Il semestre filtro per l’accesso a Medicina e Odontoiatria era stato annunciato come lo strumento per restituire merito e trasparenza a un sistema di selezione spesso criticato. Doveva essere la risposta alle polemiche sui test d’ingresso, l’occasione per garantire a tutti una valutazione sul campo, attraverso studio e impegno.
In realtà, a poche settimane dall’avvio, appare per quello che è: un meccanismo confuso, iniquo e mal progettato.
Le università si muovono in ordine sparso: alcune pretendono obblighi di frequenza senza definire chiaramente il margine di assenze, altre escludono la didattica online persino per studenti che hanno figli piccoli. C’è chi rimane fuori dalle aule virtuali per malfunzionamenti, chi assiste a lezioni interrotte perché le piattaforme non reggono i numeri. Tutto questo mentre i programmi di materie complesse vengono compressi in due mesi, con esami anticipati e maratone di sei ore di lezioni al giorno.
È questo il modo con cui si misura il merito? O è piuttosto un sistema che discrimina, che penalizza chi non ha la possibilità di dedicarsi a tempo pieno allo studio, che scoraggia chi ha già dimostrato competenze e motivazione?
La retorica del merito non può nascondere la realtà: il semestre filtro rischia di trasformarsi nell’ennesimo ostacolo sociale, capace di escludere non i meno preparati, ma i meno fortunati. Il diritto allo studio non può essere una corsa a ostacoli senza regole chiare: se davvero vogliamo un’università aperta e selettiva al tempo stesso, servono criteri trasparenti, strumenti equi e soprattutto rispetto per gli studenti.
Perché il futuro della sanità non può poggiare su un filtro che assomiglia più a un imbuto: largo nelle promesse, stretto nella pratica.
