornare nel 2013 ai livelli iniziali del 2010. In fortissimo calo le esigenze di investimenti fissi, che in Italia crollano addirittura del 100% nel 2012 contro il 20% della Germania nello stesso periodo. Se si ricorre al credito è per ristrutturare il debito, per evitare il tracollo: e non è una buona notizia. La dimensione della crisi viene fuori anche da un altro dato: le pmi europee che nel 2012 hanno chiesto e ottenuto un finanziamento bancario sono state in Italia il 48%, quasi la metà di quelle tedesche (82%); a livello di dimensione, le microimprese under 10 addetti che hanno chiesto e ottenuto un finanziamento bancario sono state in Italia soltanto il 44%, contro il 77% delle francesi.
Italia: crollano i prestiti, aumentano le sofferenze – Negli ultimi quattro anni, dal 2009 al 2013, i prestiti alle imprese sono crollati: nel Centro-Nord si è passati dal +7% medio annuo del 2009 al -5,5% del 2013; al Sud, nello stesso periodo, dal +4% al -6,2%. Se a stringere i cordoni della borsa sono state soprattutto le banche più grandi, al Sud, sono state le microimprese, sotto i 20 addetti, a registrare andamenti dei prestiti che vanno da una crescita del 2% medio annuo del dicembre 2008, a -6% quattro anni più tardi. A livello settoriale, al Sud giù soprattutto i prestiti nel settore delle costruzioni, passati da una crescita annua del +4% del 2010 a un calo del -1% del 2012; male anche il manifatturiero, che passa dal calo annuo del -2% del 2010 alla stazionarietà (0%) nel 2012, ma con forti oscillazioni per tutto il periodo in questione.
Quanto alle sofferenze per settore di impresa, nel 2012 sono stati soprattutto le costruzioni e i servizi a pagare di più sia al Centro-Nord che al Sud: nel dicembre 2012 le imprese di costruzioni impossibilitate a far fronte ai prestiti contratti sono cresciute al Centro-Nord del 5,6%, al Sud del 4,4%, e nei servizi rispettivamente del 4,2% e del 4%, contro il 3,4% e il 3% nello stesso periodo per le due ripartizioni nel settore manifatturiero. Secondo la SVIMEZ questo dato “evidenzia un preoccupante arretramento di quei settori che storicamente rappresentavano per le regioni meridionali un fattore di stabilità in un quadro di progressivo restringimento della base manifatturiera”.
Soldi più cari al Sud, fino al 35% in più del Centro-Nord – In crescita il differenziale dei tassi tra Mezzogiorno e Centro-Nord: se alla fine del 2008 il divario relativo tra le due aree era circa del 10%, (6,29% al Centro-Nord contro il 6,89% nel Mezzogiorno per i tassi a breve termine con scadenza fino a un anno), due anni dopo era salito al 27% (2,9% del Centro-Nord contro 3,7% del Sud), per poi arrivare a quasi il 35% nel corso del 2012 (3,2% del Centro-Nord contro 4,3% del Sud), a dimostrazione del maggior rischio connesso con un quadro macroeconomico più incerto.
Le proposte: Una differente politica monetaria della BCE che punti ad una svalutazione del tasso di cambio dell’euro rispetto al dollaro, e politiche fiscali più espansive da parte dei paesi più forti dell’eurozona come la Germania, liquidazione debiti PA e misure alternative al credito bancario – Di fronte al deterioramento del quadro macroeconomico dei paesi dell’area euro, si legge nello studio, sarebbero infatti necessarie una politica monetaria ben più espansiva di quella sinora realizzata dalla BCE che favorisca una robusta svalutazione del tasso di cambio che stimoli le esportazioni; sul piano delle politiche di bilancio sarebbe necessaria una politica fiscale espansiva, soprattutto da parte dei paesi forti come la Germania, come stanno facendo gli Stati Uniti e il Giappone. La liquidazione dei debiti della PA potrebbe alleggerire la posizione finanziaria delle imprese rispetto alle banche, e a loro volta potrebbero riavviare il circuito del credito allentando le restrizioni sugli impieghi. Serve inoltre individuare misure alternative al credito bancario, quali la finanza innovativa, l’emissione dei mini bonds da parte delle pmi, l’uso dei fondi strutturali europei. In assenza di tutto ciò, continua lo studio, si rischia una progressiva disgregazione dell’area euro con un’accentuazione dei divari tra i paesi “centrali” e “periferici” già misurabile ora attraverso la diversa dinamica degli impieghi, dell’andamento dei tassi di interesse, dei criteri per la valutazione del merito creditizio e della percezione del rischio da parte delle banche.
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