Dall’inizio dell’anno sono 125 i lavoratori morti per infortuni sui luoghi di lavoro (dati tratti dall’Osservatorio sicurezza sul lavoro di Vega Engineering). Il 32,3% sono morti in edilizia, il 31% in agricoltura la maggior parte dei quali schiacciati dal trattore che guidano, il 17,5% nei servizi, il 6,5% nell’autotrasporto. Solo lo scorso anno hanno dato la vita per il lavoro 890 lavoratori. “Un’autentica carneficina che viene sottostimata dalle statistiche ufficiali e ignorata dalla politica che se ne ricorda soltanto in occasione della celebrazione del 1° maggio, e che invece potrebbe fare moltissimo, e con poche risorse, per far diminuire drasticamente questo fenomeno che ci vede primi nella classifica in Europa, dove i morti sono mediamente un terzo di quelli italiani”. E’ quanto dichiarato dal presidente di Confartigianato imprese Sicilia, Filippo Ribisi, a Palermo nel corso del convegno Sicilia Safety Work, una tre giorni dedicata alla sicurezza. Nella graduatoria delle regioni in cui è stato registrato il maggior numero di decessi da gennaio ad aprile di quest’anno, al primo posto troviamo Emilia Romagna e Lombardia (14 vittime), seguite dalla Sicilia (13), dal Piemonte (12), e dal Lazio che in aprile ha visto raddoppiare le proprie vittime nel primo trimestre. Così in trenta giorni è arrivato a contarne 10. Veneto e Campania invece contano 9 decessi sul lavoro. Dopo agricoltura e costruzioni il terzo settore coinvolto nel dramma è quello del commercio e delle attività artigianali (9,6 per cento). La caduta dall’alto nei primi quattro mesi del 2013 ha provocato il 24 per cento degli infortuni mortali, come il ribaltamento di un veicolo/mezzo in movimento, mentre nel 21,6 per cento dei casi la morte è stata la conseguenza di uno schiacciamento dovuto alla caduta di oggetti pesanti. Rispetto al primo quadrimestre del 2012, nel 2013 si rileva un decremento della mortalità pari al 10,1 per cento. Effetto della crisi che ha determinato un calo dell’occupazione. Per quanto il dato continui a rimanere preoccupante, il “crollo” degli incidenti sul lavoro nel 2012, secondo i dati dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Inail), è stato pari a 654.000, con una flessione del 9,9% rispetto ai 726.000 del 2011. Per gli incidenti mortali si e’ registrato una diminuzione superiore all’8% con 820 morti bianche accertate a fronte delle 893 del 2011. Un dato anche questo in ribasso rispetto ai 920 inizialmente annunciati prima della definizione di alcune cause su incidenti in itinere. Rispetto al 2006, anno nel quale si sono verificati quasi 930.000 infortuni sul lavoro e 1.341 casi mortali, il calo è consistente con un -29,6% per gli incidenti nel complesso e un -38,8% per i casi mortali.
La crisi economica ed occupazionale, secondo Ribisi, pesa molto su questa riduzione: “La diminuzione dell’attività produttiva – ha detto – ha influito nel 2012 su questo calo più di quanto sia avvenuto nel 2011: si può quantificare in una quota pari a circa il 50% di questa riduzione degli infortuni. Certo non è confortante che la diminuzione dei casi di morte sia direttamente proporzionale al calo dell’occupazione, -11,5%. Piuttosto, i governi regionale e nazionale dovrebbero puntare su politiche di sviluppo reale e rimettere al centro l’idea che investire in sicurezza conviene: per farlo però non bastano le risorse che abbiamo nel sistema.” Ma si muore pure per la mancanza di lavoro, che costituisce la grande emergenza della nostra Regione.
Eppure, i vari Osservatori ci rimandano la fotografia di una Regione ambiziosa ricca di eccellenze e di un’abilità unica del “sapere fare”.
Una Regione che si scontra, tuttavia, con i troppi No della politica. Una politica che a parole parla di rilancio economico, ma che non si adopera per l’attivazione di azioni adeguate.
Piuttosto, replica alle associazioni imprenditoriali che le proposte per uscire dalla crisi le hanno chiare da tempo, con politiche di rigore e tagli agli investimenti produttivi cui siamo costretti dai deficit di Bilancio.
I dati della crisi, dunque, raccontano il paradosso di una Sicilia divisa tra la necessità di investire per uscire dalla congiuntura sfavorevole e la paralisi di una classe dirigente che continua a sacrificare le ragioni di chi produce. “Noi- aggiunge Ribisi- il coraggio di immaginare nuovi percorsi di sviluppo e di autentico coinvolgimento dei territori non lo abbiamo perso. Da tempo chiediamo che si punti su politiche di sviluppo reale che, rimettendo al centro le vocazioni naturali di questa regione, creino nuove opportunità di lavoro: il Rinascimento Siciliano. Promuovendo la riqualificazione del patrimonio edilizio è possibile innescare un meccanismo virtuoso che, a partire dal coinvolgimento del mondo imprenditoriale più direttamente interessato dalla realizzazione di interventi sul costruito (l’edilizia e tutta la sua filiera), può contribuire a sostenere tutte le attività generatrici di reddito nei settori dell’artigianato e del turismo, producendo, in ultimo, effetti moltiplicatori sul PIL dell’economia regionale e sui livelli occupazionali. Per tali ragioni- conclude il presidente di Confartigianato Sicilia- insistiamo da tempo sulla necessità che le risorse dei fondi comunitari vengano indirizzate in misura consistente al finanziamento del recupero dei centri storici, alla realizzazione da parte dei Comuni di interventi di manutenzione del patrimonio pubblico, dei beni e siti a valenza storica, di edifici, strade e impianti pubblici.
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