Aveva dodici anni Giuseppe Di Matteo, quando fu rapito il 26 novembre del 1993. Lo tennero prigioniero per tre anni; lo uccisero l’11 gennaio del 1996, pochi giorni prima del suo quindicesimo compleanno. Il suo corpo venne poi sciolto nell’acido.
L’unica colpa di quel ragazzino fu quella di essere il figlio di un pentito, Santino Di Matteo, che fu punito dalla mafia per aver iniziato a collaborare con la giustizia e a raccontare particolari sulla strage di Capaci.
Per quell’omicidio nel marzo del 2013, la corte di assise d’Appello di Palermo ha confermato la condanna all’ergastolo per il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano. Oltre loro ci sono altri quattro boss mafiosi condannati all’ergastolo: il super latitante Matteo Messina Denaro, Francesco Giuliano, Salvatore Benigno e Luigi Giacalone. Gaspare Spatuzza è stato condannato a 12 anni, a seguito del riconoscimento dell’attenuante generica della collaborazione. Il pentito si è autoaccusato del sequestro del bambino coinvolgendo, con le sue dichiarazioni, i cinque mafiosi che prima di allora non erano mai stati indagati per il delitto del bambino.
Questa mattina alle 10,30, Giuseppe Di Matteo sará ricordato nel giorno del suoventesimo anniversario, presso l’Aula Multimediale ”Pio La Torre” dell’ex Casa del Fanciullo di via Vittorio Emanuele, a San Giuseppe Jato (Palermo).
La giornata avrà come titolo C’era un volta un bambino che amava i cavalli ed è organizzata dal Coordinamento di Libera a Palermo e dal Comune.
Verrà celebrata una messa in ricordo di «tutti i bambini innocenti vittime della violenza dell’uomo» e prima ci sará una performance teatrale dell’artista Martino Lo Cascio, che interpreterà uno scritto su Giuseppe Di Matteo. La giornata proseguirá con la testimonianza sulla tragica storia del bambino da parte dei volontari di Libera del comprensorio della Valle dello Jato.
“Il sequestro e l’uccisione del piccolo Di Matteo – dice all’AdnKronos il sindaco di San Giuseppe Jato, Davide Licari – rappresenta per la nostra comunità una ferita aperta, un dolore ancora vivo. Quell’omicidio è stato un atto ignobile, ancora più atroce perché commesso contro un bambino innocente”. Per il primo cittadino si tratta di “un buco nero, una delle pagine più tristi della storia del paese. Ma, al tempo stesso – spiega -, è stato un momento di non ritorno, l’alba di un nuovo giorno per San Giuseppe Jato, che ha iniziato un percorso di liberazione da Cosa nostra. Perché la morte di un bambino ha imposto a tutti di prendere coscienza dell’orrore di Cosa nostra”. Oggi per Licari molto è cambiato rispetto a 20 anni fa. ”La cappa mafiosa che ha soffocato San Giuseppe Jato per molti anni è un lontano ricordo – assicura -. Il nostro paese è vivo, ci sono tanti locali e tra i ragazzi è rinata la speranza. I miei concittadini si sentono finalmente liberi da quella che in passato è stata una presenza oppressiva, ma la guardia resta alta. Restiamo vigili”. Per ricordare il piccolo Di Matteo e insieme a lui tutte le vittime di Cosa nostra Libera pensa a un programma di attività proprio nel luogo in cui venne ucciso il bambino. Oggi quel casolare, sottratto ai boss, è diventato il “Giardino della Memoria” ed è stato assegnato al Comune di San Giuseppe Jato. “Già la scorsa estate – spiega Giovanni Pagano, referente provinciale di Libera Palermo – abbiamo organizzato incontri e testimonianze nei locali restaurati. Tutto è stato rinnovato a eccezione del luogo in cui il piccolo Giuseppe ha vissuto l’ultimo periodo della sua prigionia: un bunker sotterraneo accessibile grazie a un complesso ingranaggio. Il nostro auspicio – conclude – è che insieme al Comune si possa mettere in campo un programma stabile di iniziative per rendere questa area più fruibile e farne un luogo di memoria e rinascita”.
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