Il 20 novembre 2025 è andato in scena, in tutti gli atenei italiani, il debutto nazionale del cosiddetto semestre filtro, la riforma voluta dal ministro dell’Università Anna Maria Bernini che sostituisce il tradizionale test d’ingresso a Medicina, Odontoiatria e Veterinaria. Al posto del quiz unico, migliaia di studenti hanno affrontato tre prove scritte standardizzate — chimica e propedeutica biochimica, fisica e biologia — dopo un semestre propedeutico a frequenza obbligatoria, per un totale di 18 crediti formativi. Ma il debutto parte tra gli scandali, ragazzi che fotografavano il test, avevano la possibilità di parlare al telefono e si facevano suggerire grazie agli auricolari.
Le prove, uguali in tutta Italia, sono state somministrate in contemporanea: 45 minuti per ciascun esame, con quesiti a risposta multipla e completamento. Il Ministero lo definisce un sistema più equo, legato alla reale preparazione accademica. Molti studenti, invece, parlano di un “test spostato di qualche mese”, diverso nella forma, non nella sostanza.

Dalle foto sui social ai controlli blandi: un debutto già compromesso
La giornata, secondo le linee guida ministeriali, doveva essere monitorata con rigore dagli atenei. Eppure, nel pomeriggio, sui social sono circolate foto dei compiti prima della fine della prova. Una fuga che, da sola, basterebbe a mettere in dubbio la credibilità del sistema. Ma le testimonianze raccolte in varie sedi universitarie raccontano ben altro.
«Durante l’esame è suonato un telefono e la prova non è stata sospesa», racconta una studentessa. «Un ragazzo aveva gli auricolari, ma nessuno è intervenuto», riferisce un altro. Episodi simili, riportati da diverse città, mettono in discussione non solo l’esame, ma il controllo istituzionale su di esso. Alla luce di tali irregolarità, la dichiarazione della ministra — «Le prove sono state un successo» — appare più ottimistica che realistica.
Paradosso italiano: mancano medici, ma si blocca chi vuole diventarlo
La polemica si amplifica se incrociata con i dati sulla carenza di personale sanitario. In Italia mancano medici, soprattutto in pronto soccorso. Secondo un’indagine nazionale della SIMEU (Società Italiana di Medicina d’Emergenza-Urgenza), solo il 62% dei medici necessari risulta effettivamente in servizio nei reparti di emergenza, con una carenza stimata in almeno 3.500 dirigenti medici e un ulteriore 17% di turni completamente scoperti.
Il deficit è maggiore nelle aree periferiche e nel Centro-Sud, dove in alcune strutture si supera il 40%. Per evitare il collasso del sistema, molte Aziende sanitarie ricorrono a cooperative, gettonisti e contratti precari. «Soluzioni non sostitutive e non sostenibili», denuncia la SIMEU, che chiede interventi strutturali, e non soltanto “toppe contrattuali”. Ma chi ci guadagna da questa situazione?
Responsabilità politica e una domanda inevitabile
L’Italia, come ricordava il giurista Santi Romano, si fonda sul principio secondo cui ogni ordinamento presuppone se stesso: lo Stato pretende fiducia per il semplice fatto di esistere. Eppure, nel caso del semestre filtro, è proprio lo Stato a essersi rivelato inaffidabile. Ha introdotto una riforma promettendo equità e controllo, e al primo banco di prova ha mostrato falle evidenti.
Il ministro annuncia punizioni per i “furbetti”. Ma per molti studenti, dopo mesi di studio rigoroso, la sanzione non riguarda chi ha aggirato il sistema, bensì chi vi ha creduto. È questo il vero paradosso: in un Paese che soffre la mancanza di medici, il percorso che dovrebbe formare i futuri professionisti rischia di diventare una selezione caotica e diseguale. Le domande senza risposte sono tante ma non resta che una domanda: chi tutela davvero il merito?
